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lunedì 13 febbraio 2023 | 21:00
Economia e Lavoro

La sentenza - Terremoto nel retroporto di Gioia Tauro, il sito d’oro ex Enel al Corap: i giudici rilanciano l’ente in liquidazione - Notizie

VIDEO | La sentenza della Corte d'Appello toglie la proprietà all'Autorità di sistema e l'assegna agli uffici che per conto della Regione si occupano della industrializzazione 

di Agostino Pantano

Rimette in pista un ente sub regionale in liquidazione, la sentenza della Corte d’Appello di Reggio Calabria che riassegna al Corap la proprietà dell’area ex Enel nel retroporto di Gioia Tauro. I giudici, chiamati a decidere in un contenzioso nato nel 2002, hanno dato credito alla perizia elaborata dal Ctu Sebastiano Biondo nella cui relazione viene ricostruita la storia di ben 108+45 particelle di un’area di circa 100 ettari che un tempo erano stati destinati alla mai avvenuta costruzione di una centrale a carbone.

La contestazione del consorzio per l’industrializzazione, esecutore per conto dell’ex Cassa per il Mezzogiorno di molte opere di completamento dell’area portuale e non solo, riguardava il “verbale di delimitazione” vergato dall’autorità marittima ai tempio in cui presidente dell’autorità portuale era Giuseppe Guacci. La sentenza dei giudici, che hanno parzialmente accolto l’Appello contro il pronunciamento di Primo grado – che aveva dato ragione agli enti statali – si abbatte come una tegola anche se può essere proposto ricorso in Cassazione.

Un piccolo terremoto perché l’Autorità di sistema portuale, attraverso il presidente Andrea Agostinelli, aveva annunciato la volontà di bonificare l’area per destinarla a nuove attività – non mancherebbero infatti le imprese interessate a insediarsi nel sito d’oro che si trova tra la rete di recinzione del terminal container e l’asse viario del Corap. Proprio il consorzio, che il presidente occhiuto non senza polemici stop and go ha affidato al commissario liquidatore Sergio Riitano, incorpora nel suo patrimonio un bene che potrebbe essere utilizzato anche a ripianare i debiti oppure, come sembra più probabile, a far uscire dalle secche un ente che ha una novantina di addetti sul cui destino – vista la crisi di funzione tra depurazione e industrializzazione – fin qui non è stata precisata al meglio.