«Lo hai ammazzato. Ci arrestano tutti, ci danno trent’anni»

Aggressione a monsignor Costantino: paure, bugie e preoccupazioni degli indagati. Uno del gruppo rompe l’omertà. Ecco le intercettazioni ambientali
di Consolato Minniti
28 maggio 2017
10:39
Reggio, aggressione al parroco
Reggio, aggressione al parroco

«Vedi, lo hai ammazzato». Monsignor Giorgio Costantino è ancora accasciato a terra in piazza Soccorso, quando, tramortito dai colpi subiti, sente pronunciare queste parole. Sono quelle di uno dei giovani dei gruppo, preoccupato per la brutale aggressione ai danni del sacerdote. Teme sia morto. Tutti scappano via, mentre don Giorgio lentamente si rialza e chiama i soccorsi.

 


Sono da poco trascorse le 0.30 del 24 maggio. Le telecamere a circuito chiuso, installate nella parrocchia, riprendono tutto quanto e permettono ai carabinieri di ricostruire con dovizia di particolari la sequenza dei fatti che ha portato il sacerdote in coma, con un grave ematoma e successivo intervento chirurgico. Ora il gip di Reggio Calabria ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per Giacomo Gattuso, accusato di tentato omicidio, e ai domiciliari, nei confronti di altri quattro giovani, che dovranno rispondere di favoreggiamento.

 

Rotto il muro di omertà. Sono immagini nitide, quelle a disposizione dei carabinieri. Ma non a tal punto da poter identificare colui che ha pesato a sangue il sacerdote. E allora ecco che, partendo dalle parole dello stesso presule, si rintraccia subito un ragazzo che in passato aveva subito il sequestro del motorino da parte dei militari dell’Arma. Da lui si risale immediatamente agli altri appartenenti al gruppo. Uno solo, sentito alle 2.35 del mattino descrive quanto avvenuto e fa i nomi degli altri presenti. Il giovane racconta che, insieme agli altri, stava giocando a pallone nel piazzale della Chiesa del Divino Soccorso. «Ad un certo punto – spiega – la palla è caduta all’interno del cortile recintato della chiesa». Per recuperare il pallone, uno di loro s’introduce all’interno del cortile, scavalcando la recinzione. Poi i ragazzi si accorgono che il cancelletto della canonica è aperto. Una ghiotta occasione per recuperare con più facilità la palla, una volta oltrepassata l’inferriata. Allora decidono di inserire una bottiglia di plastica vuota per bloccarne la chiusura.

«Abbiamo continuato a giocare per ulteriori 10-15 minuti, fino a quando abbiamo potuto notare il sopraggiungere del parroco, che tutti conoscevamo personalmente. Abbiamo notato che, sebbene non redarguiva alcuno, era intento ad effettuare una ripresa mediante il proprio telefono cellulare. Notato ciò, mi sono avvicinato al parroco chiedendo il motivo della ripresa, senza ottenere alcuna risposta, mimando tuttavia il gesto di colpirmi con uno schiaffo. Avuto il sentore che la questione potesse degenerare mi sono defilato, notando la presenza di tutti gli altri ragazzi che si erano, nel frangente, avvicinati al parroco, iniziando un diverbio senza comprendere la reale discussione».

 

Il pugno a Gattuso. «Il parroco – prosegue il giovane nel racconto – scagliava un pugno a Giacomo Gattuso che veniva colpito al viso, scatenando la reazione di Gattuso stesso che colpiva in più occasioni il parroco. Gli altri presenti non infierivano ma, anzi, c’è stato chi ha provveduto ad allontanare Gattuso e chi si è avvicinato a don Giorgio al fine si sincerarsi delle proprie condizioni di salute. In quell’occasione, sempre Gattuso s’impossessava del telefono cellulare del parroco, scagliandolo violentemente e ripetutamente a terra nell’ovvio intento di romperlo il più possibile».

 

La seconda aggressione. Il racconto prosegue, con i giovani che decidono di non proseguire l’azione, almeno fino a quando vi è una seconda reazione di Gattuso che si scaglia nuovamente contro don Costantino, «venendo inizialmente bloccato fisicamente da Marco Ceriolo, che tentava, in tutti i modi, di impedire che Gattuso potesse raggiungere il parroco. L’ira di questi era tale da non riuscire a divincolarsi raggiungendo il parroco afferrandolo per le vesti, trascinandolo fuori dall’area recintata. Da quell’azione il parroco cadeva rovinosamente a terra venendo quindi colpito da Gattuso anche con calci». Fin qui il racconto del giovane che spiega anche di aver deciso lui stesso di contattare un rappresentante dell’Arma per raccontare tutto. Convergenti i racconti di Marco Ceriolo e Salvatore D’Agostino, tranne che nella parte riguardante l’identità dell’aggressore: entrambi riferiscono di non conoscerlo.

 

«Qui ci arrestano tutti». Tutti convocati al comando provinciale di Reggio Calabria, i giovani, presenti nella sala d’attesa, si lasciano andare a commenti che svelano e confermano cosa sia avvenuto. Sono ignari che ad ascoltarli ci sono le cimici attivate dai carabinieri.

 

Zampaglione: Ho pensato di dirgli che io non ho visto niente… confusione….

Liconti: mmm

Zampaglione: gli dico “ho visto confusone”… inc… gli dico

Liconti: non gli devi dire niente, vedi che lo leggono… sono passato dal Soccorso… inc… e tutti … ha detto… inc… la macchina chi ce l’ha? Eh eh mah

Poco dopo, Zampaglione rientra in sala d’attesa sono essere stato sentito dai militari e la sua reazione è chiara: «Qua ci arrestano a tutti». Mentre Gattuso ipotizza la pena: «Minimo di danno trent’anni».

I giovani, intorno alle 7.10, terminate tutte le escussioni dei carabinieri, riprendono a discutere e sono coscienti che i militari «hanno tutti i video». Così D’Agostino, rivolgendosi a Gattuso, ribadisce: «Ti vedi proprio tu che lo bastuniavi (picchiavi)». E il Ceriolo: «Hanno inguaiato a tutti qua! Ci hanno inguaiato a tutti».

 

Dalla reticenza alla parziale ammissione. In un primo tempo, Gattuso afferma di non aver partecipato a nulla. Poi, anche in presenza dei video che lo ritraevano, accetta di parlare e ammettere e sue responsabilità. Il giovane spiega di essere stato nervoso poiché ripreso sebbene lui non stesse disturbando in alcun modo; che nella concitazione dei momenti successivi, aveva sottratto il cellulare a don Costantino e questi lo aveva offeso e gli aveva tirato un pugno che, però, per stessa ammissione dell’indagato, non aveva provocato nulla più che un po’ di rossore. La risposta di Gattuso però era con altri pugni. Il ragazzo spiega poi ai carabinieri che le conseguenze per la salute del sacerdote erano dipese non dalla violenza, ma dalle sue problematiche di salute, non ricordando di aver tirato calci, ma soprattutto di non aver mai avuto l’intenzione di uccidere don Giorgio.

 

La testimonianza faticosa del sacerdote. Questi, sentito dal pm, seppur a fatica, ricorda come la situazione nella piazza del Soccorso fosse difficile da tempo, tanto da costringere le suore ad andare via perché ritenute in pericolo, dopo il lancio di pietre contro le finestre dei loro appartamenti. Sull’aggressione, i fatti coincidono grosso modo con quanto dichiarato dal primo giovane.

 

«Nessuna legittima difesa». Da qui la decisione della Procura di procedere per tentato omicidio aggravato nei confronti di Gattuso, una tesi sposata dal gip Scortecci che parla di «feroce e ripetuta violenza arrestatasi solo per l’intervento degli altri ragazzi presenti. Nulla che possa essere neppure lontanamente messo in rapporto comparativo di minima proporzione con il colpo inferto dal sacerdote, da tempo esasperato e con addosso un gruppo di giovani, al Gattuso. Nulla che possa in alcun modo, neppure lontanamente, fare ventilare seriamente ipotesi di legittima difesa».

 

Consolato Minniti

Giornalista
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