Cronaca

’NdranghetaReggio Calabria ricorda Gennaro Musella, ucciso 42 anni fa. La figlia Adriana: «Solo la memoria rende giustizia alle vittime di mafia»

VIDEO | La mattina del 3 maggio 1982 l'autobomba che pose fine alla vita dell’ingegnere salernitano che si oppose alla longa manus della 'ndrangheta sui lavori nel porto di Bagnara. Stamattina la commemorazione con le scuole, Libera e le autorità del territorio

di Anna Foti
3 maggio 2024
15:24
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5 minuti di lettura

«Non ho mai smesso di ricordare in questi 42 anni e credo che questa memoria testarda morirà con me. Mi ha accompagnato per buona parte della mia vita e credo mi accompagnerà fino al mio ultimo respiro. È la memoria che rende vivo mio padre perché è l’unica cosa che renda giustizia alle vittime di mafia. La giustizia che tribunali, per la maggior parte delle vittime, non ha potuto e non ha saputo dare, negando la verità. Una giustizia che, va ricercata nelle coscienze della gente perché non si dimentichi».
Adriana Musella figlia di Gennaro Musella, l’ingegnere salernitano ucciso in pieno centro cittadino a Reggio, la mattina il 3 maggio del 1982 con un’autobomba ne disintegrò il corpo, rinnova la memoria del padre. Lo fa attraverso una iniziativa promossa in collaborazione con la fondazione Antonino Caponnetto, stamattina dedicata ai giovani accolti nell’auditorium monsignor Francesco Gangemi del santuario di San Paolo Apostolo di Reggio Calabria.

L’incontro, moderato da Mimmo Nasone di Libera Reggio Calabria, è stato introdotto dal parroco del santuario Simone Gatto, dal vicesindaco del Comune di Reggio Calabria, Paolo Brunetti e dal comandante della scuola allievi Carabinieri Fava Garofalo di Reggio, il colonnello Vittorio Carrara che hanno posto l’accento sulla necessità di compiere una scelta tra la legalità e vita alla luce del sole, da una parte, e mafia, facili guadagni e destini segnati dal carcere, dalla latitanza e dalla morte, dall’altra.


Un video ha poi tracciato un profilo di Gennaro Musella e del contesto in cui ha operato.
Originario di Salerno, Gennaro Musella era in Calabria per lavoro e qui è stato ucciso per non essersi arreso alla cappa mafiosa che attanagliava la costruzione e l’infrastrutturazione del porto di Bagnara negli anni Ottanta, per essersi opposto alla longa manus della ndrangheta sui lavori pubblici in questa terra.

Vittime innocenti delle mafie

«Su un elenco ufficiale di 1081 vittime innocenti, che abbiamo ricordato nome per nome anche quest’anno a Roma il 21 marzo, 191 sono calabresi. Tra loro ci sono 52 imprenditori e operai. La prima è Giuditta Levato e l’ultimo è il tabaccaio Bruno Ielo di Gallico, ucciso nel 2017. Tra loro c’è anche Gennaro Musella, ingegnere ucciso oltre quarant’anni fa. Ricordarlo, oggi, è occasione per sottolineare quanto occorra continuare a non abbassare la guardia rispetto a un male che ancora è in agguato, che ancor uccide le speranze, compromettendo la possibilità di uno sviluppo sano dei nostri territori». Così Mimmo Nasone di Libera Reggio Calabria.

Sono stati Michelangelo Di Stefano, funzionario in quiescenza della Dia, il capitano in congedo dell’Arma Cosimo Sframeli e il garante regionale per l’Infanzia e l’Adolescenza Antonio Marziale a parlare con alcune delegazioni del liceo scientifico Leonardo Da Vinci e dell’istituto Tecnico Tecnologico Panella Vallauri di Reggio Calabria.

Ucciso perché amava la sua terra

«Considero Gennaro Musella una vittima di guerra. La sua cultura, il suo modo di fare, l’intraprendenza con la quale pensava di poter ammodernare una società civile si è scontrata con il potere mafioso in un contesto di vera e propria guerra. Una guerra che non è mai finita. Ha mutato le sue modalità, oggi utilizza strumenti diversi rispetto alle armi e agli esplosivi. Oggi c’è la legittimazione ma resta sempre una guerra contro la società civile. Difficile spiegare perché un uomo che voglia rendere più bella la nostra terra sia stato fatto saltare in aria fino a fare arrivare il suo cervello al quinto piano. Risulta più facile spiegare che uno psicopatico abbia sparato a John Lennon». Così Michelangelo Di Stefano, funzionario in quiescenza della Dia.

Verità storica e verità processuali, due strade che non sempre si incontrano

«L’efferato delitto di Gennaro Musella ha dato prova di quanto la ‘ndrangheta possa punire chi osi opporsi a essa. Si registrano ormai segnali importanti di contrasto dello Stato. Un impegno trasfuso anche per assicurare alla giustizia i responsabili di questi delitti. Purtroppo, però, non sempre si riesce a fare chiarezza sulle responsabilità personali. Ci sono le verità storiche e quelle verità giudiziarie e processuali. Non sempre le due verità possono coincidere perché i fatti storicamente successi sono quelli, mentre processualmente bisogna produrre le prove». Così il capitano in congedo dell’Arma, Cosimo Sframeli.

Un delitto ancora senza verità

«Se ogni incontro come questo non diventa educativo, è inutile promuoverlo. Fare educazione significa non solo narrare quello che è accaduto ma significa perpetuare la memoria di quanto accaduto affinché non accada più. Certo, occorrerebbe anche ascoltare una bella testimonianza dello Stato per essere credibili. Faccio un esempio per non essere retorico. Sono trascorsi già 42 anni dall’omicidio Musella e ancora non c’è una verità. Sono ancora tanti i delitti che aspettano ancora la verità. Ed è proprio la verità la migliore forma di educazione che possa esistere. Speriamo che queste iniziative contribuiscano a sensibilizzare i giovani a essere diversi dalla nostra omissiva generazione». Così il garante regionale per l’Infanzia e l’Adolescenza Antonio Marziale.

«Io c’ero»

Nel pubblico anche chi quel giorno di 42 anni fa era solo un bambino che frequentava la scuola accanto a luogo della violenta deflagrazione. Era via Apollo, ormai dal 2009 via Gennaro Musella, la prima via di Reggio ad essere stata intitolata ad una vittima di mafia.
«Avevo 10 anni e frequentavo la scuola elementare Principe di Piemonte, proprio vicino a quella strada. Passando oggi, non ho bisogno di leggere la sua denominazione. Non dimenticherò mai il racconto di mia madre che da lì passava tutti i giorni per scendere sul Corso Garibaldi a lavorare e le immagini terribili che poi mi disse di avere visto. Ricordo il caos assoluto di quella mattina e anche i tempi bui che seguirono con il coprifuoco e la stretta sui controlli. Un periodo molto brutto a Reggio Calabria che tuttavia non bisogna dimenticare. È giusto che questi ragazzi sappiano». Così Davide Ignani, oggi un agente immobiliare e padre di due figli.

Anna Foti
Giornalista
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