La Calabria e i suoi ponti. Dal Bisantis all'Italia, la “griffe” di Morandi

La punta dello Stivale terra di viadotti. Nella seconda metà del novecento ha conosciuto grandi sperimentazioni nel campo dell'ingegneria civile

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di Marco  Lefosse
16 agosto 2018
11:17

Forse pochi lo sanno, perché spesso questi aspetti passano inosservati all’occhio dei profani e della quotidianità, ma la Calabria, per via della sua conformazione orografica, caratterizzata da grandi asperità e blocchi montuosi imponenti, è anche terra di ponti, di grandi ponti, molti dei quali da guinness dei primati. Imponenti strutture di calcestruzzo, pile di oltre duecento metri che si issano verso il cielo e che, se da un lato hanno deturpato e violentato angoli di paesaggio unici al mondo, dall’altro hanno collegato luoghi impervi, culture, tradizioni e dialetti diversi. Il celebre “pilone di cemento armato”, esasperato nella satira del celebre Cettolaqualunque, c’è ed è vero. E nella seconda metà del secolo scorso, la regione di Alarico, dei Bronzi e del Codex, è stato un vero e proprio laboratorio di sperimentazione della nuova ingegneria civile.


Il celebre Ponte Bisantis di Catanzaro, quello ad un’unica grande arcata (una tra le più grandi d’Europa), è sicuramente frutto di questa attività esperienziale, in cui si misero a frutto gli studi e le scoperte del cemento armato pesante. Oggi il grande ponte di Catanzaro, celebrato nella commedia tardo neorealista “La ballata dei Mariti” di Fabrizio Taglioni, è ritornato agli onori della cronaca per avere in comune lo stesso progettista, l’ingegnere e architetto Riccardo Morandi, che realizzò il viadotto sul Polcevera di Genova, crollato due giorni addietro.

Sul viadotto Italia venne sperimentato il CAP (calcestruzzo armato precompresso)

Ma non solo il ponte di Catanzaro. C’è stato un rapporto intimo, quasi segreto, tra l’architetto e ingegnere romano - dalla cui firma passano anche altre ed importanti opere civili come il ponte Urdaneta sul lago di Maracaibo ed il Vespucci di Firenze – e la Calabria. Il Bisantis, infatti, non è la sola opera in calcestruzzo nella nostra regione ad aver visto la luce passando dalla maieutica ingegneristica e stilistica di Morandi. C’è un altro ponte calabrese, anzi il ponte calabrese per eccellenza (essendo il più grande ed il più alto mai costruito nel nostro territorio), passato al vaglio di Morandi. È il Viadotto Italia, lungo l’autostrada A2 del Mediterraneo, sul fiume Lao. Un ponte a travata in calcestruzzo armato e acciaio, alto 260 metri e lungo 1120. L’opera fu consegnata nel 1969 quale perno centrale della viabilità lungo la ex Salerno-Reggio Calabria, e seppur i progettisti furono Fabrizio de Miranda, Carlo Cestelli Guidi, Carmelo Pellegrino Gallo, Enzo Bedeschi e Lucio Casciati e l’opera è intestata al loro genio professionale, quel viadotto venne realizzato proprio con la consulenza di Riccardo Morandi, dal momento che proprio sull’Italia venne impiegato il noto C.A.P. (calcestruzzo armato precompresso) di cui proprio il professore capitolino ne fu tra i più importanti sperimentatori.


Nel 2015 vi perse la vita l'operaio Adrian Ionel Miholca

Anche il Viadotto Italia, dicevamo, è balzato agli onori della cronaca nera. Il 2 marzo 2015, con la carreggiata Sud fuori servizio per l'avvio dei lavori di demolizione dei “monaci” e dei pulvini e di preparazione per le successive demolizioni degli impalcati in CAP con esplosivi, si ebbe lo slittamento proprio di uno di questi impalcati. L'operaio Adrian Ionel Miholca della società Nitrex S.r.L, che lavorava su uno di essi, fu trascinato nel vuoto morendo sul colpo per l'impatto dopo 80 metri di caduta.

Calabria, storia di ponti: dal Cannavino all'Emoli

Ci sono tante altre storie che legano la Calabria ai suoi ponti. Le più recenti e che hanno alimentato confronto e dibattito, anche con picchi di tensione altissimi, sono le storie dei viadotti che sorgono lungo la Statale 107, la silana crotonese, che taglia in due la Calabria Citra da Crotone a Paola, passando per Cosenza, per l’altopiano Silano e l’Appennino tirrenico. In particolare, il viadotto Cannavino, che sovrasta l’abitato di Celico, e l’Emoli nel comune di San Fili. Entrambi strutture strategiche per la viabilità regionale e tutti e due appartenenti al mondo delle grandi infrastrutture. Ed è proprio il Cannavino, interessato di recente da lavori di “comfort” (così li ha definiti Anas), nonostante le denunce per un presunto (seppur palese, a dire di molti) cedimento strutturale, a rimanere in costante osservazione. Proprio come il viadotto sul Polcevara. Il ponte continua a rimanere aperto al traffico mentre sulla campata è ancora evidente un ribassamento dell’arcata. Tutto regolare? I tecnici della società che gestisce la statale dicono di sì. E stesso, medesimo discorso vale per l’Emoli, sempre sulla 107, nel cui transito si avverte forte la presenza di un “gradino” sul fondo stradale. Nessun allarme, sia chiaro, ma è giusto, però, raccogliere le sacrosante preoccupazioni della gente e degli utenti che quotidianamente, anche più volte al giorno, transitano su quei ponti!

E non finisce qui. Di ponti e storie di ponti in Calabria ce ne sono un’infinità. Da quelli realizzati durante il ventennio fascista, lungo la Statale 106, molti dei quali chiusi (non per cedimenti strutturali ma perché ormai inadeguati nell’ampiezza ad ospitare il traffico veicolare) o raddoppiati, per finire a quelli di ultima generazione che sono diventati il simbolo di una Calabria proiettata in Europa (ponte di Calatrava a Cosenza, docet), passando per tanti altri ancora che fanno paura e che risentono – sempre a sentire gli utenti – di scarse attenzioni, come il viadotto Canal Grande a San Nicola Arcella, lungo la Statale 19 tirrenica. Insomma, una storia di ponti e sicurezza che manca ancora del tutto del capitolo relativo alla prevenzione.

 

Giornalista
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