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mercoledì 22 luglio 2015 | 17:27
Cronaca

Operazione Filottete: quattro ergastoli - Notizie

Undici le condanne e una sola assoluzione nell’ambito dell’operazione Filottete in cui la Dda di Catanzaro ha ricostruito la faida tra cosche nel Crotonese

di Gabriella Passariello

Fine pena mai per Vincenzo, Pietro, Salvatore 47 enne, Salvatore, 45enne  Comberiati , 30 anni di carcere per   Giuseppe Scandale , Nicolino Grande Aracri e Giuseppe Grano,  pene comprese tra i sette ei sei anni di reclusione per  Salvatore Vona, Salvatore  Caria, Giovanni Castagnino, Mario Mauro e Giuseppe Pace. Una sola assoluzione quella di Valerio Antonio. E’ il verdetto del gup del Tribunale di Catanzaro per i dodici imputati che hanno scelto il rito abbreviato coinvolti nell’operazione Filottete, con cui i carabinieri del Comando provinciale di Crotone coordinati dalla Procura antimafia di Catanzaro, sono riusciti a ricostruire la storia di 20 anni di faide tra le cosche della ndrangheta crotonese, e a fare piena luce su sette omicidi avvenuti negli anni a cavallo tra il 1989 ed il 2007. Un blitz  che il 30 ottobre del 2013 aveva portato all'arresto di 17 presunti esponenti dei clan Comberiati di Petilia Policastro e Grande Aracri di Cutro. Secondo l'impianto accusatorio della Dda di Catanzaro gli omicidi erano dettati dalla necessità di eliminare fisicamente i nemici delle cosche alleate : quella dei Comberiati a capo della locale di Petilia Policastro e quella di Nicolino Grande Aracri, boss della locale di Cutro. Il sodalizio tra le cosche scatenò una lunga faida con sette omicidi in 18 anni. A parte quello dei Comberiati, il nome più ricorrente nelle azioni delittuose è quello di Nicolino Grande Aracri. Al boss di Cutro viene contestato di aver fornito il gruppo di fuoco che uccise Carmine Lazzaro, assassinato il 16 agosto del 1992 a Steccato di Cutro. E il nome di Nicolino Grande Aracri ricorre anche in occasione degli omicidi di Ruggiero Rosario e Antonio Villirillo uccisi rispettivamente il 24 giugno 1992 e il 5 gennaio 1993 a Cutro. Le cosche alleate si scambiavano favori dandosi man forte e scambiandosi i gruppi di fuoco, e la morte di Mario Scalise, assassinato il 13 settembre del 1989 a Petilia Policastro sarebbe da inquadrare nella volontà dei clan sodali di eliminare fisicamente gli avversari o possibili nemici. Secondo la Procura, Mario Scalise appariva legato al clan Maesano di Isola di Capo Rizzuto, rivale storico degli Arena, a cui invece erano legati i Comberiati. Stessa sorte subita da Romano Scalise, fratello di Mario, ucciso con tre colpi di fucile il 18 luglio del 2007 a Cutro mentre era a bordo del suo ciclomotore. Le cosche erano dedite al lucroso traffico di sostanze stupefacenti, smerciate anche a Milano e in altre zone del Nord, e al racket delle estorsioni, che svolgevano con assoluta padronanza. La faida tra clan rivali, ma spesso tra personaggi dello stesso clan, scoppiava sempre per meri interessi economici e di potere. Nelle associazioni di ndrangheta l'essere prevaricati è un’onta che non si perdona.