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Premiato anche dal New York Times per il suo vino zibibbo, dall’amore per la Calabria la storia di un’eccellenza

Marco Benvenuto aveva appena 13 anni quando lasciò la sua Pizzo. Il figlio Giovanni dopo essere ritornato si mise a lavorare le terre dove il nonno aveva trascorso la vita a coltivare le vigne. La passione e l'amore oggi è si sono trasformati in un business internazionale

di Saverio Caracciolo
21 settembre 2021
16:30

Marco Benvenuto aveva appena 13 anni quando, nel 1963, lasciò la sua Pizzo, e di conseguenza la Calabria, per trasferirsi a Roma in cerca di fortuna. Nella capitale iniziò a lavorare come apprendista falegname e successivamente come fabbro, per poi trasferirsi in un piccolo borgo dell'Abruzzo, Tagliacozzo, dove conobbe quella che sarebbe diventata sua moglie e che gli avrebbe regalato due figli: Antonello e Giovanni Celeste. 

Durante il periodo estivo, Marco ritornava sempre in Calabria per trascorrere le vacanze tra Pizzo e Francavilla Angitola, nel Vibonese, e proprio qui il figlio Giovanni iniziò a sentire forte il legame con questa terra, fino a quando, all'età di 18 anni, non decise di trasferirsi definitivamente a Francavilla, mentre portava avanti gli studi in Scienze e tecnologie agrarie all'università di Reggio Calabria, dove si laureò nel 2007.


Durante il tempo libero, Giovanni era solito recarsi nelle terre dove il nonno Iconio aveva trascorso la sua vita a coltivare le vigne, iniziando così a recuperare lo zibibbo in via di estinzione. Oggi quelle vigne sono rinate grazie alla passione e all’amore di Giovanni, ma soprattutto per la sua capacità di guardare la Calabria con gli occhi del cuore, una terra da scoprire e valorizzare. Oggi la sua cantina, grazie all'aiuto dei genitori e del fratello Antonello, non produce solo vino, ma anche grappa e birra, tutto a base di zibibbo.

Tra i ricordi di Giovanni, il meno piacevole è sicuramente legato all'ottenimento dell’autorizzazione a vinificare lo zibibbo da parte della Regione Calabria: per averlo ci sono voluti ben undici anni, un lasso di tempo che avrebbe scoraggiato chiunque. La caparbietà di Giovanni, però, gli ha permesso di raccogliere i frutti dei suoi sacrifici: nel maggio del 2020, infatti, il New York Times ha menzionato un suo vino tra i primi dieci d’Italia.

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