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giovedì 15 febbraio 2018 | 12:38
Cronaca

Pressioni, paure e contiguità interne. Così la cosca voleva entrare nel business dei rifiuti - Notizie

Ecco gli atti che svelano il piano del clan Rodà-Casile di Condofuri per costringere Avr ad assumere persone vicine alla ‘ndrina. Per il giudice, un caposquadra della società fece da “cuscinetto” con la cosca. E spunta un testimone chiave

di Consolato Minniti

C’è una pioggia battente su Condofuri nella notte fra il 18 ed il 19 maggio 2014. Il cortile della scuola “Bachelet” è come sempre aperto, rendendo vana la recinzione presente. Lì, dove gli studenti non ci sono da tempo per problemi di sicurezza dello stabile, una lingua di fuoco si leva alta, attirando l’attenzione delle persone presenti a poca distanza. I primi ad arrivare sul posto sono i carabinieri della stazione di Condofuri che notano le fiamme avviluppare interamente la cabina di un autocompattatore. È quello della ditta Avr, che si occupa della raccolta dei rifiuti nel territorio comunale. Lì vicino si trovano anche un vecchio mezzo della polizia municipale ed una moto Ape anch’essa utilizzata per i rifiuti, ma ormai in disuso così come l’auto. Sono di proprietà del Comune di Condofuri. Le fiamme arrivano fino a lì. I vigili del fuoco evitano il peggio, anche se ormai il pezzo è fuori uso. Tuttavia, nel loro sopralluogo non rinvengono nulla che faccia intendere la natura dolosa del fatto. Un dato è, però, certo: «Il gesto appare sicuramente diretto a colpire la ditta Avr spa e non il Comune di Condofuri, in quanto l’incendio è diretto esclusivamente all’autocompattatore». Questo è quanto contenuto all’interno dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti di Andrea Casili, l’uomo ritenuto autore materiale del rogo. Com’è stato già anticipato nel comunicato diffuso dall’Arma dei carabinieri, Casili avrebbe agito come ritorsione per la mancata assunzione da parte di Avr e in considerazione della sua vicinanza alla cosca Rodà-Casile operante nel territorio di Condofuri.

Niente assunzioni. Anzi no...

L’idea che l’incendio possa nascere da richieste estorsive o di assunzioni di operai viene subito girata dai militari ad una dirigente della società che si occupa della racconta dei rifiuti. La donna riferisce di non aver subito alcuna richiesta estorsiva né di assunzione. Ed aggiunge che, in principio, a Condofuri erano state fatte quattro assunzioni, fra cui quella di un capo squadra. Riferisce poi di aver proceduto ad assumere altre quattro persone, ma solo per tre mesi e che «si sarebbero dovute ripetere con l’intenzione di riassumere le stesse persone», anche se altri avevano presentato il curriculum. Nessuna assunzione dopo quelle a tempo determinato? Non è proprio così. Il 10 maggio del 2014, esattamente 8 giorni prima dell’incendio appiccato al mezzo Avr, viene messo sotto contratto un giovane di Condofuri, su richiesta del capo squadra. Di conseguenza, anche coloro che sono stati assunti l’anno prima, vedono venire meno le loro speranze. Ciò, però, produce un certo malcontento nell’ambiente condofurese, come confermato anche dalle dichiarazioni del sindaco Salvatore Mafrici ai carabinieri. Il primo cittadino spiega che la chiamata del giovane ha generato delle perplessità in alcune persone che si sono rivolte anche a lui per fare delle rimostranze e questi risponde, ovviamente, che trattasi di una scelta esclusiva dell’azienda.

La figura del capo squadra

L’attività info-investigativa dei carabinieri porta a comprendere che il caposquadra della ditta rappresenterebbe «il cuscinetto fra la ditta Avr e soggetti della malavita organizzata di Condofuri», si legge nell’ordinanza, che così avrebbe voluto «favorire la locale consorteria malavitosa, mettendo all’interno della ditta una persona di loro fiducia». I riferimenti dei personaggi della cosca Rodà-Casile vanno ricercati nell’inchiesta “Konta Korion-Parola d’onore” che ha acclarato l’esistenza di una ‘ndrina egemone a Condofuri. Gli accertamenti successivi dei carabinieri portano anche a scoprire che il giovane assunto ha avuto redatti almeno 40 atti relativi alle sue frequentazioni con persone destinatarie dell’ordinanza di cui sopra. Ecco allora che, secondo gli investigatori, la cosca di riferimento non avrebbe gradito il singolo contratto a fronte di quelli previsti.

Il teste chiave

Ma proprio mentre i militari sono intenti nel cercare di identificare il soggetto autore dei fatti e delle prove che possano inconfutabilmente portare a lui, ecco che spunta un testimone. Si presenta ai carabinieri e racconta di sapere con certezza che l’autore materiale del fatto risponde al nome di Andrea Casili. Indica anche il movente, ossia la circostanza che lo stesso Casili ebbe una promessa di posto di lavoro nell’azienda della nettezza urbana operante a Condofuri. La parola non fu mantenuta e da qui la decisione di bruciare il camion. Una tesi che si sposa perfettamente con quella già acquisita dai carabinieri, grazie all’attività info-investigativa. I riscontri al narrato del testimone sono diversi, fra cui anche la presenza di Casili, certificata una prima volta dal comandante della stazione carabinieri, davanti al bar “Made in Italy”, intorno alle 21.25, in compagnia di un uomo noto alle forze dell’ordine. All’arrivo dei militari, subito dopo l’incendio, però, Casili non c’è più. Vi sono invece delle persone che non si possono identificare per la pioggia battente. Una circostanza che collima con il racconto del testimone. Questi fornisce ulteriori elementi pienamente riscontrati, circa la responsabilità dell’uomo.

I tabulati telefonici

I militari procedono quindi all’analisi dei tabulati telefonici del caposquadra Avr e scoprono come vi siano numerosi contatti fra questi e il giovane assunto. Ma non solo. Ve ne sono anche fra lo stesso caposquadra e la persona che era in compagnia di Casili, poco prima dell’incendio.

Le pressioni alla società

Per gli inquirenti, allora, il quadro diventa chiaro: «L’anomalia rispetto a ciò che sarebbe stato normale prassi – l’assunzione del medesimo personale già in precedenza assunto a tempo determinato – consistita nell’assunzione di uno sconosciuto trova allora spiegazione, con elevato grado di verosimiglianza, nel fatto che costui fosse stato indicato (rectius, imposto) ad Avr spa, per il tramite del capo squadra, da esponenti apicali dell’associazione». Per il giudice, la dirigente della società «deve aver sicuramente subito pressioni» da parte del caposquadra, «ovvero di altri emissari della cosca» per l’assunzione del giovane, di Andrea Casili e forse anche della persona che era in sua compagnia, davanti al bar, la notte dell’attentato. Per gli inquirenti «ciò spiegherebbe i contatti intercorsi» tra il caposquadra, il giovane e il padre di questi, nonché «la sua presenza insieme a Casili sul luogo del misfatto». Insomma, «non convincono» le dichiarazioni della dirigente nella parte in cui giustifica le mancate assunzioni dei quattro operai già presi a tempo determinato l’estate precedente, con una insoddisfazione per il lavoro svolto. Secondo i giudici, dunque, proprio la circostanza che il capo squadra sia stato ereditato dalla precedente società che gestiva l’attività di pulizia «consente di ipotizzare come verosimilmente costui fosse stato già imposto alla precedente ditta appaltatrice del servizio di nettezza urbana e successivamente alla stessa Avr e come costui possa essere effettivamente l’anello di congiunzione fra la Avr e i soggetti della malavita organizzata di Condofuri».

Il contesto malavitoso

Ecco allora che «è evidente – scrive il gip – come in un territorio quale quello di Condofuri, in cui è stato giudizialmente accertata l’esistenza e l’attuale operatività di una locale di ‘ndrangheta, capace di condizionare anche l’esito delle elezioni amministrative e di collocare nella compagine politica dell’ente locale un proprio rappresentante in posizione strategica, quale l’assessorato ai lavori pubblici, un’azione criminale così eclatante, quale quella commessa da Casili, non avrebbe mai potuto avere luogo se non con l’avallo o – come in questo caso – su indicazione stessa dei componenti apicali del sodalizio». Da qui l’aggravante mafiosa nella contestazione del reato.

 

Consolato Minniti