La Via Crucis della Calabria

L’insostenibile croce dei bimbi senza nome di Cutro resti un monito per tutti e alimenti la speranza

La strage che si è consumata al largo di Crotone ha cambiato la percezione di una parte dell’opinione pubblica. Oggi chi opera nel volontariato trova maggiore empatia tra la gente. Pino De Lucia della cooperativa Agorà Kroton racconta ciò che sarebbe potuto essere ma anche la mobilitazione avvenuta attorno a quei fatti terribili

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di Alessandro Russo
8 aprile 2023
14:36
La croce realizzata con i legni della barca naufragata. Nel riquadro, Pino De Lucia
La croce realizzata con i legni della barca naufragata. Nel riquadro, Pino De Lucia

KR16M0, pochi mesi. KR76F6, sei anni. Morti nella Strage di Cutro come altri bimbi, come i loro genitori finiti forse in una bara anonima. O forse ancora in mare, un cimitero immenso. Quei bimbi trasformati in una sigla sono stati per alcuni giorni come strade senza nome di cui nessuno sa dove portino o chi ci abiti. Poi qualcuno ha deciso di “chiamarli” prima della sepoltura in una piccola bara di legno: KR16M0 ora è Alì, KR76F6 è Francesca Paola. Un atto pietoso, forse frettoloso in alcuni casi. L’Unione Comunità Islamiche d’Italia non era stata informata della sepoltura della piccola di sei anni e del fatto avrebbe portato un nome che è un evidente omaggio a San Francesco da Paola. Ma questo è un altro discorso. Qui parliamo di qualcuno che avrebbe voluto chiedere a ciascuno di quei piccoli: come ti chiami davvero? Che avrebbe voluto accoglierli, farli crescere dalle nostre parti, costruire insieme una storia calabrese. La Via Crucis della Calabria è anche la loro: la croce piantata in una terra ferma che non li ha accolti da vivi, ma che ha dato loro un nome perché altrimenti il dolore sarebbe stato insopportabile.

Pino De Lucia: tutto quello che avrei voluto per quei bimbi

Pino De Lucia è uno dei volti più conosciuti del terzo settore, a Crotone e in Calabria, ed è il perno della cooperativa sociale Agorà Kroton che si fa carico di tanti migranti approdati nelle nostre coste. «Avrei voluto essere lì – in spiaggia – ad aspettarli quei bambini. Avrei voluto che crescessero qui. Io li vedo i piccoli che arrivano nelle nostre scuole, il razzismo per loro non esiste. Dentro le elementari ci sono i nostri bambini, africani e italiani: quando giocano e si abbracciano, quando crescono insieme le differenze non esistono. I muri li creiamo noi grandi. Il loro futuro è il nostro, ma quando muoiono possiamo solo pregare».


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La vita non può essere cancellata da un numero

I numeri e i codici sulle bare dei bambini. Un protocollo di cui nessuno ha colpa, ma che evoca cose brutte. «Sì, con quei numeri e quelle sigle in tanti pensano ad Auschwitz, all’annullamento delle persone. Con una sigla e un numero tu non esisti. Anche se la tua vita è stata di pochi mesi o di pochi anni, un numero non può cancellarla. Se non conosco il tuo nome sono io a dartelo, perché un nome significa che tu hai vissuto, che hai avuto una famiglia, che sei scappato per una vita migliore, che hai resistito fino all’ultimo». Non importa come ti chiami. Pino De Lucia parla a un bimbo che non c’è più: «Se tu, piccolo, fossi sopravvissuto, ti avrei fatto giocare con gli altri bambini, ti avrei iscritto in una scuola, avrei fatto in modo che tu riempissi le nostre vite mentre noi avremmo riempito la tua».

La risposta del Governo alla strage di Cutro va in una direzione sbagliata

La risposta del Governo alla Strage di Cutro è andata in una direzione sbagliata. «Purtroppo, dopo tutte quelle morti, le cose sono peggiorate dal punto di vista normativo. In tanti non avranno più la possibilità di avere permessi speciali», continua. «Anche quest’idea di aiutarli a casa loro suona bene sulla carta ma in molti casi è inattuabile. Vogliono fare i corsi di formazione, ma come si fanno a fare i corsi di formazione in Afghanistan, con i talebani? Queste persone scappano dalla guerra, dall’orrore, spero che ci sia un ripensamento».

Da quei resti di legno sulla spiaggia un messaggio nuovo

Eppure da quei resti di legno sulla spiaggia impregnati di morte nasce un messaggio nuovo. «Molte di quelle tavole hanno dato un significato diverso a tante Via Crucis. Hanno portato quella croce, il legno di quel caicco in tutta la provincia di Crotone. Le parrocchie in giro per la Calabria mi chiedono se è rimasto qualche pezzo di legno da tenere come emblema di un sacrificio diventato segno di speranza, come la morte di Cristo. È questo il paragone che mi viene in mente. Cristo è morto per portarci la speranza della resurrezione, e anche loro non sono morti invano, perché in qualche modo sono riusciti a cambiarci, a farci capire che la speranza di un mondo migliore per loro e per noi non è impossibile».

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Una consapevolezza che cambia anche il rapporto tra la gente e il mondo del volontariato. «Ora ci guardano in modo diverso. Quando giriamo per Crotone non ci trattano più con diffidenza, non ci dicono che facciamo venire i migranti per sfruttarli e per permettere loro di rubare il posto di lavoro agli italiani». Conclude Pino De Lucia: «Anche noi stiamo cercando di riprendere la nostra dimensione di volontari: semplicemente, di persone che vogliono aiutare gli altri».

Giornalista
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