Condannata Alessandra Sarlo

Quella raccomandazione che le ha assicurato il posto di dirigente regionale le è costato due anni di carcere. Il tribunale di Catanzaro presieduto da Anna Maria Raschellà, ha condannato per corruzione in un atto contrario ai doveri di ufficio Alessandra Sarlo, la moglie del giudice Vincenzo Giglio
di Gabriella Passariello
22 dicembre 2015
13:26

Ha retto l’accusa del pm Graziella Viscomi che oggi in aula ha chiesto due anni e tre mesi di reclusione per la Sarlo definita dalla pubblica accusa l’istigatrice, che compulsa, parla con Morelli, Giglio e  Fedele, vaglia le proposte lavorative che le vengono rivolte tanto da rifiutare quelle che  non le sono consone.

 


A nulla sono valse le tesi difensive dei legali Saveria Cusumano e Francesco Albanese, che hanno parlato di un processo incardinato senza alcuna prova, un processo suggestivo, che nasce e muore come processo indiziario. La difesa non ha negato il rifiuto della loro assistita di accettare incarichi di rappresentanza, ma “chi ha studiato una vita vuole lavorare a condizioni giuste. Voleva semplicemente svolgere quello che si era guadagnato per meriti, usufruendo della mobilità  che le consentiva di passare da un’ amministrazione pubblica ad un’altra, come previsto per legge". 

 Secondo le ipotesi accusatorie, Giglio si sarebbe avvalso dell’amicizia di Franco Morelli,  pur di soddisfare le richieste della consorte, che voleva un incarico da dirigente operativo. Prima lo scambio di sms:«Ti confesso un piccolo segreto: mia moglie fa parte della piccola cerchia di persone a cui piace lavorare molto. Perciò, quale che sia la destinazione, per favore, che sia un posto fortemente operativo e non di mera rappresentanza. Questo per la sua serenità e per il mio equilibrio interiore per cui invoco la solidarietà maschile. Grazie». Poi il 19 aprile 2010 un fax in cui magistrato e politico si sarebbero scambiati reciproci favori pur di raggiungere l’obiettivo. Tutti e tre d’accordo la Sarlo, Giglio e Morelli. Il procedimento catanzarese a carico della Sarlo rappresenta lo stralcio di una più vasta inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Milano contro i Valle Lampada, in cui Giglio e Morelli sono stati condannati con sentenza passata in giudicato. Secondo le ipotesi accusatorie, formulate dagli allora contitolari delle indagini Gerardo Dominijanni ( ora procuratore aggiunto a Reggio Calabria) e Domenico Guarascio, il giudice sospeso dal Csm si sarebbe avvalso dell’amicizia di Franco Morelli,  pur di soddisfare le richieste della consorte, che voleva un incarico da dirigente operativo.

 

La Procura di Milano aveva ristretto il capo di imputazione all’Asp di Vibo, mentre l’Ufficio di Catanzaro,  è andata ben oltre, allargando le ipotesi di accusa: lo scambio corruttivo, avvenuto prima con sms poi con fax avrebbe avuto l’effetto di favorire la Sarlo che voleva essere distaccata dalla Provincia reggina e ricoprire un incarico al consiglio regionale.

La dirigente in concorso con Morelli e Giglio, quest’ultimo in veste di pubblico ufficiale, «violando i doveri di imparzialità, probità, indipendenza e nonché il dovere di riservatezza, compiva atti contrari ai doveri di ufficio». Giglio avrebbe trasmesso a Morelli «un fax attestante l’assenza di procedimenti penali  o indagini a suo carico» e in cambio Morelli avrebbe soddisfatto le aspirazioni lavorative della Sarlo. I legali adesso attendono le motivazioni della sentenza che verranno depositate tra novanta giorni per proporre appello.


Gabriella Passariello

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