Macrì: «Alcune istituzioni dello Stato temevano le rivelazioni dei pentiti»

La ricostruzione dei fatti del procuratore alla trasmissione i “Fatti in diretta”: «Le fondamenta dell’inchiesta “Mammasantissima” affondano nel passato e soprattutto nell’operazione “Olimpia”»
di Redazione
28 agosto 2016
20:14

«La ‘ndrangheta si è evoluta rapidamente a partire dagli anni Novanta ma le fondamenta dell’inchiesta “Mammasantissima” affondano nel passato e soprattutto nell’operazione “Olimpia”, la più grande operazione sulla ndrangheta fatta da una Dda calabrese. Quell'operazione portò a processo oltre 280 imputati, si concluse con condanne per centinaia di anni di reclusione e 60 ergastoli. Da quella operazione se ne diramarono altre, ciascuna delle quali comportò molte condanne e decine di ergastoli. L’individuazione di “Cosa Nuova” nasce con l’operazione “Olimpia” sulla base di dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia, fu una stagione felice per le collaborazioni da parte di personaggi che erano appartenuti alla ndrangheta».


A parlarne, alla trasmissione di “La C”, condotta da Pietro Comito, “I fatti in diretta”, è Vincenzo Macrì, procuratore generale di Ancona, per anni pm della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Tra i collaboratori che dettero informazioni utili, Macrì cita il pentito Gaetano Costa: «Fu di grande aiuto perché parlò della costituzione di “Cosa Nuova”».



In sostanza “Cosa Nuova” - spiega Macrì - era una nuova struttura «associativa, soprattutto proiettata all’esterno, con collegamenti sia con le altre mafie, soprattutto la siciliana, sia con altri poteri occulti come massoneria, politica e servizi segreti. Dopo una troppo lunga pausa, “Olimpia” è stata ripresa con intelligenza e impegno. I risultati confermano che i collaboratori di allora avevano detto tutto già allora. I pm di oggi li hanno reinterrogati, avendo conferme aggiornate di quel che avevano dichiarato allora. Le polemiche che ci furono nei confronti dei collaboratori, che secondo alcuni erano strumentalizzati, erano interessate: si temeva molto di quel che i collaboratori potevano dire sul rapporto tra mafia e istituzioni statali, compresa quella giudiziaria», conclude.

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