'Ndrangheta a Lamezia, il rifiuto di vendere alcuni prodotti dietro l’intimidazione al panificio “Angotti”

Ricostruita l’intimidazione che tanto clamore ha provocato nella citta della piana. Individuati i presunti mandanti e il movente del gesto finalizzato a favorire la cosca di ‘ndrangheta Cerra-Torcasio-Gualtieri
di Manuela Serra
23 maggio 2017
17:00
La bomba esplosa contro il panificio
La bomba esplosa contro il panificio "Il Fornaio"

Danneggiamento in concorso: questo tra i reati contestati ad Antonio Miceli e Antonio Saladino (unitamente a Davide Belville e Francesco Giglio, già detenuti), entrambi raggiunti da un provvedimento di fermo nell’ambito dell’operazione “Crisalide” scattata questa mattina a Lamezia. (LEGGI I NOMI E GUARDA LE FOTO)


Per gli inquirenti infatti – così come emerge dal fermo – “per realizzare il programma associativo riconducibile alla cosca di ‘ndrangheta Cerra - Torcasio – Gualtieri operativa sul territorio di Lamezia Terme, compivano atti consistiti nella collocazione e deflagrazione di un ordigno di tipo artigianale all’esterno dell’esercizio commerciale “Il Fornaio” di Lugi Angotti (materialmente gestito dai figli Luca e Fabio)”.



Il gesto sarebbe riconducibile alla volontà della cosca – si legge ancora – “di costringere i titolari dello stesso, a commercializzare i prodotti del caseificio “La Bufala” sito in via dei Bizantini a Lamezia Terme, di proprietà di Teresa Torcasio,moglie di Miceli Antonio (in foto) e nipote diretta della capocosca Cerra Teresina.” Il progetto non si sarebbe poi realizzato poiché gli esercenti del locale rimanevano irremovibili sulla loro scelta di non cedere alle richieste di Miceli e dei suoi sodali.

 

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Nel dettaglio per l’intimidazione ai danni del Fornaio Angotti dalle indagini emergono elementi tali che “evidenziano il pieno coinvolgimento di Miceli e Saladino in qualità di mandanti di Gigliotti e Belville quali esecutori materiali dell’atto intimidatorio”.

Le intercettazioni. Fondamentali le intercettazioni tra Miceli e Gigliotti che venivano captati mentre discutevano delle micce da utilizzare ed in particolare al tempo intercorrente tra l’accensione della miccia e quello dello scoppio, stimato dai due indagati tra i 30 ed i 50 secondi. Nei giorni successivi gli stessi si occupavano materialmente di occultare il ciclomotore utilizzato per compiere l’atto intimidatorio. In effetti per come affiorava dalle conversazioni ambientali sull’autovettura monitorata in uso a Miceli, gli stessi si recavano in località Rito del Comune di Platania, dove in un fabbricato abbandonato, lasciavano il ciclomotore che fino a pochi minuti prima era stato materialmente custodito presso l’abitazione di Gigliotti.

A conferma di quanto emerso dalle indagini, una fonte confidenziale alla Polizia Giudiziaria ribadiva che il mandante dell’intimidazione era da individuare nella persona di Miceli Antonio e che le motivazioni alla base erano riconducibili proprio al rifiuto dei fratelli Angotti di vendere nel loro punto vendita i prodotti caseari del punto vendita “La Bufala”. A riscontro anche le dichiarazioni rese negli Uffici del Commissariato di Lamezia Terme, dei fratelli Fabio e Luca Angotti, nelle quali le vittime precisavano che dapprima Miceli e successivamente un suo sodale Rosario Muraca, si erano presentati nel negozio per imporre la vendita dei prodotti caseari.

 

Manuela Serra

Giornalista
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