Vibo, le mani del clan Mancuso sui reperti archeologici

La Dda ha aperto un filone di inchiesta su un presunto traffico di reperti archeologici sottratti da scavi clandestini nel vibonese
di Redazione
7 luglio 2015
14:22

Nuovo capitolo nel processo Black Money contro il clan Mancuso di Limbadi: stavolta la Dda di Catanzaro ha aperto un filone di inchiesta su un presunto traffico di reperti archeologici sottratti da scavi clandestini nel vibonese che avrebbe fruttato un bisiness milionario. Questo sarebbe emerso dalle dichiarazioni davanti al pm Marisa Manzini del colonnello Giovanni Sozzo, tra i principali testimoni dell’accusa, in servizio al Ros di Catanzaro dal 2008 al 2012.


Proprio il colonnello ha spiegato che nel corso delle indagini condotte nell'ambito dell'inchiesta "Purgatorio" (marzo 2013) ha riscontrato rapporti tra alcuni soggetti vibonesi, un operaio specializzato negli scavi, Giuseppe Tavella, un imprenditore di auto, Francesco Staropoli, e Giuseppe Braghò, giornalista-archeologo, con il boss Pantaleone Mancuso (detto “Luni Vetrinetta” o “Ziu Luni”).


 

Questi si sarebbero recati più volte nel casolare di campagna del boss a Limbadi per mettere a punto un piano milionario legato ai reperti archeologici trafugati attraverso scavi clandestini e venduti anche nei circuiti illegali, in particolare quello estero.

 

Già nel dicembre 2010 la Procura di Vibo a scoprì l’esistenza di un tunnel sotterraneo, profondo 30 metri, nel cuore di Vibo Valentia (precisamente in via Alcide De Gasperi) da cui venivano estratti preziosi reperti archeologici dell’antica Hipponion di epoca greca.

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