Gotha, la Cassazione: «Motivazioni non adeguate, Marra va scarcerato»

La Suprema Corte censura il provvedimento del Riesame con riferimento all'avvocato e avvisa: «Risposta eccentrica sull’esistenza dell’associazione segreta. Non provata l’interferenza sugli enti pubblici»
di C. M.
7 marzo 2018
19:58

«Il Tribunale del Reisame non ha fornito adeguata risposta alle manifeste aporie logiche della motivazione della precedente ordinanza rilevate, così che, anche la nuova ordinanza deve essere annullata, senza rinvio, non potendosi ritenere che il Tribunale di Reggio Calabria disponga di nuovi elementi di prova che consentano un diverso giudizio, considerando la manifesta insufficienza di quelli già elencati e discussi». È una decisione piuttosto dura quella con cui la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio l’ordinanza di custodia cautelare per l’avvocato Antonio Marra, imputato nel processo “Gotha”. Secondo i giudici della Suprema Corte, infatti, il Riesame non ha motivato adeguatamente la ragione per la quale ci sarebbe la necessità di tenere il legale in regime di custodia cautelare.

Pena troppo bassa

Innanzitutto, i giudici spiegano come la legge 17/82 prevede una reclusione per il reato di associazione segreta che va da uno a cinque anni, per il promotore o per chi la dirige. Mentre per i partecipi si arriva ad un massimo di due anni, «con una pena quindi che non consente l’applicazione di misure custodiali».


La struttura associativa

Ma la Cassazione va oltre. Per i giudici, infatti, il Riesame avrebbe dovuto chiarire quali fosse stata «l’attività di influenza dell’associazione sulle pubbliche amministrazioni e quale fosse il profilo di illiceità della stessa, ritenuto necessario per la configurabilità del delitto associativo». Ed invece «la lunga e dettagliata motivazione del Tribunale si è risolta nella elencazione di una serie di elementi che avrebbero dovuto confermare l’ipotesi accusatoria ma che, invece, non rispondono affatto alle indicazioni poste dalla sentenza di annullamento».

Per la Cassazione, «anche con riferimento alla verifica dell’esistenza della struttura dell’ipotizzata associazione segreta si è fornita una risposta eccentrica rispetto a quanto richiesto». I giudici spiegano come si sia dedotta l’esistenza dell’associazione segreta dalle indicazioni fornite da alcuni collaboratori di giustizia circa l’appartenenza di Marra, di Romeo e di altri soggetti alla massoneria, «come se all’interno di tale associazione, peraltro non segreta nel suo complesso, si fosse individuata una loggia che, composta e costituita da Romeo e da Marra e dagli altri componenti dell’associazione segreta, interferisse illecitamente sull’azione dei nominati enti pubblici. Ma ciò, secondo la stessa ipotesi d’accusa, non è stato affatto provato. Tanto che l’associazione segreta che Romeo e Marra avrebbero costituito non viene definita come una frazione della massoneria calabrese o reggina ma, più semplicemente, come un gruppo di persone che, riunite sotto il comando di Romeo, agivano all’ombra di altre (diverse dalla massoneria) organizzazioni palesi». Cade, dunque, il «discorso giustificativo dell’ordinanza» quando intende «desumere l’esistenza dell’associazione segreta dall’appartenenza di alcuni dei suoi componenti alla massoneria».

Quanto poi alle condotte illecite di interferenza nei confronti degli enti pubblici, il percorso argomentativo «è insufficiente» perché viene fatto «senza chiarire sia perché tali condotte debbano considerarsi illecite, sia perché le stesse debbano considerarsi rivelatrici di quella stabile organizzazione che costituirebbe l’ipotizzata associazione segreta». Ancora, per i giudici romani non è stato «sufficientemente chiarito in cosa sarebbe consistito l’intervento sul progetto di area metropolitana» e non è stata esplicitata «la ragione per la quale l’ente interessato avrebbe travalicato i suoi dovere istituzionali nel finanziarie la presentazione o la diffusione del libro del coindagato Tuccio».

Ovviamente questo è un giudicato cautelare, considerato che il processo è ancora in corso, con rito ordinario, davanti al Tribunale di Reggio Calabria. Una pronuncia che, però, ora vede anche un capitolo nuovo e cioè la sentenza emessa dal gup di Reggio, Pasquale Laganà, che, invece, ha sposato la tesi della Dda quanto all’esistenza di un’associazione segreta servente rispetto alla ‘ndrangheta. Una matassa che potrà trovare il suo dipanarsi proprio nel corso del procedimento in corso all’aula bunker di Reggio Calabria.

c. m.

Giornalista
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