La morte di Fortugno risvegliò le coscienze: cosa resta 13 anni dopo?

L’assassinio del vice presidente del Consiglio regionale suscitò profondo sdegno. Dal movimento dei ragazzi di Locri, al decreto del Governo con finanziamenti a pioggia. Sembrava l'inizio di una nuova primavera

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di Ilario  Balì
16 ottobre 2018
17:45

Domenica 16 ottobre 2005, ore 17,22. A Locri sono in corso le primarie dell’Unione. Francesco Fortugno, vicepresidente del Consiglio regionale calabrese, è lì, all'interno del seggio. Non sa che quello sarà il suo ultimo giorno di vita.
Un killer entra nell’androne di Palazzo Nieddu del Rio col volto coperto. È lì per lui, per il politico ai vertici dell’Assemblea. Lo guarda, lo punta e fa fuoco: cinque colpi di pistola che non gli lasciano scampo. Poi scappa a bordo di un’auto, assieme ad un complice, sfrecciando su corso Vittorio Emanuele, nel centro di Locri. Fortugno sta parlando con alcune persone quando quei proiettili calibro 9 segnano la sua fine. E a Palazzo Nieddu è entrato inconsapevolmente proprio insieme al suo killer, che gli ha sparato a bruciapelo davanti allo sguardo impotente di una decina di persone.

 


L’indagine, lunga e complessa, ha portato a cinque sentenze e all’ultima condanna a luglio 2014, con l’ergastolo confermato in Cassazione ad Alessandro Marcianò, ex caposala dell’ospedale di Locri, ritenuto la mente di quel delitto eccellente, consumato a Palazzo Nieddu. Secondo le sentenze, Fortugno doveva pagare con la vita l’elezione in Consiglio regionale, ottenuta con oltre 8500 voti. Doveva pagare perché i Marcianò, avevano supportato un altro candidato, Domenico Crea, poi subentrato a Fortugno ma mai indagato per quel delitto. Prima del caposala, nel 2012, erano stati condannati al carcere a vita suo figlio Giuseppe, Domenico Audino e Salvatore Ritorto, battezzati come gli esecutori materiali dell’omicidio.

 

All’indomani di quel delitto eccellente i giovani della Locride scesero in piazza. Fu la più grande mobilitazione spontanea che si ricordi contro le mafie in Calabria. Sui balconi e sulle finestre dei palazzi di Locri furono esposte delle lenzuola bianche. Nacque “Ammazzateci tutti” e i ragazzi di Locri catturarono l’attenzione dei media nazionali. Di loro si accorse anche Adriano Celentano che, definendoli “rock”, li volle ospiti del suo show su Rai1, mentre a Locri, nell’occasione del primo anniversario dell’omicidio, Jovanotti organizzò un concertone gratuito con artisti locali. Sembrava l’inizio di una nuova primavera. In realtà è stato solo un fuoco di paglia. Svanita l’onda emotiva, di quel sussulto d’orgoglio giovanile a Locri non è rimasto nulla.

 

In soccorso della Locride dallo Stato, con apposito decreto, arrivarono 38 milioni di euro, destinati al sociale e alle opere pubbliche. Ma di tutti quei soldi, pochi furono davvero utilizzati. Anche le iniziative per la commemorazione, col passare degli anni, appaiono sempre meno partecipate.
Come ogni anno anche oggi Maria Grazia Laganà, già parlamentare e vedova del politico calabrese, era a Locri per partecipare alle celebrazioni in ricordo del marito. «Fin quando avrò le forze - dice – parteciperò attivamente a questa giornata della memoria dedicata alla memoria di Francesco. Lo devo proprio a quei giovani che ebbero la forza di ribellarsi alla ‘ndrangheta».

 

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