Mangiardi: 'Ecco l’antimafia che lucra' VIDEO

Dai testimoni di giustizia con tanto di segreteria organizzativa a quelli che concordano i cache per farsi ospitare. L’imprenditore sotto scorta racconta l’antimafia perversa
di Tiziana Bagnato
9 maggio 2016
17:43

C’è un antimafia del business. Una legalità che sconfina da quelli dovrebbero essere i binari propri e finisce per cadere nel lucro. E così ci sarebbero anche testimoni di giustizia che cavalcano l’onda e avrebbero anche una vera e propria attività di segreteria che concorda gli appuntamenti a cui presenziare pattuendo anche delle forme di remunerazione. A dirlo è Rocco Mangiardi intervistato da LaC a margine di un suo intervento in una scuola di Lamezia Terme in cui ha raccontato proprio la sua esperienza, la sua vita blindata dopo la denuncia. Mangiardi, proprietario di un negozio di ricambi d’auto, fuoriuscito per divergenze dall’Ala, l’associazione anti racket lametina, è chiaro: «Ci sono associazioni che nascono con l’intento di fare associazionismo puro e vero. Tra queste Libera. Ci sono poi altre che lo fanno per mestiere. Ci sono poi testimoni di giustizia  - aggiunge - che hanno una segreteria, che stabiliscono dei budget per la loro presenza. Tuttavia – sottolinea -   non dobbiamo fare di tutta l’erba un fascio. Mentre ci sono persone che utilizzano le associazioni per fini propri e come rampe di lancio, ce ne sono altre che lavorano per il bene della collettività».



Parole di vetro che tagliano con precisione millimetrica un ulteriore squarcio in un mondo, quello dell’associazioni sulla legalità, troppo spesso agli onori della cronache per irregolarità vere o presunte. Di certo c’è che Rocco Mangiardi ha limitato da tempo le sue uscite pubbliche, evitando anche di ritirare qualche premio. Il tutto, ammette, per evitare di sovraesporsi e finire in un calderone. Di certa c’è anche la sua fuoriuscita dall’Ala, su cui non si è mai fatta chiarezza ufficiale ma che pare sia stata alimentata da vicende che all’imprenditore non sono piaciute. All’epoca dei fatti Mangiardi scrisse: «Ritengo il mio gesto un fatto di onestà, dal momento che ho imparato ad amare un'altra antimafia, un'antimafia che non usa paroloni, una vera antimafia che sta reagendo senza fare clamore, coltivando in silenzio i semi della legalità. Ed io voglio essere solo un testimone silenzioso e stare accanto ai veri resistenti, che sono i familiari delle vittime innocenti».

E a proposito della recrudescenza di intimidazioni a Lamezia, del coinvolgimento di ragazzi poco più che maggiorenni spiega laconicamente: «I ragazzi hanno ricominciato a mettere bombe perché ci sono state poche denunce. Pochi mi hanno seguito e se l’ho fatto io potevano farlo tutti. Sono ragazzi soggetti a quelle cosche che con pochi spiccioli gli fanno pensare che potrebbero cambiare la loro vita. Ricordiamoci di come il figlio del “professore” ( Francesco Giampà) ha raccontato che ai suoi tempi ogni omicidio veniva retribuito tra i 20 e i 25 mila euro. Prima o poi - conclude - troveranno  i killer anche per questi ragazzi».

di Tiziana Bagnato


 

Domani, martedì 10 maggio, nel tg di LaC alle 13.45 l'intervista integrale a Rocco Mangiardi sull'antimafia 'a pagamento'

Giornalista
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