Intervista | 'Tra 50 anni olio e vino potrebbero scomparire dalla Calabria'

Alluvioni, tropicalizzazione, siccità. Sono solo alcuni dei grandi cambiamenti climatici che stanno interessando, in negativo, la Calabria. Perchè? Ne abbiamo discusso con il professore Silvio Greco, facendo il punto sul summit di Parigi di questa settimana che tenterà di porre rimedio alle gravi questioni ambientali.
di Angelo De Luca
1 dicembre 2015
12:39

Chi pensa che l’ennesima sfida ambientale, di scena in questi giorni a Parigi e chiamata Cop21, sia un ostacolo allo sviluppo del mondo o chi pensa che queste riunioni, alla presenza di quasi tutti i capi di Stato, siano utili solo per fare propaganda contro l’estinzione degli orsi polari in Antartide, si sbaglia di grosso.

Quanto la Terra stia involvendo, stia cambiando, stia peggiorando è purtroppo un fatto tristemente noto. Non c’è bisogno di guardare al di la dell’Europa per capire la portata degli effetti del cambiamento climatico. E’ sufficiente rimanere nei paraggi.



Le alluvioni, per esempio. Sempre più insistenti e sempre più violente. La Calabria, negli ultimi 10 anni, è stata colpita diverse volte in quasi tutte le sue aree, dal Tirreno allo Jonio, passando per l’Aspromonte e la Sila. Estate, inverno, primavera ed autunno. Certo, gran parte della colpa è certamente attribuibile alla cosiddetta “mitigazione del rischio”, quasi inesistente, con moltissimi comuni che non hanno mai attivato nessun tipo di procedura e protocollo, figurarsi monitoraggi e interventi straordinari. Ma, tralasciando questi aspetti, adesso ancor più fondamentali di prima, resta comunque il fatto che tali incredibili precipitazioni si susseguono a ritmo spaventoso e in maniera più violenta. Quindi, appare evidente, che anche nel piccolo di una regione come la Calabria il famoso “effetto serra” produce i suoi disastri a tutte le latitudini.


Fortunatamente, a differenza della colpevole e inquinata pianura padana, la Calabria dal suo sotto-sviluppo industriale ne ha giovato in qualità della vita.


Silvio Greco, noto ed apprezzato biologo calabrese, non usa mezzi termini per definire la situazione odierna disastrosa. “Siamo sull’orlo del baratro”, ha commentato lo studioso. Il pensiero, seppur di carattere generale, si è poi concentrato sulla questione Calabria, che – secondo le sue previsioni – “rischierà parecchio nei prossimi 50 anni”. Infatti, se la situazione climatica continuerà a peggiorare, con molta probabilità la nostra regione “dovrà iniziare a fare i conti con la scomparsa progressiva di due delle eccellenze agro-alimentari come l’uva e gli ulivi. La sfida – ha aggiunto Greco – sarà quella di rimanere entro l’innalzamento di 2 gradi del pianeta, già di per se un valore molto alto, ma che potrebbe minare alcuni tipi di coltivazioni che necessitano di un tipo di clima particolare. E la Calabria, con i suoi prodotti di eccellenza, ne potrebbe pagare le conseguenze proprio in questi termini”.


Conseguenze non determinate da specifiche volontà personali, perchè comunque la nostra regione non è una inquinitratice seriale, anzi, secondo Greco “noi apportiamo aggiunto”. Resta però il fatto che, nonostante questo, nessuno sarà immune dagli effetti devastanti del cambiamento climatico.

 

Paradossale, poi, che “la desertificazione in atto nella nostra regione, che conta una tra le foreste più rigogliose in Europa come l’Aspromonte, porterà tutta una serie di problematiche strettamente correlate”. Cioè, per dirla in due parole, “mentre in molti si beano dei 18 gradi a dicembre, gli stessi non capiscono che questo, ovvero la tropicalizzazione, è il segnale più nefasto per il futuro”.


Ma i rimedi per tentare di porre rimedio a questa distruzione ci sono. E vanno applicati subito. “Più forestazione, più energia pulita, più qualità nell’agroalimentare e più turismo sostenibile”. Chiaramente, come spesso accade, la volontà è politica. Una politica che, però, a livello nazionale “va a Parigi a discutere di ambiente senza un piano energetico nazionale approvato”, mentre a livello regionale “pensa ad esempio di insistere nella produzione di biomasse proprio in alcuni luoghi emblematici come la Sila, recentemente definita come una delle zone con l’aria più pulita d’Europa”. Senza contare le 409 discariche presenti sul territorio, che a detta di Greco, “potrebbero essere trasformate in vere e proprie centrali energetiche rinnovabili, utili per la produzione e il sostentamento energetico dell’intero Paese”.

 

Angelo De Luca

Giornalista
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