Toghe sporche, il Riesame scarcera Schiavone: «Ma la gravità indiziaria rimane»

Ecco le motivazioni con le quali il Tribunale della Libertà di Salerno ha concesso i domiciliari al commercialista di Cosenza arrestato per la corruzione del giudice Petrini. Cade l'aggravante mafiosa

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di Luana  Costa
4 agosto 2020
15:53

«Appare prevedibile la reiterazione di comportamenti delittuosi» oltre al «pericolo di inquinamento probatorio», ciononostante per il Tribunale del Riesame di Salerno, Claudio Schiavone, può godere di una misura meno afflittiva del carcere poichè incensurato. Passa quindi agli arresti domiciliari il commercialista cosentino arrestato lo scorso giugno dal Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza di Crotone nell'ambito dell'inchiesta Genesi, accusato di corruzione in atti giudiziari aggravata dalle modalità mafiose. I reati, secondo la ricostruzione della Procura salernitana sarebbero stati commessi in concorso con l'ex presidente di sezione della Corte d'Appello di Catanzaro Marco Petrini, con Antonio e Francesco Saraco, quest'ultimo avvocato catanzarese, con l'ex dirigente dell'Asp di Cosenza Emilio Santoro, con Vincenzo Falzetta e con l'ex consigliere regionale Giuseppe Tursi Prato.

 


Le sentenza aggiustate

Al centro dell'indagine le presunte sentenze aggiustate in Corte d'Appello a Catanzaro per ottenere il dissequestro di immobili e dei conti correnti bancari di proprietà di Antonio Saraco, indagato nell'ambito dell'inchiesta Itaca Free Boat e per ottenere anche in secondo grado di giudizio una forte riduzione di pena rispetto alla sentenza emessa dal Tribunale di Catanzaro che l'aveva condannato a dieci anni di reclusione per il reato di estorsione. Proprio Antonio Schiavone, secondo la Procura di Salerno, intrattenendo uno stabile rapporto con Emilio Santoro e Francesco Saraco si sarebbe reso disponibile a corrompere Marco Petrini ricevendo nel marzo del 2019, nel suo studio di Cosenza, 60mila euro per ottenere una sentenza di assoluzione in favore di Antonio Saraco, padre di Francesco, come prima tranche di 150mila euro da investire per corrompere il giudice. 

 

Gravi indizi di colpevolezza

Il Tribunale del Riesame di Salerno conferma però i gravi indizi di colpevolezza solo in relazione al reato di corruzione in atti giudiziari. Nell'istanza di revoca della misura cautelare la difesa aveva infatti contestato l'attendibilità delle dichiarazioni rese da Marco Petrini, da Emilio Santoro e da Francesco Saraco poiché questi avrebbero nutrito rancore nei confronti di Claudio Schiavone. Argomentazioni ritenute infondate dal Tribunale del Riesame; nelle motivazioni si legge infatti che: «Le dichiarazioni rese da Santoro, Petrini e Saraco risultano ampiamente convergenti nei punti essenziali delle condotte illecite mentre eventuali discordanze tra loro, oltre ad essere espressione di una effettiva genuinità del narrato che esclude preventivi accordi, sono inoltre conseguenza del fatto di aver avuto con Schiavone rapporti molteplici riguardanti anche vicende diverse a quelle in esame». 

 

La promessa di assoluzione per Antonio Saraco

«Pertanto, eliminate alcune divergenze di carattere soprattutto temporale o anche economico, risulta invece pacifico - annota sempre il Tribunale del Riesame - perché confermato da tutti e tre i propalanti che Schiavone partecipava alla corruzione del giudice Petrini per ottenere il dissequestro dei beni confiscati alla famiglia Saraco. Del pari è pacifico perché confermato da tutti e tre i propalanti che Schiavone adottava analogo schema corruttivo del Petrini anche per ottenere l'assoluzione di Antonio Saraco dietro promessa di un cospiscuo compenso economico». 

 

Le intercettazioni schiaccianti

Ma la conferma definitiva delle dichiarazioni, secondo il Tribunale del Riesame, emerge dagli atti e «rappresentati sia dalla copiosa documentazione acquisita sia dall'ascolto delle intercettazioni ambientali durante le quali si faceva espressa menzione dei rapporti, come pure della partecipazione ad essi di Claudio Schiavone. Ovviamente informazoini confidenziali di cui i correi discutevano perchè inconsapecoli di essere sottoposti ad intercettazioni ambientale».

 

Nessun favore alla cosca 

Cade, invece, l'aggravante mafiosa. «Dalle attività investigative emerge chiaramente che ciascun protagonista della vicenda agiva per un fine personale, quale quello di ottenere provvedimenti a sè favorevoli, pur nella consapevolezza di partecipare ed avvantagiare nel contempo anche gli interessi dei correi portatori a loro volta di interessi personali; caratteristiche queste riscontrabili anche in capo a Francesco Saraco il quale agiva nell'interesse personale del genitore Antonio Saraco o in capo ai Gallelli, che peroravano la causa del figlio. Nessuno degli indagati è risultato interessato ad agevolare il sodalizio criminoso in qualcunque modo possibile nè ad esso si è fatto alcun riferimento negli atti di indagine".

Giornalista
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