L’epopea di Peppe si chiude dietro il cancello del carcere di Arghillà

Scopelliti si costituisce nel carcere della sua città per scontare la sua pena. Il modello Reggio, quel modello che valse all’ex sindaco il nomignolo ironico di “Peppe dj”, quel modello che aveva esibito i nomi del jet set nazionale tutto lustrini e paillettes, quello dei Fabrizio Corona o dei Lele Mora di turno che si esibivano passeggiando sul più bel chilometro d’Italia, da oggi, è finito per sempre
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di Pasquale Motta
5 aprile 2018
14:45

Giuseppe Scopelliti si è presentato da solo al cancello del carcere di Arghillà, la collina che sovrasta la città. L’ex primo cittadino di Reggio Calabria ed ex Governatore della Calabria si è presentato nel penitenziario per scontare la sua pena ormai definitiva. La Cassazione ha ridotto di 5 mesi la condanna a Scopelliti per la prescrizione dell’accusa di abuso di ufficio. Inoltre la Suprema Corte, pur confermando il verdetto emesso dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria il 22 dicembre 2016 che aveva ridotto da 6 a 5 anni la condanna per l’ex sindaco, ha sostituito l’interdizione perpetua dai pubblici uffici con l’interdizione per soli cinque anni.


In una mattinata di un tiepido aprile del 2018 cala il sipario su di una vicenda drammatica e controversa. Una vicenda fatta di scandali, inchieste, colpi di scena e finanche un suicidio, quello di una giovane e rampante dirigente dell’ufficio finanziario della città metropolitana.
Era la sera del 16 dicembre 2010, quando Orsola Fallara, dirigente del Settore Finanze e Tributi del Comune di Reggio Calabria, ingerisce dell’acido muriatico e muore. A guidare la città dello stretto fino a qualche mese prima era Giuseppe Scopelliti, il quale nel frattempo era diventato Governatore della Calabria con un risultato elettorale quasi bulgaro e che aveva spodestato dalla guida della regione Agazio Loiero Presidente del Centrosinistra.



Orsola Fallara non era una dirigente qualsiasi del comune di Reggio ma il perno di quel sistema che Scopelliti aveva promosso a modello, il cosiddetto “modello Reggio” appunto. Dal 2002 fino al 2010 la Fallara era stata il motore di quel sistema. Un rapporto, quello con l’ex Sindaco che andava ben oltre il normale rapporto tra un Sindaco e un suo dirigente. Tra la Fallara e Scopelliti c’era affetto, amicizia, condivisione politica piena e, per certi aspetti, quasi devozione.


La Fallara, dunque, diventa il cardine di un brand politico, sventolato e propagandato ai quattro venti come strategia di sviluppo e modernizzazione, frutto di una politica del “fare” efficace ed efficiente realizzata dal sindaco Giuseppe Scopelliti. In breve  quel modello diventa il volano per conquistare la Regione. Peppe Scopelliti diventa il simbolo della modernizzazione della Calabria, un modello di successo, nato sulle rive dello stretto e da esportare in tutta la regione. I risultati di quella efficace comunicazione politica non tardano ad arrivare. A marzo del 2010, quasi con un plebiscito, i calabresi incoronano Scopelliti.


Ben presto però, quello che si propagandava come un modello virtuoso di gestione della cosa pubblica, dopo una serie di denunce presentate dall’opposizione, dalla stampa, da una indagine della Procura della Repubblica e da una relazione del Ministero dell’Economia si rivela come una gestione disinvolta della spesa pubblica che aveva originato ingenti debiti e buchi di bilancio.

 

E così dopo una dura campagna di stampa su alcuni atti compiuti dalla dirigente del comune di Reggio, la dottoressa Orsola Fallara finisce per essere indagata. A quel punto, la Fallara, in un pomeriggio del dicembre del 2010, indice una conferenza stampa nella quale difende il suo operato e attacca gli esponenti dell’opposizione che l’avevano messa sotto tiro. Quella conferenza, tuttavia, alla luce dei drammatici eventi delle ore successive, a molti osservatori apparve quasi come un testamento. A Scopelliti, nonostante una sua presa di distanza dagli atti compiuti dalla Fallara, la dirigente del comune riconfermò la sua devozione e il suo affetto. Nel corso di quella conferenza stampa, infatti, la Fallara annunciò le sue dimissioni da dirigente al settore Finanze e Tributi, poi chiese scusa alla famiglia, ammettendo di avere sbagliato e di non avere seguito più le indicazioni dell’ex sindaco Giuseppe Scopelliti, “che voglio chiamare Peppe – affermò – proprio perché sono cresciuta con lui e per me è stato un onore lavorare al suo fianco” -e aggiunse- “Scopelliti, a differenza di altri, è un politico con la “P” maiuscola e ha fatto bene a dire che ormai non faccio più parte del suo gruppo, perché non ho agito seguendo le indicazioni e i principi ai quali lui sempre si è ispirato. Peppe Scopelliti ha lavorato con grande onestà per fare grande questa città. Non ho nemmeno il coraggio di chiamarlo al telefono perché è chiaro che il mio rapporto con lui è finito”.


Qualche ora dopo aver pronunciato quelle parole, la dirigente venne soccorsa agonizzante sul molo del Porto di Reggio Calabria. Le sue condizioni apparvero da subito gravissime, aveva ingerito dell’acido muriatico. A nulla servì il delicatissimo intervento chirurgico, durato 5 ore. L’acido muriatico era entrato già in circolo e aveva danneggiato l’esofago (ricostruito dall’equipe del chirurgo Costarella), il fegato, il pancreas e la milza. Qualche ora dopo sopravvenne il decesso.


Si può dire che quella data coincise con l’inizio della fine del “regno di Scopelliti”. Il suicidio si avvolge di mistero. La stampa si scatena in retroscena da letteratura giallistica. La drammatica morte della Fallara, a quel punto, diventa il detonatore dell’accelerazione dell’inchiesta giudiziaria. Qualche mese dopo, l’allora Governatore della Calabria Giuseppe Scopelliti venne raggiunto da un avviso di garanzia. Il procedimento conosciuto semplicemente come “il caso Fallara” prese il via. L'inchiesta riguardava gli incarichi affidati alla dirigente comunale del settore Bilancio, Orsola Fallara. Nel corso delle indagini erano stati effettuati controlli sulla gestione dei conti del Comune di Reggio Calabria sia da parte della Procura che da parte degli ispettori generali delle Finanze. «Le responsabilità che mi vengono addebitate - spiega il governatore - riguardano, esclusivamente, aspetti tecnico-amministrativi, che esulano dalle mie competenze politiche, e per i quali vengo coinvolto a cagione del mio ruolo di sindaco del Comune di Reggio Calabria all'epoca dei fatti oggetto di indagine. Sono fermamente convinto - conclude - che, nel corso dell'esame richiesto dai pubblici ministeri, potrò chiarire la mia totale estraneità ai fatti che oggi mi vengono contestati». Purtroppo i fatti e la verità giudiziaria andarono diversamente da come aveva ipotizzato l’ex primo cittadino. Dopo un lungo dibattimento, il presidente della Regione Calabria Giuseppe Scopelliti, veniva condannato a 6 anni di reclusione per abuso e falso e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici per le vicende legate alle autoliquidazioni dell'ex dirigente comunale Orsola Fallara. Il pm Sara Ombra che per tre anni aveva con pazienza certosina incastrato le caselle di un complesso puzzle giudiziario diventando spesso oggetto di tentativi di delegittimazione da parte di soggetti vicini all’ex Governatore, i quali tentarono continuamente di "buttarla" in politica rispolverando ripetutamente la teoria del complotto ordito dai nemici di Reggio, aveva chiesto cinque anni di carcere. Il Tribunale invece ne inflisse sei.

 


Era la primavera del 2014. Scattarono gli effetti della legge Severino con la conseguente sospensione ma Scopelliti si dimette.
Il modello Reggio nel frattempo si era già sbriciolato, allorquando il comune dello stretto, il 9 ottobre 2012 era stato sciolto per contiguità mafiosa. Tre anni dopo, al disastro del modello Reggio, non sopravvisse nemmeno il suo ispiratore politico: Giuseppe Scopelliti.

 

Il 20 gennaio del 2012, il più intransigente oppositore dell’ex primo cittadino Scopelliti, Demetrio Naccari Carlizzi, ex vice Sindaco della Giunta di Italo Falcomatà, scriveva dal suo blog: «Non è mai esistito nella realtà un modello Scopelliti. (…) Alcuni commentatori per ottimismo ed avventatezza, altri per ossequio al potere o per interessi personali hanno sostenuto questa operazione di facciata inventando una continuità improbabile quanto campata per aria con il governo Falcomatà. Se confrontiamo le parole chiave della primavera di Reggio con la stagione di Scopelliti ce ne possiamo rendere conto: il modello di governo condiviso che si finge di riproporre ma nega persino ai consiglieri comunali i bilanci dell’ente, Reggio e il mediterraneo che diventa una scusa per finanziare operazioni incomprensibili a Malta, l’area dello Stretto e il rapporto con Messina che diventano un orizzonte e si perdono in una fumosa città metropolitana, la trasparenza amministrativa che diventa permeabilità ai poteri anche criminali, l’ estate reggina che diventa una scusa per finanziare emittenti radiofoniche che trasmettono Peppe dj a suon di milioni di euro».


Le parole di Naccari Carlizzi oggi assumono quasi il valore di una profezia. Il modello Reggio, quel modello che valse all’ex Sindaco il nomignolo ironico di “Peppe dj”, quel modello che aveva esibito i nomi del jet set nazionale tutto lustrini e paillettes, quello dei Fabrizio Corona o dei Lele Mora di turno che si esibivano passeggiando sul più bel chilometro d’Italia, da oggi, è finito per sempre. E la pesante porta del carcere di Arghillà che si chiude alle spalle dell’ex uomo più potente e più popolare della regione Calabria, sembra la metafora del sigillo finale ad un’epoca che lascia sullo sfondo forse un modello mai esistito ma soprattutto il cadavere di una giovane donna, Orsola Fallara, l’unica che non ha potuto dire la sua in questo lungo processo. La sua morte, tuttavia, ha lasciato tante domande senza risposta. Per lei, forse, dopo i tanti dubbi, i tanti perché, i tanti interrogativi rimasti inespressi, da oggi, bastano le parole pronunciate da don Mimmo Geraci, parroco della chiesa di Santa Lucia a Reggio Calabria, nell’omelia per i funerali: «Siamo di fronte al dramma della morte. Il Signore avrà pietà. Una vita spezzata: davanti a questo gesto estremo, lasciamo a Dio il giudizio. Orsola non può più parlare, avrà potuto qualche fragilità e qualche debolezza nell’ambito del ruolo svolto nell’Amministrazione comunale. Adesso lasciamola nella pace del Signore».

 

Pasquale Motta

 

 

Giornalista
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