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giovedì 4 luglio 2019 | 15:09
Cronaca

Stromboli, il vulcano che guarda Tropea. I racconti di chi è scappato dall’eruzione - Notizie

VIDEO | «L’apocalisse, l’apocalisse». La paura negli occhi e nelle parole dei turisti fuggiti dall’isola scossa dai boati e bombardata di lapilli. Emozioni forti che sono riaffiorate una volta sbarcati sulla costa tirrenica, con la montagna fumante ormai alle spalle. Ecco le loro storie

di Monica La Torre

Lo Stromboli visto da Tropea (foto Galardini)

I segreti dei vulcani, li sanno i vecchi e i marinai. Ed erano stati vecchi ed i marinai tropeani, a raccontare quello che sulla Rupe sanno tutti: che Iddu, non è siciliano, è calabrese, «è robba nostra», tanto che qui lo chiamiamo per nome e in Sicilia è “quello lì”. I segreti dei vulcani li sanno i vecchi, i marinai, e i poeti. Ed era stato un vecchio poeta marinaio, gli occhi liquidi sul tramonto, a ricordare di suo nonno bambino, che Stromboli lampava e tronava, fumava e scoppiava, e gli abitanti scappavano a remi a Tropea, prima spiaggia sicura, la rotta percorsa col cuore in gola, la stessa che conoscevano bene, che sbarcavano alla Marina una volta al mese, pomice all’andata e cipolle al ritorno: ed ecco perché Tropea era il primo approdo, anche con Lipari equidistante. I segreti dei vulcani li sanno solo i vecchi i marinai e i bambini, e lo vedi dai loro disegni, con quelle linee pure al tramonto, una linea retta, un cerchio ed un triangolo, e quel blu e quel rosso tanto facili da riprodurre, ed il fuoco, le fiamme che escono dal cratere… loro lo sanno, che Stromboli guarda Tropea e Tropea guarda a Stromboli.

«L’apocalisse, l’apocalisse…»

«Non abbiamo preso neanche la biancheria», ripeteva in trance la signora strappata dalla doccia, gli amici dalla spiaggia, i vip dalla piscina, i pellegrini dalle stradine, distratti dalle loro piccole cose da un vulcano che si era svegliato all’improvviso, sputandoli nudi a Tropea, facendoli saltare sulle motonavi dirette al continente così, senza biancheria… «L’apocalisse, l’apocalisse», ripeteva alla Marina il ragazzo siciliano, la cenere del vulcano negli occhi, la paura e nelle ginocchia e nella voce, la maglia con Stromboli che erutta un cuore rosso fuoco sul petto, lei sì più beffarda che profetica, e la Sicilia lontana, lontanissima…

 

«Mai visto niente del genere...»

E scuoteva la testa il comandante del traghetto per le Eolie: «mai visto niente del genere», lui che da 15 anni mastica le stesse 60 miglia marine, 30 all’andata e 30 al ritorno, e Stromboli ce l’ha tatuato in fronte, migliaia di volte lo ha visto di giorno, di notte, di sera, incazzato, placido, silenzioso, e se prima lo guardava come il fornaio la pagnotta, l’amore commerciale per la fonte di guadagno, oggi la paura ha aperto al rispetto, la compunzione è quella di chi è al cospetto di un superiore, il rispetto è quello del servo per il padrone che alza la voce. E a comandare, è quel vulcano che si è scrollato di dosso abitanti e turisti, che ha fatto sentire la voce terribile della natura, che ha mostrato quella bellezza tremenda che avrebbe fatto impazzire un protoromantico tedesco, e a noi leva il fiato, anche se c’è il morto, e ci dispiace davvero, ma è la Natura, e se gli indigeni adoravano i vulcani ci sarà un motivo…

«Che ci faccio qui?»

Il senso del terribile era nel vuoto pneumatico negli occhi degli svedesi, quelli scappati via tra cenere e fumo e boato appena iniziata l’escursione verso la bocca del cratere, abbandonando zaini, passaporti, oggetti personali sul terreno infernale. Marziani, con quella fisicità nordica inadatta a questo sole africano, a questo vulcano attivo, a questo mare piratesco che non sai se e quanto reggerà nella sua calma piatta, e devono averlo pensato mille e mille volte “ma che ci faccio qui”, ma non alla Chatwin, bensì alla Trip Advisor: che c’è mancato un soffio che la raccontassero diversamente, o non la raccontassero affatto, perché «erano passate da poco le quattro, e ci eravamo appena messi in cammino, avevamo ritardato un po’ la partenza, e poi il boato, e sentivo la cenere e i lapilli che mi cadevano in testa», dirà il ragazzo in quell’inglese monocorde, la compagna zitta e impietrita, distante anni luce dal qui ed ora, che quanto sono lontani i fiordi e le renne lo sa solo iddio, ed il prossimo anno tutti a Formentera.

 

«Però ho lasciato tutte le mie cose…»

Noi abbiamo sentito vicina la signora bionda, siciliana, una sigaretta dopo l’altra, ciabattine e camiciola, borsa del mare a tracolla. Lei, spaventata, sì, ma non spaesata, la voce che tremava di adrenalina e delusione, quasi sentisse freddo in un tramonto che diventava crepuscolo. "Sono siciliana, come ha potuto farmi questo", pensava, mentre diceva «non ci tornerò mai più!», ed il tono è quello che si riserva all’uomo che ha tradito, ma come si fa a non amarlo: ed infatti è solo un attimo, torna indietro, e mi fa «no, aspetta, non lo volevo dire, non lo scrivere che magari chi mi sente si spaventa, e loro poverini vivono di turismo». La guardo, e lo sappiamo tutte e due che è una bugia, che non è per i portafogli degli stromboliani che si vorrebbe rimangiare le parole, è che si è disarmati di fronte alla bellezza, e poco si può di fronte al richiamo ancestrale che Stromboli esercita su di lei come su di noi, sui i nati sotto lo stesso sole, quello che cade dentro la bocca del vulcano a ferragosto. E la signora ci pensa un po', e tremante di freddo e coi nervi a pezzi, abbassa la voce ed è già un concilio: «Che poi devo tornare per forza - quasi a giustificazione di se stessa - perché ho lasciato tutte le mie cose…». Tranquilla, signora. Lo sappiamo. La capiamo. È così anche per noi. Perché siamo tutti, tutti perdutamente innamorati di lui. Gli perdoniamo tutto. Tanto che la paura diventa attrazione. Il pericolo fascinazione. E la fascinazione, diventa magarìa.

 

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