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lunedì 16 gennaio 2023 | 11:00
Cronaca

Cosa Nostra - Chi è Matteo Messina Denaro, il superboss arrestato dopo trent’anni di latitanza - Notizie

A distanza di trent'anni dall'arresto di Totò Riina finisce il manette anche capomafia di Castelvetrano. È stato catturato nel cuore di Palermo

di Redazione

di C.M.Trent’anni dopo. Sembra un gioco del destino, ed invece è proprio così. A distanza di trent’anni esatti dall’arresto del “capo dei capi” Totò Riina, anche Matteo Messina Denaro finisce in manette. Proprio il tempo nel quale “Diabolik” è riuscito a nascondersi, sfruttando coperture a qualsiasi livello e rimanendo un fantasma. Alla fine, tutto è andato secondo copione: il suo arresto è giunto nel cuore di Palermo, nel quartiere San Lorenzo, proprio come è tradizione per i boss di particolare calibro. Mai lontani dal territorio sul quale esercitano il loro potere. E così è stato anche per Messina Denaro, inserito da decenni nell’elenco dei latitanti più pericolosi, stilato dal Viminale.

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Chi è Matteo Messina Denaro?

Nato a Castelvetrano (Trapani) nel 1962, ha iniziato a lavorare insieme al padre. Da sempre è conosciuto con il soprannome di “U siccu”. La sua carriera criminale inizia già da giovanissimo. Ad appena 20 anni è già un uomo di fiducia del boss Totò Riina. Nel 1989 colleziona la sua prima denuncia per associazione mafiosa. Lo accusano di aver partecipato alla faida tra gli Accardo e gli Ingoglia di Partanna. Messina Denaro riveste un ruolo apicale in seno a Cosa Nostra già dai primi anni ’80, quando si pone a capo, di fatto, del mandamento di Castelvetrano. Ad iscrivere il nome del boss nel registro degli indagati è il giudice Paolo Borsellino. Ad indagare sul suo conto è il commissario Calogero Germanà, obiettivo del fallito attentato del settembre 1992, di cui proprio Messina Denaro fece parte. “Diabolik” prende parte anche al gruppo di fuoco che mise in atto gli appostamenti per l’attentato nei confronti di Maurizio Costanzo.

Ma il boss di Castelvetrano è anche colui che partecipa a pieno titolo all’organizzazione delle stragi di Capaci e Via D’Amelio.

Una volta arrestato il superboss Totò Riina, Messina Denaro non si oppone alla prosecuzione della stagione stragista, seguendo la scia di Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca ed i fratelli Graviano e distaccandosi dall’ala moderata rappresentata da Bernardo Provenzano che, invece, non vedeva di buon occhio quel clamore fatto di attentati e sangue. Messina Denaro fornì l’apporto di un suo uomo che diede sussidio logistico al gruppo che portò a termine gli attentati di Firenze, Milano e Roma.

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La lunga latitanza

È l’estate del 1993, quando Messina Denaro si trova in vacanza al mare a Forte dei Marmi in compagnia dei fratelli Graviano. Nei suoi confronti viene emesso un mandato di cattura per associazione mafiosa, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materiale esplosivo, furto nonché altri reati. A partire da quel momento, “U siccu” decide di darsi alla latitanza. Un anno dopo, il suo ruolo inizia ad emergere sempre con maggiore forza all’interno di Cosa Nostra.

C’è sempre la sua firma dietro il rapimento del piccolo Giuseppe Di Matteo, al fine di indurre il padre Santino a ritrattare e interrompere la sua collaborazione con la giustizia. Una strategia che non porta a nulla di concreto e si conclude con la decisione di Brusca di sciogliere il piccolo Di Matteo nell’acido. Nel 1994, Messina Denaro organizza anche un attentato nei confronti del pentito Totuccio Contorno, ma i carabinieri arrivano prima e scoprono tutto.

Formalmente, è dal 1998 che “Diabolik” diviene capo del mandamento di Castelvetrano, a seguito della morte del padre Francesco. Ma, nei fatti, Matteo Messina Denaro è capo da un bel pezzo.

I segreti custoditi

Lo si intuisce dalle parole che Riina rivela ai fedelissimi nel 1992: «Se mi succede qualcosa, Matteo e Giuseppe sanno tutto». Matteo è proprio Messina Denaro, mentre Giuseppe è Graviano, quello stesso oggi imputato a Reggio Calabria nel processo ‘Ndrangheta stragista quale mandante degli attentati contro i carabinieri avvenuti in Calabria. Lo stesso Graviano che, proprio da Reggio Calabria, ha mandato più di un segnale, rivelando di essere a conoscenza di molti fatti.

Cosa sanno, dunque, Graviano e Messina Denaro? Solo ieri ricorreva l’anniversario dell’arresto di “Totò u curtu”, momento nel quale – si disse – tutte le informazioni ed i segreti più inconfessabili di Cosa Nostra passarono in mano a Messina Denaro. Oggi, a distanza di 30 anni, anche lui finisce nella rete della Giustizia. Bisognerà capire se “U siccu” intenderà parlare con gli investigatori e se tutto quel materiale ereditato da Riina sia ancora nella sua disponibilità. O se, presagendo la fine della sua latitanza, abbia deciso di passare la mano. E con essa tutti quei segreti che potrebbero rimanere tali.