25 Aprile

La nuova lotta di liberazione per sottrarre spazi alle mafie, nelle piazze e dentro le famiglie

Il 25 aprile ha un significato in più per le associazioni impegnate sul fronte della lotta alla criminalità. Elisa Crupi e don Giorgio De Checchi, dirigenti nazionali di Libera, raccontano come è cambiato l’impegno dei volontari che puntano al rapporto diretto con le persone sul territorio e ad offrire un’alternativa di vita ai familiari dei boss che vogliono affrancarsi dal contesto mafioso (ASCOLTA L'AUDIO)

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di Alessandro Russo
25 aprile 2023
06:30
La celebrazione di Falcone e Borsellino
La celebrazione di Falcone e Borsellino

La parola libertà e la parola liberazione hanno peso e sapore differenti secondo l’epoca storica. Così come fu per la Liberazione dal nazifascismo, anche la battaglia per la liberazione dalle mafie oggi ha un impatto diverso nell’opinione pubblica. Sembra lontano il tempo delle grandi mobilitazioni antimafia, dei cortei, degli studenti in piazza, dell’indignazione e della presa di coscienza collettiva del dopo Falcone e Borsellino.

Oggi le mafie fanno meno rumore, non fanno gesti eclatanti e per questo sono ancora più pericolose e insinuate dentro la società e l’economia. Libera (Associazioni Nomi e Numeri contro le Mafie), che fu fondata da don Luigi Ciotti per stare accanto e sostenere i familiari delle vittime di mafia, oggi fa i conti con una società più distratta. Distratta dal post-pandemia, dalla guerra, dalla crisi. Ma fa i conti anche con una mafia ancora più pericolosa e potente.


La guerra si sposta su altri fronti. Le mobilitazioni di massa e le grandi campagne d’opinione lasciano campo alla lotta per “gli spazi”. Una lotta per gli spazi fisici – le strade e le piazze – da sottrarre alle mafie e al loro proselitismo, una lotta all’interno dei nuclei familiari dei mafiosi per offrire ai giovani, alle donne, ai bambini, la possibilità di scegliere. È un passaggio culturalmente forte, perché dalla rappresentazione (superficiale) di un associazionismo antimafia speculare all’apparato repressivo, di un associazionismo con “il dito puntato”, si è fatta strada l’idea di un gruppo di movimenti in grado di lavorare per un’alternativa (vera) di vita a chi nasce in quartieri degradati o appartiene a famiglie mafiose.

Per questo il 25 aprile è ancora oggi la giornata più adatta per parlare di emancipazione e liberazione da contesti mafiosi. Lo facciamo con Elisa Crupi, referente nazionale per il settore formazione di Libera, e don Giorgio De Checchi, che segue il progetto “Liberi di scegliere”.

Elisa Crupi: nelle piazze e nelle strade per sottrarre territorio alle mafie 

«Per noi “liberazione” significa mettere al centro i diritti e la giustizia sociale», spiega Elisa Crupi. «La legalità ha senso se mette al centro la persona, se non lascia indietro gli ultimi. Anche per questo il 21 marzo, il Giorno della Memoria in ricordo delle vittime innocenti di mafia, abbiamo scelto di leggere anche i nomi delle vittime della strage di Cutro». La responsabile formazione di Libera racconta come il periodo del Covid e anche la paura della guerra in corso abbiano amplificato le fragilità sociali ed economiche sulle quali si insinuano i sistemi criminali.

«Per offrire una risposta adeguata lavoriamo proprio sulla rete di comunità. Il lavoro educativo è una delle chiavi di volta più importanti per disinnescare alcuni meccanismi di oppressione mafiosa, in particolare in alcune regioni come la Calabria. Le “comunità educanti” cerchiamo di praticarle sui territori. Lavoriamo ormai tantissimo negli spazi aperti al pomeriggio dentro le scuole, abbiamo creato dei percorsi che mettono in connessione il territorio, la comunità scolastica e il terzo settore. Cerchiamo di costruire spazi in cui i ragazzi possano veramente pensare che c'è possibilità di fare “altro”. Questa per noi rappresenta una grande sfida, differente dal percorso antimafia che era molto più “urlato” e apparteneva anche a un'altra stagione. Adesso c'è bisogno di scendere in profondità, di lavorare nei microcontesti. Occorre ricostruire un tessuto di fiducia tra i giovani, considerati spesso solamente come soggetti beneficiari passivi e che invece noi vogliamo rendere protagonisti attivi».

Elisa Crupi e don Giorgio De Checchi

Le legalità può farsi spazio sul terreno dei bisogni delle persone

Elisa Crupi descrive il lavoro dei volontari in un contesto particolarmente impegnativo della periferia romana, dove le mafie spesso sono “welfare”, forniscono stipendi, assistenza, fanno proselitismo e fanno avanzare il business della droga. «A Tor Bella Monaca organizziamo - e sembra una cosa banale - le domeniche in piazza. Ma è una piazza particolare, in cui se non c'è un presidio di legalità, fatto di persone e di attività sociali e culturali, vince lo spaccio. La nostra idea della cura degli spazi pubblici non è solo legata alla bellezza estetica e al decoro urbano, ma anche alla cura e alla bellezza delle relazioni umane, ai legami che si creano tra le persone. In questo ci aiutano tantissimo gli insegnanti e i docenti delle scuole limitrofe, ma noi continuiamo anche nel periodo delle vacanze. Quando la scuola è chiusa c’è qualcos’altro: c’è la rassegna culturale o di cinema, c'è l'estate in piazza. Quando una piazza assediata da attività criminali viene conquistata da una rassegna di cinema la gente si incuriosisce, si avvicina. In quel luogo comincia a diffondersi un altro tipo di cultura. È un processo lunghissimo, c'è bisogno di creare un legame di fiducia con le persone: e questo lo si può fare solo se le persone si incontrano, si riconoscono, se imparano proprio a fidarsi di te. Libera è una rete di associazioni che costruisce reti di servizi. Ci sono persone che fanno fatica ad arrivare a fine mese, non dobbiamo dimenticarlo. C'è bisogno di conseguire obiettivi concreti di sostegno e solidarietà, legati ai bisogni primari delle persone. E allora lì, sul terreno dei bisogni, dove agiscono le mafie, la legalità si fa spazio offrendo servizi e possibilità concrete alle persone».

Elisa Crupi durante un convegno

Don Giorgio De Checchi: “Liberi di scegliere” un’alternativa di vita per i familiari dei mafiosi

Il progetto “Liberi di scegliere” (il percorso è stato reso celebre dall’esperienza dal Tribunale dei minori di Reggio) parte da una constatazione di fatto: giovani, bambini, donne appartenenti a famiglie mafiose che cercano un’alternativa di vita, che vogliono fare la scelta dirompente di ribellarsi alla ‘ndrangheta o alla mafia, per la legge italiana non hanno diritto a una protezione. Liberi di scegliere nasce da un’intesa tra Presidenza del Consiglio, Tribunale per i Minorenni, Procura di Reggio, Procura Nazionale Antimafia e Libera, con il sostegno della Cei, proprio per promuovere una rete di protezione e di sostegno ai minori e alle loro madri, provenienti da famiglie mafiose e che vogliono affrancarsi da esse.

Un’alternativa di vita, un circuito diverso da chi è destinato a diventare un soldato di mafia o moglie di un boss. «Il progetto “Liberi di scegliere” si colloca proprio all'interno della cultura mafiosa e della stessa famiglia mafiosa, perché si rivolge a minori, donne, madri e anche uomini che a un certo punto si chiedono: che senso ha continuare con questa vita?», spiega don Giorgio De Checchi. «L'essenza del progetto è dare la possibilità a chi si pone finalmente la domanda “che senso ha quello che sto facendo” di ripensare alla propria vita. La cosa interessante è che, probabilmente, qualcuno percepisce per la prima volta l'intervento della società e delle istituzioni come propositivo, come un intervento di opportunità e di futuro. Spesso i ragazzi e le donne che oggi incontrano “Liberi di scegliere”, si erano confrontati con una società civile che li aveva giudicati prima ancora di “guardarli”, si erano confrontati con un'istituzione che si era posta davanti a loro solo con il peso della legge e quindi delle sanzioni. Invece ora ci sono figli e mogli di mafiosi al 41 bis che si trovano davanti una società che dà loro una possibilità, un’alternativa di vita per allontanarsi dalle dinamiche della famiglia mafiosa di origine».

Don Luigi Ciotti e don Giorgio De Checchi

La libertà non può essere imposta, ma noi abbiamo il dovere di provarci

Don Giorgio vuole essere chiaro, la strada è difficile e complessa. C’è un contesto mafioso in cui si nasce ma ci sono uomini e donne che scelgono liberamente di restare legati a quel contesto. «Credo che non si obblighi più con la pistola alla tempia una ragazza ad andare in sposa a un ragazzo in odor di mafia o a un boss. Però a un certo punto quella ragazza, diventata madre, può capire che per i suoi figli quelle cose non vanno bene e chiede di avere una possibilità diversa. Anche un condizionamento potente come quello mafioso non potrà mai negare quel desiderio che urla dentro ogni persona: “io voglio scegliere”. Libera è nata all'indomani delle stragi per costruire una “memoria viva” delle persone che hanno dato la vita per la democrazia. Libera quindi è simile a un moto di rivolta, non per eliminare i “cattivi”, ma per perpetuare il rispetto della vita e delle persone che sono state uccise per il bene di tutti, per far conoscere la loro storia, per togliere spazio e importanza a chi toglie la vita agli altri. Il primato della persona e il valore della dignità hanno portato Libera ad incontrare il progetto “Liberi di scegliere” ancora prima che nascesse, perché è antecedente il nostro impegno per dare opportunità e possibilità a chi non vuole più avere nulla a che fare col contesto mafioso».

Conclude il sacerdote: «In “Liberi di scegliere” Libera trova un pezzo della sua missione, che è quello di dare importanza alle persone oltre le etichette. Certo c'è un grosso rischio, non si può imporre la libertà. Si può dare la possibilità alle persone di essere libere, e in questa possibilità donne e uomini possono scegliere cose che a noi non piacciono, oppure scegliere di ricominciare mettendosi definitivamente alle spalle il passato. Per quanto sia accidentato il terreno della libertà noi abbiamo il dovere di provarci fino in fondo».

Giornalista
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