Omicidio a Seminara, il coraggio di Nikolay porta in carcere i killer di Gioffrè

VIDEO | Il ragazzino ferito nell'agguato del 21 luglio scorso ha ricordato la voce di uno degli autori del delitto conosciuto il giorno prima durante una lite con la vittima

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22 settembre 2018
14:45

La voce era di «Mimmo». È questo l’indizio più importante che il piccolo Nikolay ha offerto agli inquirenti, per indentificare uno dei killer, che il 21 luglio scorso, ha ucciso nelle campagne di Seminara Fabio Giuseppe Gioffrè, figlio di uno dei pezzi da novanta della cosca Gioffrè degli “’ndoli”, Vincenzo Giuseppe detto “Siberia”, E Mimmo, identificato in Domenico Fioramonte, i carabinieri del Gruppo Gioia Tauro sono andati a trovarlo a casa, portandogli in regalo un mandato di arresto e un’accusa di omicidio aggravato dalle modalità mafiose.

 


Secondo la Procura Antimafia, Fioramonte avrebbe ucciso Gioffrè perché tentata di estorcergli denaro insieme agli altri due indagati finiti nell’inchiesta: Saverio Santaiti e Giuseppe Laganà Comandè. Non ha mai avuto paura, Nikolay, neanche con un pallettone di lupara nell’addome e due famiglie che facevano pressione per non farlo parlare con gli inquirenti. I particolari emergono dalla lettura dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip distrettuale su richiesta della Procura antimafia di Reggio Calabria.

 

Un ruolo fondamentale, quindi, quello del ragazzino di 10 anni di origine bulgara, ferito dai due killer e ora sotto protezione insieme alla sua famiglia. La stessa famiglia che, con quella della vittima, avrebbero tentato in tutti modi di non raccontare quanto sapeva agli inquirenti. La sua versione non è mai cambiata, né quella offerta ai magistrati reggini, né quando nelle intercettazioni ne parlava con i suoi familiari. Quella versione Nikolay la racconterà, nei giorni successivi all’omicidio, parlando di quei due uomini con il passamontagna, del modo in cui erano vestiti e soprattutto di quella voce, che aveva già sentito il giorno prima, quando Gioffrè aveva litigato con Domenico Fioramonte nel frantoio della sua famiglia. Lui quell’uomo lo aveva conosciuto, lo aveva visto e sentito parlare e lo ha identificato in una foto. Senza nessun tentennamento, senza nessuna paura.

 

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