Boss, spie e istituzioni: legami inconfessabili all’ombra dei container

Il pentito Mesiani Mazzacuva traccia il profilo di Rocco Molè, l’uomo chiave nelle relazioni internazionali all’interno del porto di Gioia, dove s’intrecciano traffici di droga e armi, scambi di favori e accordi riservatissimi con i servizi segreti americani
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di Consolato Minniti
4 marzo 2017
13:00

«Che ci fosse un collegamento diretto tramite altre persone con i servizi, questo era sicuro e scontato da parte di Rocco Molè». Parole e musica firmate da Pietro Mesiani Mazzacuva, collaboratore di giustizia, imparentato con la famiglia ‘ndranghetista dei Molè, poiché la sorella, nel 1988 sposa Domenico Molè.

 


Arrestato nell’inchiesta “Mediterraneo”, Mesiani Mazzacuva sceglie quasi subito di parlare con i magistrati. Sa che le vie non sono molte, che il clima non è di quelli migliori. Perché la storia che lo coinvolge è fatta di mafiosi, spie, guardie e ladri che si mescolano, s’intrecciano e creano un groviglio da cui uscire diventa quasi impossibile. Una fitta rete di relazioni che travalica i confini italiani, pur rimanendo costantemente all’ombra delle enormi gru del Porto di Gioia Tauro. Perché è quello il vero centro nevralgico degli interessi dei clan della Piana. Un luogo che diventa la chiave d’accesso ad un universo fatto di amicizie, relazioni, favori, scambi e che coinvolge tanto ‘ndranghetisti, quanto professionisti e pezzi di Stato.

 

La paura dopo l’omicidio del boss. Pietro Mesiani Mazzacuva è consapevole che la parabola criminale della famiglia di suo cognato sta prendendo una discesa da cui forse, non ci sarà più la risalita. L’omicidio di Rocco Molè nel 2008 fa precipitare gli eventi. «Io – spiega il pentito – scendevo una volta a settimana (da Terni a Gioia Tauro, ndr), stavo due giorni, non dormivo neanche a Gioia Tauro, perché dormivo a Scilla, evitavo proprio completamente di farmi vedere su Gioia Tauro, anche perché il clima era cambiato, la situazione era quello che era e il rischio che qualcuno dicesse “colpiamo il più fesso della situazione” eh eh eh… c’era! Mia moglie infatti non era tranquilla». Il pm Musolino, della Dda di Reggio Calabria, allora chiede maggiori chiarimenti. E il riferimento a Rocco Molè arriva immediatamente: «Per l’omicidio di Rocco Molè – spiega Mazzacuva – Logicamente i Molè sono stati estromessi da ogni tipo di situazione e il rischio che poi proseguisse chi aveva iniziato nell’opera, insomma… iniziata… di indebolimento della famiglia o colpire chi poteva essere per loro d’aiuto, insomma c’erano questi timori, parliamoci chiaro». Poi arriva l’operazione “Mediterraneo” e l’arresto conseguente. E in Mesiani Mazzacuva scatta la molla della collaborazione.

 

Sorridente, sempre lui. Il pm Musolino stuzzica il pentito sulla figura di Luigi Emilio Sorridente. Chi era costui? Mesiani Mazzacuva ne fornisce una descrizione che conferma quanto già si era visto con gli altri collaboratori di giustizia (LEGGI QUI): «Luigi Sorridenti è sempre stato una via di mezzo fra tutti, era molto vicino a Mommo Molè fino alla data di arresto e poi al suo successivo arresto nelle varie operazioni che si sono susseguite, dopo di che con Mico e con Rocco non ho mai avuto diciamo feeling, ecco, parliamoci chiaro, non è mai stato molto vicino né a Mico che poi è stato arrestato, neanche a Rocco dopo. Quindi è rimasto un po’ più per i fatti suoi poi isolato, ma Rocco bene o male si circondava di altre persone».

 

Gli omissis, il ruolo di Rocco Molè e il stop al 41 bis. A questo punto un breve tratto omissato del verbale, dà il via al capitolo che intreccia ‘ndrangheta, servizi segreti e apparati para-massonici. Mesiani Mazzacuva, infatti, svela come «prima che gli venisse tolto il 41 bis a Mommo e Mico, Rocco Molè avevano avuto un aggancio con i servizi per fare arrivare a Bari dall’Albania un camion carico di armi e questo camion doveva arrivare a Bari e doveva essere poi lasciato in un punto che gli avrebbero detto questi dei servizi, da lì la mia prima, diciamo, deduzione che avessero qualche collegamento. Questi qua dicono poi che sarebbero intervenuti per far togliere il 41 a Mimmo e Mommo, cosa poi avvenuta logicamente ah». Il riferimento temporale, ovviamente, è ad un periodo precedente all’omicidio di Rocco Molè, dunque intorno al 2006. Mesiani aggiunge due particolari interessanti: «Mi ricordo che Rocco aveva mandato Domenico Stanganelli a Bari per cercare di fare da apripista insomma a questo camion quando sarebbe sceso, mi ricordo che poi il camion non arrivò in quella circostanza ma poi in una circostanza diversa, successiva e mi ricordo perché Domenico Stangelli con un suo autista per scendere da Bari a Gioia Tauro, non sapendo la strada andarono prima a Roma e poi scesero. E furono presi in giro per un lungo periodo di tempo».

 

I silenzi di Rocco Molè. Non parlava con nessuno il boss della famiglia Molè. Ed aveva i suoi buoni motivi. «Neanche ai figli, cioè ai nipoti, non gli fece sapere tutte le sue varie situazioni e una cosa di cui ne abbiamo parlato con Ernesto Modafferi all’epoca, abbiamo carpito qualche discorso ma non è che ce lo disse chiaramente lui, questo assolutamente e in più ho saputo che la stesso però voce gli era arrivata a mio cognato, quando gli è stato tolto il 41 bis». Il pm allora domanda se fosse il frutto di quel carico di armi scortato. E Mesiani Mazzacuva replica: «Che Rocco era in contatto con i servizi». Fu anche chiesto di collaborare con la giustizia, a Rocco Molè. Ma lui rispose picche.

 

Servizi segreti e porto di Gioia. Probabilmente serviva che continuasse a mantenere quegli equilibri che aveva saputo creare. Ed è per questo che il pentito non ha dubbi: «Che ci fosse un collegamento diretto tramite altre persone con i servizi questo era sicuro e scontato da parte di Rocco Molè. E loro (i servizi, ndr) cercavano un riferimento, questo è poco ma è sicuro e penso che pure ad altro poi gli fu proposto, all’interno del Porto di Gioia Tauro, loro volevano un referente là dentro, qualcuno che tenesse l’ordine e che gestisse qualcosa per conto loro all’interno del porto di Gioia Tauro. Questo me lo disse sia Ernesto Modafferi e sia Nino Molè, il figlio di Mommo, perché dopo che Rocco Molè fu ammazzato, non so però a chi, qualcuno fu avvicinato per mandare un’imbasciata alla famiglia Molè, dicendo che loro volevano un punto di riferimento, che in cambio di questo punto di riferimento che doveva esserci, ma una persona seria, loro avrebbero fatto di tutto per fare uscire Mommo Molè dal carcere». Allora il pm domanda: «Sa se erano servizi segreti italiani o stranieri?». Mesiani Mazzacuva non sa, non può sapere. Ma di una cosa è a conoscenza: «Sulla Polizia di Gioia Tauro c’erano voci che proteggevano qualcuno in cambio di soffiate». Gli omissis nascondono nomi di probabili poliziotti cui il pentito si riferisce. «Secondo la famiglia Molè, nell’ambiente della famiglia Molè, detto prima da Rocco Molè, poi da Ernesto Modafferi e da mio nipote Nino e da Nino “Il nero”, cioè loro lo dicevano continuamente che l’anticrimine favoriva qualcuno a Gioia Tauro, perché in cambio gli facevano delle soffiate».

 

L’uomo della Cia che aveva previsto tutto. Riannodando le fila, dunque, torniamo al punto di partenza: è una storia di spie, mafiosi e pezzi di Stato. Ma non solo italiano. Perché quando si parla di porto di Gioia Tauro, le mire sono molto più alte. E infatti, a parlare – e tanto – di Rocco Molè e delle cosche della Piana, fu un uomo dai tratti misteriosi, ma sicuramente assai vicino a quegli ambienti para-massonici di cui in queste ore si fa un gran parlare. Si tratta del “comandante” Giorgio Hugo Balestrieri, arrestato dopo molti anni dal giorni in cui fu emessa l’ordinanza di custodia cautelare in carcere nell’inchiesta “Maestro”. Lui formalmente era latitante, ma se ne stava buono negli Stati Uniti, in luoghi ovattati da evidenti protezioni che non gli facevano temere troppo. In un’intervista rilasciata nel 2011 alla testata “Calabria ora”, Balestrieri disse queste testuali parole: «Partiamo da un assunto: la ‘ndrangheta non è un’organizzazione mafiosa, ma terroristica. Le dirò di più: la ‘ndrangheta è il vero braccio destro di Ahmadinejad. Vuole che parliamo dei traffici di armi ed esplosivo con l’Iran che arrivavano al porto di Gioia Tauro? Sono dovute arrivare 7 tonnellate di T4 al porto calabrese per accorgervi che quello è un crocevia di traffici con l’Iran. Ci sarebbe da vergognarsi per questo, anche perché si è subito detto che la Calabria con quell’esplosivo non c’entrava nulla». Poi l’affondo pesantissimo: «Basta che le dica una cosa sola: Rocco Molé era un nostro informatore, ci dava i numeri per individuare i container che arrivavano a Gioia Tauro. Poi, dopo che qualcuno ha scoperto questa cosa, Mole è stato ammazzato. Ma noi americani non siamo mai andati a rompere le scatole a nessuno. Prendevamo le nostre informazioni ed andavamo via. Bisognerebbe approfondire quelli che sono i legami delle cosche in Italia, in Europa e nel resto del mondo con speciale attenzione all’Iran. Le ripeto: questa è un’organizzazione terroristica che ha profondi intrecci anche con la Colombia, il Messico, il Venezuela». Sì, avete capito bene: Molè veniva visto da un uomo che assumere essere membro della Cia, come un informatore dei servizi americani. Non italiani. Americani. Balestrieri non è un uomo sprovveduto. Parla con cognizione di causa, perché proprio lui è entrato mani e piedi nell’affaire “Villa Vecchia”, lo stesso luogo citato sia nell’indagine “Maestro” che da più pentiti, come residenza nella quale avvenivano incontri massonici. Ricordate le dichiarazioni di Cosimo Virgiglio ai pm Lombardo e Musolino? «I templari era uno tra i momenti più importanti, di cui all’epoca anche Licio Gelli voleva assolutissimamente essere partecipe, per i concetto finale del riciclaggio dei denari, ed uno dei punti strategici era proprio l’hotel “Villa Vecchia”, questo sempre quando era ancora in vita Ugolini».

 

Le trame all’ombra dei container. E ricordate ancora cosa dice Virgiglio di Ugolini? Eccolo: «Gelli aveva il suo piccolo gruppetto, ma non aveva il gruppo grosso che aveva invece Ugolini, il gruppo grosso era Ugolini perché aveva in mano il Sismi, il Sisde». Ugolini, Villa Vecchia, Gelli e le famiglie Piromalli e Molè. In mezzo, Giorgio Hugo Balestrieri e Luigi Emilio Sorridente. Dietro, quasi al buio, servizi segreti italiani e americani.

 

Ecco perché questa è una storia molto più complessa di quella che si vorrebbe far credere. Perché le dimensioni degli intrecci vanno ben oltre gli angusti confini della Piana di Gioia Tauro, della Calabria e della stessa Italia.

 

Consolato Minniti

Giornalista
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