Il ‘consorzio’ e la falla del Codice Antimafia: la denuncia del procuratore della Dna Roberti VIDEO

Paradossalmente una norma antimafia consentirebbe ai clan di farsi spazio in un sistema di appalti pubblici tramite ditte che sarebbero legate a importanti clan come i Giampà, i Pesce-Bellocco, i Mancuso
di Redazione
14 ottobre 2015
10:56

Una bomba potenzialmente esplosiva quella di cui ha parlato Franco Roberti davanti alla Commissione Antimafia, lo scorso 16 settembre: ‘Un combinato disposto di norme ha consentito a ditte direttamente collegate a tutte le organizzazioni mafiose di entrare in un sistema di appalti pubblici che vede come capofila un certo consorzio che non nomino’. Non si è sbilanciato il Procuratore ma ha concentrato la sua attenzione su falle nelle legge che consentirebbero ingerenze mafiose: l’inserimento in un «sistema di appalti pubblici» che vede «come capofila un certo consorzio».

 


I limiti del Codice Antimafia. Secondo il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Franco Roberti, - come riporta Il Sole 24 Ore -  c’è una falla nel codice antimafia che spalanca alle mafie le porte dei consorzi che partecipano alle gare di appalto. 


Il paradosso sta nell’articolo (lettera b dell’articolo 85) che disciplina la presentazione della documentazione antimafia per i consorzi. Secondo la norma, infatti è possibile entrare in un consorzio con una partecipazione inferiore o pari al 10% senza l’obbligo di presentare la documentazione antimafia.


E ancora, il codice degli appalti, prevede che i consorzi stabili possono eseguire i lavori anche tramite i consorziati indicati in sede di gara senza che questo passaggio costituisca subappalto.

 

In un solo colpo sarebbe dunque possibile evitare la presentazione della certificazione antimafia e le verifiche sui subappalti.


Il ‘consorzio’. Sul tavolo dell’Antimafia ci sarebbero gli affari di un gruppo che vede al centro un consorzio capofila e nella fascia mediana le ditte direttamente collegate alle organizzazioni mafiose, ditte che agirebbero ovviamente con prestanome, ditte con una partecipazione al di sotto del 10% che sarebbero legate a importanti clan come i Giampà, i Pesce-Bellocco, i Mancuso, i Barbaro. E così per assurdo e paradossalmente una norma antimafia terrebbe unite le cosche in nome di milioni di euro.

 

La proposta di legge della senatrice Ricchiuti. Ieri la senatrice del Pd Lucrezia Ricchiuti ha presentato una proposta di legge secondo la quale la documentazione antimafia, se si tratta di associazioni, imprese, società, consorzi e raggruppamenti temporanei di imprese, deve riferirsi anche «alle società di capitali anche consortili ai sensi dell’articolo 2615 ter del codice civile, per le società cooperative, di consorzi cooperativi, per i consorzi di cui al libro V, titolo X, capo II, sezione II, del codice civile, al legale rappresentante e agli eventuali altri componenti l’organo di amministrazione, nonché a ciascuno dei consorziati ed ai soci o consorziati per conto dei quali le società consortili o i consorzi operino in modo esclusivo nei confronti della pubblica amministrazione». In sostanza la senatrice chiede che si prenda in esame la modifica dell’art. 85 eliminando di fatto la soglia del 10 per ceto.

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