'Ndrangheta e Br, nuove rivelazioni sul rapimento di Aldo Moro

La Commissione parlamentare d'inchesta sul rapimento e la morte di Aldo Moro ha presentato 200 pagine che fanno il punto della situazione su ciò che è avvenuto nella prima metà dei 55 giorni di sequestro
di Manuela Serra
10 dicembre 2015
16:27

Dopo un anno di lavoro, la Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e la morte di Aldo Moro, presieduta da Beppe Fioroni, tira le prime somme: circa 200 pagine, presentate oggi che fanno il punto "sugli avvenimenti della prima metà dei 55 giorni del sequestro di Aldo Moro, dal 16 marzo sino al 18 aprile 1978". Nuovi elementi di interesse sono emersi nel corso della collaborazione avviata con le Procure di Milano, Brescia e Reggio Calabria. 

 


Diversi indizi sono stati raccolti sia in merito alla notizia, circolata in ambienti 'ndranghetisti, dell'esistenza di un'arma "sporca" impiegata a via Fani, sia in ordine all'ipotizzato interessamento, dapprima sollecitato, poi scoraggiato, della criminalità organizzata per favorire il rinvenimento del luogo di prigionia di Aldo Moro. Gli accertamenti in corso e i relativi esiti parziali sono tuttora coperti da segreto. In questa fase, si può riferire soltanto che – in relazione all'ipotesi che appartenenti a organizzazioni criminali siano stati ritratti in talune delle fotografie scattate il 16 marzo 1978 tra la folla presente in via Fani – la Commissione ha disposto l'acquisizione di tutto il materiale fotografico ripreso in quell'occasione dalle principali testate giornalistiche e agenzie di stampa.


Tantissime le strade battute dall’organismo parlamentare che cerca di fare luce sull’omicidio politico più importante della storia italiana del dopoguerra, nonostante i 37 anni trascorsi da quella drammatica vicenda, partendo dalla convinzione che le parole di Valerio Morucci, che portarono al cosiddetto memoriale con la verità delle Br sul caso Moro, "segnarono, e forse segnano, i confini della 'verità dicibile' su 55 giorni, a cominciare proprio dalla ricostruzione delle prime cruciali fasi dell’azione brigatista".

 

Era stato Raffaele Cutolo, detto ‘o professuri, detenuto presso la casa circondariale di Parma in regime di 41 bis, a riferire di aver appreso in carcere, da un boss della 'ndrangheta, dei contatti tra le br e l'organizzazione criminale calabrese con riferimento alle armi usate durante il sequestro. La Commissione ha accertato che nel carcere in cui all'epoca si trovava Cutolo vi era un solo detenuto appartenente alla malavita organizzata calabrese, il cui nome era compatibile con quello riferito dalla stesso Cutolo.

 

Giornalista
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