Vittime di mafia

A Gioiosa Ionica una partita di calcio nel ricordo di Gianluca Congiusta a 18 anni dall’omicidio

VIDEO | Si sono sfidati i pulcini della Seles Gioiosa e della Seles Polistena per tenere viva la memoria del giovane imprenditore. La madre Donatella: «Ciò che oggi spero è che chi ha ucciso mio figlio si penta. Se lo farà, io lo perdonerò»

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di Tonino Raco
25 maggio 2023
21:00

«Un ragazzo brillante, buono, che amava la vita e con un sorriso contagioso». Così Donatella Catalano descrive suo figlio Gianluca Congiusta, imprenditore di 31 anni ucciso a colpi di lupara, a Siderno, il 24 maggio del 2005. Il giovane imprenditore sidernese aveva lasciato gli studi iniziati all’Università di Messina per tornare a casa e aiutare i suoi genitori lavorando nel negozio del padre, che viveva un periodo di difficoltà finanziarie. Comincia una sua attività, diventa un punto di riferimento nella Locride nel settore della telefonia e apre tre negozi Tim: a Marina di Gioiosa, Siderno e Locri.

«Poi purtroppo questa gente che me lo ucciso ha iniziato a spararci i portoni, a farci del male, a derubarci. Gianluca ha dovuto chiudere il negozio di Locri. Ci siamo piegati economicamente ma ci siamo sempre rialzati con l’umiltà e con il senso di giustizia» ha raccontato mamma Donatella. Il successo imprenditoriale di Gianluca aveva infatti attirato l’attenzione di criminali che pretendevano denaro tramite estorsioni, pretese alle quali Gianluca però non ha mai ceduto, continuando per la sua strada fino a quel 24 maggio di 18 anni fa. 


A Gioiosa Ionica una partita di calcio tra giovanissimi organizzata dal coordinamento di Libera Locride e dalla Seles Gioiosa (importante realtà sportiva impegnata nell’educazione alla legalità) ha voluto ricordare Gianluca e le vittime di mafia facendo così conoscere, alle nuove generazioni, la storia di chi ha combattuto per la giustizia.

«Gianluca era innamorato della sua terra e dello sport, che ha sempre praticato - ha spiegato Deborah Cartisano, referente del coordinamento di Libera Locride - per questo motivo abbiamo deciso di ricordarlo per mezzo del sport, del gioco. Abbiamo voluto coinvolgere la Seles perché pensiamo che il gioco sia fondamentale per i ragazzi ma è giusto che sia abbinato al rispetto per le regole. Tramite questa iniziativa poi i più piccoli, che non hanno conosciuto Gianluca, posso conoscerlo tramite i racconti della madre e possono far tesoro delle testimonianze degli attivisti di Libera, perché quel sacrificio dei nostri cari, vittime innocenti, non deve essere dimenticato».

Prima del calcio d’inizio della partita tra Seles Gioiosa e Seles Polistena, con le rispettive categorie dei pulcini, Donatella Catalano è stata omaggiata di una maglietta con il nome del figlio Gianluca. «Agiamo tutti insieme: con Libera, con l’associazione Don Milani e con la Caritas diocesana - ha commentato Francesco Rigitano, presidente A.S.D. Seles Gioiosa - la Seles insieme a queste realtà porta avanti un progetto di contrasto alla povertà educativa nel territorio calabrese. Vogliamo ricordare Gianluca con il sorriso e far sì che giornate come questa lascino realmente qualcosa a chi partecipa, perché le mafie continuano ad esserci, continuano a fare i loro affari e controllare il territorio. Noi vogliamo portare avanti un lavoro di contrasto a questo malaffare attraverso le associazioni».

Oggi quello di Gianluca Congiusta è un delitto rimasto senza un colpevole. Secondo la Dda di Reggio Calabria il giovane imprenditore era stato ucciso per essere venuto a conoscenza di una lettera intimidatoria in cui il boss Tommaso Costa perpetrava una tentata estorsione al padre della sua fidanzata. Nel 2013 è stata emessa la sentenza di secondo grado che, confermando quella di primo grado, condannava il boss all’ergastolo per essere il mandante dell’omicidio. Nel 2018 però la Corte di Cassazione ha messo la parola fine su un dibattimento durato oltre un decennio e ha assolto definitivamente Tommaso Costa per l’omicidio dell’imprenditore sidernese; la Suprema Corte ha infatti ritenuto inutilizzabile la prova cardine del processo e cioè le lettere inviate dal carcere con la richiesta di pizzo.

«Ciò che io spero oggi, dopo tanti anni, è che chi ha ucciso mio figlio si penta - ha concluso Donatella Catalano - in questo modo mi darà l’ultima gioia e io lo perdonerò, se lui si pente io lo perdonerò».

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