Stragi di mafia, Francesco Calabrò ucciso perché conosceva la verità?

Il fratello del killer dei carabinieri scomparve nel nulla nell’ottobre 2006. Quattro anni fa, l’auto con i suoi resti fu ritrovata in mare. Ora emerge come fosse l’unico a custodire quel segreto confidato da Giuseppe. Tempi e contesti
di Consolato Minniti
4 ottobre 2017
12:35
Auto ritrovata
Auto ritrovata

«Vi posso fare una domanda dottore? Mio fratello, com’è morto?». Sono trascorse due ore d’interrogatorio, quando Giuseppe Calabrò si rivolge al procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho e domanda se almeno i pm sappiano come sia morto Francesco Calabrò, fratello di Giuseppe, scomparso il 9 ottobre del 2006 in circostanze misteriose e forse collegate al movente dell’omicidio dei carabinieri Fava e Garofalo ed al ferimento di altri militari a Reggio Calabria, da individuarsi nella strategia stragista di Cosa nostra e ‘ndrangheta.

Le domande al pm

Chiede con insistenza, Calabrò. Non si capacita del perché suo fratello possa essere morto.


Cafiero: Suo fratello? E anche noi abbiamo cercato di…

Calabrò: Com’è morto mio fratello?

Lombardo: Capire…

Cafiero: Capirlo

Calabrò: Come?

Cafiero: Anche noi stiamo tentando di capirlo…

Calabrò: Ma è stato Villani?

Cafiero: Come?

Calabrò: È stato Villani?

Cafiero: Non ci risulta che sia stato Villani, perché lei dice questo?

Calabrò: Lo Giudice dice che è stato Villani

Cafiero: Ah Lo Giudice

Calabrò: Almeno così ha dichiarato

Cafiero: Ma io pure non ho altri elementi al di fuori di questa cosa

Calabrò: È sicuro che mio fratello è stato scaraventato con la macchina giù?

Cafiero: Ma poi non è che dice proprio… che è stato…

Calabrò: Non avrebbe senso…

Cafiero: Dice… non è semplice… chiedete a lui… perché come volesse dire “è stato lui” ma lui invece dice di no.

L’inizio della collaborazione e l’attentato

Com’è noto, la storia della collaborazione di Giuseppe Calabrò è abbastanza tribolata. Dopo il suo arresto, iniziò a parlare con i magistrati, ma ben presto ritrattò tutto quanto, avendo tirato in ballo anche persone che nulla c’entravano con i fatti dei quali Calabrò si auto accusava. Ma perché ci fu una tale ritrattazione? La domanda che fa il procuratore Cafiero al killer è indicativa.

Cafiero: Senta… ma quando lei iniziò a collaborare, subì un attentato?

Calabrò: Dieci chili di tritolo … sì…

Cafiero: Chi… chi subì un attentato?

Calabrò: Casa mia… mi misero una bomba a casa

Cafiero: Misero una bomba? E quindi la sua famiglia fu portata fuori?

Calabrò: È stata quattro anni sotto protezione… questo qua… poi le dinamiche sono uguali non è cambiato niente

La scomparsa di Francesco e l’auto al porto

La famiglia Calabrò, dunque, per qualche tempo è nel mirino della ‘ndrangheta che vuole tappare per sempre la bocca a quel ragazzo che sembra poter parlare troppo e riferire segreti che devono rimanere sepolti per sempre. Ma – come vedremo più avanti – non solo Giuseppe è a conoscenza di quei fatti per averli vissuti direttamente. C’è anche un altro membro della famiglia che sa tutto. È il fratello più giovane, Francesco. Di lui non si ha più traccia dal 9 ottobre del 2006, quando scompare per sempre nel nulla. Se ne occupa persino la trasmissione “Chi l’ha visto”, dove giungono diverse segnalazioni che affermano di aver visto l’auto di Calabrò davanti ad una tabaccheria di via degli Ortolani a Bologna, o a Castelfranco Emilia. Ma sono tutte parole che non trovano riscontro effettivo. Perché servono sette anni per trovare quella Smart. Succede casualmente, mentre i vigili del fuoco sono impegnati a testare una nuova strumentazione al porto di Reggio Calabria. Calatisi in mare per le prove del caso, scorgono un’autovettura sui fondali. Che si tratti di qualcosa di molto grave lo si intuisce dall’arrivo, pochi minuti più tardi, dell’allora procuratore aggiunto di Reggio, Michele Prestipino. È un pullulare di forze dell’ordine e magistrati. Dalle acque del porto reggino emerge la carcassa di una Smart. Ci sono pochi dubbi: è quella di Francesco Calabrò. All’interno vengono rinvenuti resti umani. Le successive analisi confermeranno l’appartenenza al giovane scomparso. Della vicenda parla anche il pentito Nino Lo Giudice nei suoi due memoriali del contro pentimento. Oltre a tutte le accuse a magistrati, forze dell’ordine e quant’altro, il pentito accusa Villani di essere l’autore dell’omicidio di Francesco Calabrò e dà degli indizi per confermare il racconto che lo stesso Villani gli avrebbe riferito. Secondo Lo Giudice, infatti, vi fu una colluttazione tra i due, tanto da portare Villani a sferrare un colpo a Calabrò e farlo poi inabissare con l’auto per nascondere tutto quanto. Una versione che non trova, almeno per il momento, i riscontri necessari. Ma sulla quale anche Giuseppe Calabrò interviene più volte. Prima con le dichiarazioni rese all’allora pm della Dna, Gianfranco Donadio, a cui il killer racconta di suo fratello, facendo riferimento alla scomparsa e al conseguente omicidio allo scopo di tappargli la bocca. Poi, in una lettera inviata all’Ora della Calabria, in cui Calabrò smentisce tutto quanto, parlando di una forma depressiva alla base dell’allontanamento.

«Francesco sapeva tutto»

Oggi si comprende, però, come quella missiva fosse dettata solo dalla paura che potesse emergere una scomodissima verità. A tirarla fuori è, ancora una volta, il pm Giuseppe Lombardo, che si rivolge al killer. Ecco lo scambio di battute.

Lombardo: Senta Calabrò, una domanda le volevo fare (…) di come stessero davvero le cose ne aveva parlato… voglio dire… con qualcuno?

Calabrò: Ma forse con mio padre

Lombardo: La domanda che ho fatto… se ne aveva parlato con qualcuno… cioè a dire “io mi difenso così però le cose in realtà stanno colì”

Calabrò: In merito alla specifica nemmeno mio padre lo sa (inc.) nemmeno mio papà lo sa

Lombardo: Neanche… nemmeno suo papà

Calabrò: Un nostro segreto… è sempre un segreto perché…

Lombardo: E altri…

Calabrò: Solo mio cugino… pure mio fratello lo sapeva, Francesco

Lombardo: Francesco sapeva? E come lo sapeva Francesco?

Calabrò: Gliel’ho raccontato… mi confidavo con lui, perché con lui…

Lombardo: Ah… quindi a qualcuno lo aveva detto?

Calabrò: A mio fratello

Lombardo: Ha mai pensato che la scomparsa di Francesco potesse essere correlata a questo?

Calabrò: La scomparsa di mio fratello?

Lombardo: Eh!

Calabrò: Si fanno tante supposizioni

Lombardo: Dei suoi familiari Francesco era l’unico che sapeva queste cose che lei oggi ci ha detto?

Calabrò: Sì…

Curcio: Suo frate… e mi scusi… quando glielo disse lei a Francesco questo fatto? Quando era già in carcere, in un colloquio oppure libero?

Calabrò: Quando ero in carcere

Curcio: Quando era in carcere… e suo fratello a sua volta si confidava con qualcuno… non so se era sposato, fidato, era…

Calabrò: Fidanzato…

Lombardo: Quindi dei suoi familiari Francesco era l’unico a sapere

Cafiero: Ma che gli disse… qualcosa in più di quello che ha detto adesso?

(…)

Calabrò: No, no, no, no

Cafiero: non è che ha fatto qualche considerazione… qualche cosa in più che l’ha…

Lombardo: Eh!

Cafiero: che l’ha esposto di più

Calabrò: No, ma mio fratello, mio fratello in particolare non di preciso sapeva che c’era mio cugino nel mezzo… ma in particolare mio fratello non sapeva neanche… intendiamoci

Lombardo: Quindi sapeva di Totò…

Calabrò: E basta… ma non sapeva i particolari, che era una cosa mirata e basta (inc.)

Lombardo: Non è che a Francesco aveva detto “guarda che l’ordine me lo ha dato tizio e caio”

Calabrò: No, no, lo avrei detto adesso a lei

(…)

Lombardo: Uhm, va bene. No perché sono passati vent’anni… con Francesco avrà parlato sicuramente qualche anno fa…

Calabrò: sette anni fa.

Morte a garanzia del silenzio?

Riannodando i fili di questo lungo scambio di battute, emergono alcuni dati piuttosto chiari: Giuseppe Calabrò si confida con suo fratello Francesco, circa l’origine degli attentati ai carabinieri. Come lui afferma, non scende troppo nei particolari ma rivela il coinvolgimento dei parenti. Fino a che punto del racconto si sia spinto, non lo si riesce ad evincere dall’interrogatorio. Quel che invece appare con chiarezza è che Calabrò colloca la sua confidenza al fratello ad un periodo relativo a circa sette anni prima. L’interrogatorio avviene nel maggio 2014, dunque un tempo che appare del tutto compatibile con il momento in cui Francesco Calabrò scompare per sempre. A ciò vanno aggiunte le domande, si suppone del tutto genuine, attraverso le quali Giuseppe chiede lumi ai magistrati sulle modalità di morte del fratello. Segno che il sospetto che il tutto sia collegato alle sue parole è sempre più forte.

Restano poi da chiarire le parole messe nero su bianco da Nino Lo Giudice, dove il pentito accusa Villani di aver ucciso Francesco Calabrò. Per quale ragione? Se le dichiarazioni del “nano” dovessero essere vere, allora forse Villani – consapevole che Francesco era uno dei pochissimi a custodire quella tremenda verità riguardante gli attentati ai carabinieri – per questo avrebbe deciso di ucciderlo? Siamo solo nel campo delle ipotesi, ma molto potrebbe arrivare proprio da Villani che, fino ad oggi, non ha confermato nulla di quanto riferito da Lo Giudice sul fatto specifico. Resta una sola certezza: Francesco Calabrò giaceva nei fondali del porto di Reggio Calabria. È morto suicida o qualcuno ha simulato la sua autonoma scelta di andare via per sempre? Le indagini ovviamente vanno avanti e non è detto che il processo per i mandanti degli attentati, che inizierà il prossimo 30 ottobre (e che vede imputati Rocco Filippone, zio dei Calabrò, e Giuseppe Graviano), non possa fornire spunti particolarmente interessanti per far luce su una morte che, per il contesto temporale e fattuale, appare sempre più come un’azione preventiva nei confronti di chi custodiva verità terribili da lasciare sepolte per sempre.

 

2. Fine 

 

Consolato Minniti

 

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Giornalista
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