Il pianto e il terrore dei bambini prigionieri non urta la sensibilità di Trump e Salvini

AUDIO | Ciò che sta accadendo al confine con il Messico, con migliaia di minori separati con la forza dai genitori che hanno tentato di entrare illegalmente negli Usa, è l’ennesimo tabù che viene infranto in nome di un nuovo Occidente senza pietà

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di Enrico De Girolamo
19 giugno 2018
23:57

“Attenzione, l’audio che segue potrebbe urtare la vostra sensibilità”. Audio. Di solito questa dicitura accompagna stancamente i filmati più crudi che fanno capolino dalle homepage dei giornali online, ma l’avvertimento riguarda le immagini, non quello che si ascolta, come avviene invece in questo documento pubblicato dall'agenzia no profit ProPublica. In questo caso sono le voci a turbare. È il pianto dei bambini a scuotere le coscienze, anche quelle più assopite e rassegnate al compromesso morale.

 


A singhiozzare disperati sono i figli dei migranti provenienti dall'America Centrale che cercano di varcare clandestinamente la frontiera tra Messico e Stati Uniti. Circa duemila bambini, alcuni piccolissimi, separati dai genitori e segregati per ordine del presidente Donald Trump in grandi gabbie. Gabbie. Inconsapevoli di quello che gli sta succedendo, terrorizzati dall’assenza improvvisa dei genitori destinati nella maggior parte dei casi a finire in prigione per il solo fatto di aver tentato di sopravvivere alla miseria e alle sopraffazioni, i bambini prigionieri fanno l’unica cosa che possono fare: piangono, chiamano la mamma, cercano il papà.

 

 

Uno strazio infinito giustificato dalla tolleranza zero verso l’immigrazione illegale decisa dalla Casa Bianca, che in questo modo lancia un monito terribile, dall’enorme capacità deterrente: se ci provate, vi toglieremo i vostri figli. Di fronte a questo abominio, al 45° presidente degli Usa va riconosciuta una coerenza talmente granitica che può rivelarsi controproducente per le sue stesse ambizioni protezionistiche e isolazioniste. Il suo partito, quello Repubblicano, si è spaccato. Sua moglie Melania, forse vestendo i panni del poliziotto “buono”, ha preso le distanze dall’intransigenza del marito, affermando che «odia vedere bambini separati dalle loro famiglie». Il 70 per cento del popolo americano critica apertamente quello che sta succedendo. Eppure Trump non indietreggia, nella volontà di usare questo disagio crescente come un grimaldello per convincere le opposizioni a sgombrare la strada al Congresso, preparandosi il terreno per le elezioni di metà mandato che si terranno a novembre.

 

In Italia, il principale estimatore di Trump è il ministro dell’Interno e vice presidente del Consiglio, Matteo Salvini. Parlano la stessa lingua, vedono gli stessi pericoli, perseguono la stessa strada di chiusura totale, accusando le forze progressiste di essere la causa principale di quello che sta accadendo. In queste ultime settimane, dalle reciproche postazioni istituzionali, entrambi hanno mostrato il volto di un nuovo Occidente pronto a rinnegare quella pietas sulla quale ha fondato la sua civiltà millenaria, finendo paradossalmente per ripudiare quella stessa supremazia culturale che a parole vorrebbero affermare.

 

Sarebbe interessante sapere se Salvini condivide fino in fondo anche questo ultimo azzardo di Trump, ma la risposta - al di là delle cautele politiche e diplomatiche - potrebbe essere scontata: Sì.
«La linea dura sui migranti paga», ha detto il tycoon americano all’indomani del tormentato G7 in Canada, elogiando l’approccio del governo italiano. Salvini ha incassato l’endorsement gonfiando il petto d’orgoglio e convincendosi ulteriormente, qualora ce ne fosse ancora bisogno, di essere sulla strada giusta. Su quella stessa strada, però, oggi ci sono duemila bambini in gabbia che piangono e chiamano i genitori. Certo, non li ha messi l’Italia dietro quelle reti metalliche. Ma sino a quando non avremo il coraggio di dire che certi limiti non possono essere superati, sino a quando non sentiremo, come elettori e governanti, la responsabilità di esprimere una direttrice morale che guidi il cammino, a prescindere dagli obiettivi di ognuno, quel pianto risuonerà come un atto d’accusa anche per noi.


Enrico De Girolamo

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