‘Ndrangheta: i pentiti “vibonesi” incastrano Figliuzzi e Loielo

Daniele Bono, Vasvi Beluli e Arben Ibrahimi permettono agli inquirenti di ricostruire il ruolo dei presunti killer e del “mediatore” Salvatore Callea nell’omicidio di Giuseppe Canale
di G. B.
10 novembre 2017
17:07

Presenta diversi punti di contatto con un “modus operandi” già portato alla luce con l’operazione “Romanzo criminale”, ma soprattutto con l’inchiesta “Gringia”, l’indagine che ha condotto in carcere i presunti mandanti ed i presunti esecutori materiali dell’omicidio di Giuseppe Canale compiuto a Gallico il 12 agosto del 2011. Ancora una volta, infatti, emerge il ruolo di Salvatore Callea, 50 anni, di Oppido Mamertina, quale soggetto capace di procurare i presunti sicari per le azioni di fuoco e poi di retribuirli. Un ruolo che gli è già costato la condanna all’ergastolo in primo grado nel processo “Gringia”, celebrato in Corte d’Assise a Catanzaro, e attualmente in fase di appello. Proprio il 6 novembre scorso, la Procura generale di Catanzaro ha chiesto ai giudici di secondo grado la conferma del carcere a vita per Salvatore Callea, imputato unitamente ad altri 9 soggetti che avrebbero preso parte per conto dei Patania di Stefanaconi, alla faida contro il gruppo di Antonio Emilio Bartolotta, sempre di Stefanaconi, e contro il clan dei Piscopisani.

 


A parlare del ruolo di Salvatore Callea e di Nicola Figliuzzi, 27 anni, e Cristian Loielo, pure lui di 27 anni, entrambi di Sant’Angelo di Gerocarne, sono stati i collaboratori di giustizia Daniele Bono, Arben Ibrahimi e Vasvi Beluli. Il primo, Daniele Bono, “assoldato” dai fratelli Patania dopo l’uccisione del padre Fortunato Patania ad opera dei Piscopisani, è poi divenuto il compagno di Loredana Patania, vedova di Giuseppe Matina, alias “Gringia”, ucciso dal clan Patania nel febbraio 2012 a Stefanaconi.

 

Gli altri due, Arben Ibrahimi e Vasvi Beluli, di nazionalità macedone ma residenti a Canino, in provincia di Viterbo, sarebbero stati assoldati da Salvatore Callea per diversi omicidi sia per conto dei Patania e sia - si scopre ora dall’inchiesta reggina - per conto del clan Chirico-Condello di Reggio Calabria.

 

Il mandato di uccidere Canale. Secondo le dichiarazioni dei tre collaboratori di giustizia, tutti sarebbero stati contattati da Salvatore Callea per compiere l’omicidio di Giuseppe Canale. Ibrahimi e Beluli non avrebbero però accettato l’offerta, mentre Daniele Bono avrebbe in un primo tempo accettato l’incarico omicidiario portandosi a Reggio Calabria con un’auto con la quale avrebbe individuato la vittima predestinata. Secondo il racconto di Bono, Giuseppe Canale che si trovava seduto ad un bar di Gallico, avrebbe però notato qualcosa che non andava nella portiera dell’auto a bordo dell’auto sulla quale si trovava Daniele Bono. Canale, insospettito, si sarebbe quindi allontanato dal bar per non farvi più ritorno, scampando così al proposito di morte.

 

Il ruolo di Figliuzzi e Loielo. In una fase successiva, stando al racconto dei tre collaboratori di giustizia, Salvatore Callea avrebbe contattato Nicola Figliuzzi e Cristian Loielo, entrambi di Sant’Angelo di Gerocarne, proponendogli un compenso fra i 10 ed i 14mila euro per uccidere Giuseppe Canale. I due vibonesi si sarebbero così portati a Gallico a bordo di uno scooter guidato da Cristian Loielo il quale - secondo i pentiti - avrebbe esploso i primi colpi d’arma da fuoco ferendo ad una gamba Giuseppe Canale il quale avrebbe tentato di scappare per strada scaraventando contro i killer anche dei cassonetti di spazzatura di plastica. Tutto inutile, però. Nicola Figliuzzi, sceso a piedi, avrebbe continuato a sparare sino a finire la vittima designata. Nella sparatoria è rimasta ferita anche una persona che si è trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato. Particolari, anche questi, raccontati dai collaboratori di giustizia e perfettamente coincidenti con quanto realmente avvenuto.

 

La pistola fatta ritrovare da Bono. A conferma della genuinità del racconto di Daniele Bono, particolare di estrema importanza è che gli investigatori, seguendo proprio le indicazioni del collaboratore di giustizia, sono riusciti a trovare il revolver calibro 38 che - in virtù degli accertamenti esperiti dalla sezione balistica del Ris di Messina - è risultato essere quello utilizzato nell’omicidio Canale. Arma che, secondo il racconto di Bono, sarebbe stata nascosta da Cristian Loielo sotto un albero nel parco della Mondanità di Gallico subito dopo l’omicidio e nel mentre si dava alla fuga.

 

Il pagamento per la “missione” di morte. Daniele Bono avrebbe inoltre fatto da tramite con Salvatore Callea affinchè Cristian Loielo ricevesse tutti i soldi per l’omicidio compiuto, recandosi personalmente ad Oppido Mamertina per sollecitare a Callea il pagamento per l’azione di morte.

 

G.B.

Giornalista
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