I poveri della porta accanto, la storia di Marta che non può comprare neppure un panino ai figli (VIDEO)

Anche un solo euro per acquistare la merenda a scuola può diventare un lusso, come racconta questa donna vibonese in grande difficoltà. L’appello del prete in trincea contro il disagio: «Ognuno faccia la sua parte»
di Enrico De Girolamo
22 febbraio 2018
16:21

«Non posso comprare neppure un panino al prosciutto ai miei figli». Quando si chiede a Marta, 40 anni, vibonese e disoccupata, di raccontare la sua storia, è da qui che inizia: da quel panino negato, dall’impossibilità per i suoi tre figli di acquistare la merenda nell’intervallo a scuola, come fa la maggior parte degli altri ragazzi. Un euro o poco più, tanto costa. Poca cosa, eppure la disponibilità quotidiana di quella moneta diventa un lusso che non si può permettere, una distanza con gli altri che non può colmare, nonostante l’esiguità della spesa.

 


«I miei figli restano a guardare gli altri che mangiano e si sentono umiliati da questa situazione - continua la donna -. Questo è il mio cruccio maggiore». Marta è un nome di fantasia. Accetta di parlare non per chiedere qualcosa, visto che l’anonimato non glielo consentirebbe, ma per testimoniare le difficoltà che migliaia di famiglie come la sua vivono ogni giorno. Persone “normali”, che sfuggono allo stereotipo dell’indigenza metropolitana. Non sono senzatetto che sopravvivono ai margini delle città o immigrati spaesati lontani migliaia di chilometri da casa, sono i poveri della porta accanto, quelli che magari vivono sul nostro stesso pianerottolo.

 

«Io un lavoro ce l’avevo - continua la donna - e mi piaceva. Ora io e mio marito, anche lui disoccupato, cerchiamo di tirare avanti con lavoretti saltuari, soprattutto attività di pulizia nelle case private. Ma anche quando qualcosa da fare si trova, pagano pochissimo, appena 5 euro l’ora. E come fai con 5 euro a pagare l’affitto, le bollette, le medicine. Ho provato a rivolgermi ai servizi sociali del Comune, ma senza ottenere niente».

Ad aiutare Marta, e tanti altri nella sua situazione, è principalmente don Giuseppe Fiorillo, una vera e propria istituzione nel Vibonese. «Una persona eccezionale - conferma la donna con trasporto - sempre pronta a darti una mano. Se non ci fosse lui non saprei proprio a chi chiedere aiuto».

La testimonianza di Marta

 

 Don Peppino, come lo chiamano tutti, è di quei preti di cui la gente si fida davvero, perché non si limita a declamare sacri principi da un altare, non giudica, non lancia anatemi. Lui le cose le fa. Da sempre ha due nemici giurati, entrambi mortali: la povertà e la mafia. E contro di essi combatte da decenni.

 

«Ci sono tantissime famiglie nelle condizioni di quella di Marta - dice il sacerdote -. Persone a cui staccano la luce, che non hanno più il riscaldamento, che addirittura rinunciano a curarsi, e sono tanti, perché non se lo possono permettere. Situazioni molto più frequenti di quanto si possa credere, perché si tratta di famiglie che fino a qualche tempo fa riuscivano ancora ad andare avanti con dignità, poi la mancanza di lavoro si è fatta cronica e queste persone sono lentamente ma inesorabilmente scivolate nell’indigenza. Una povertà invisibile, di cui spesso non ci accorgiamo».

 

Un piano inclinato che diventa sempre più ripido e sul quale rotola verso basso il futuro stesso di questo territorio e di tutta la Calabria, se si considera che il prezzo più alto lo pagano i giovani, senza nessun tipo di sostegno al reddito. Le colpe, secondo don Fiorillo, non sono esclusivamente in un’economia che continua ad arrancare, nonostante gli indicatori nazionali cerchino di convincerci che non va poi così male, ma soprattutto del malaffare.

 

«La corruzione dilagante e la mafia - sottolinea - sono i mali principali di questa terra, continuamente impoverita da chi si arricchisce sulla pelle degli altri. Insieme alla mancanza di lavoro, questi sono temi completamente assenti dalla campagna elettorale, concertata invece su pochi argomenti, sempre gli stessi, come la questione degli immigrati».

 

Ai politici, ma non solo, lancia dunque il suo appello, non tanto perché si illuda che venga davvero ascoltato, quanto piuttosto per assecondare quello che considera un obbligo morale.

«Tutti noi - dice -, a cominciare dalla politica e dalla società civile, abbiamo il dovere di fare la nostra parte dando una speranza a queste persone. La prima cosa è parlare, denunciare le angherie, condannare le ingiustizie e le logiche mafiose che stanno prosciugando questa terra. Chiunque abbia una responsabilità, a tutti i livelli, deve avere il coraggio di dire basta».

L'appello di Don Fiorillo


Enrico De Girolamo

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