Referendum sull'eutanasia legale: iniziativa popolare contro l'inerzia del Parlamento

Costituzionalisti e costituzionaliste dell'Unical: le Camere hanno scientemente deciso di non decidere né sulla legge di iniziativa popolare del 2013 dall'Associazione Luca Coscioni, né sui moniti della Corte costituzionale che ha dichiarato incostituzionale il "divieto assoluto" a morire

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22 giugno 2021
11:40

Fino al prossimo 30 settembre come italiani saremo chiamati a dare la nostra adesione con la nostra firma ad alcuni quesiti referendari per sette referendum abrogativi ex art. 75 della Costituzione: sei sulla giustizia, uno sull’eutanasia legale. I primi - al di là del contenuto specifico di ognuno di essi - riusciranno, con tutta probabilità, a raggiungere la soglia minima delle sottoscrizioni, l’altro avrà davanti a sé una strada impervia. Intorno ai primi sono coalizzate alcune forze di governo (fra cui la Lega che avrà un indiscutibile effetto trainante), per il secondo bisogna fare i conti con la “debolezza” massmediatica di chi l’ha proposto, ovverosia una forza né partitica né parlamentare, ma culturale e politica, l’Associazione Luca Coscioni.

Anche (ma certo non solo) al fine di sostenere questa “debolezza”, si è chiesta ospitalità al giornale per poter esporre alcune ragioni (di merito) in base alle quali il cittadino-elettore potrà decidere liberamente di contribuire a promuovere (sottoscrivendolo) il referendum sull’eutanasia legale allo scopo di “imporre”, nell’agenda politico-parlamentare, un tema che la maggioranza di governo vuole evitare da sempre e, in particolare, dal 2013.


Il quesito proposto dall’Associazione Luca Coscioni (che, si puntualizza, non vede il/le sottoscritto/e fra i propri associati) mira a depenalizzare l’eutanasia di soggetti non vulnerabili (vale a dire pienamente capaci di intendere e di volere e dato il verificarsi di alcune ipotesi) attraverso l’abrogazione parziale dell’art. 579 del codice penale. A differenza dei quesiti sulla giustizia che pare abbiano il fine di minare all’interno la stessa maggioranza che sta discutendo proprio la riforma di tale materia, il quesito sulla eutanasia legale è impiegato come strumento di decisione diretta e alternativa (come tutti i referendum) dinanzi a una scelta di inerzia del Parlamento italiano.

Ed infatti, le Camere hanno scientemente “deciso di non decidere”, ed anzi di non discutere. Infatti, non si è discussa mai la proposta di legge popolare depositata nel 2013 dalla stessa Associazione e sottoscritta da diverse decine di migliaia di elettori; non si è mai dato seguito (in Assemblea parlamentare) neanche ai diversi moniti della Corte costituzionale a legiferare su una materia simile (quella dell’aiuto al suicidio) sulla quale la stessa Corte dopo un anno di attesa (ord. n. 207/2018) è poi intervenuta dichiarando incostituzionale il “divieto assoluto” a morire (sent. n. 242/2019), in quanto tale divieto assoluto finisce per limitare la libertà di autodeterminazione del malato nella scelta delle terapie, comprese quelle finalizzate a liberarlo dalle sofferenze.

In special modo dopo quest’ultima sentenza - che permette di ricorrere all’aiuto al suicidio al verificarsi di alcune tipizzate ipotesi (irreversibilità della patologia che è fonte di sofferenze, fisiche o psicologiche, assolutamente intollerabili; attivazione di trattamenti di sostegno vitale; piena capacità di prendere decisioni libere e consapevoli) - la maggioranza parlamentare continua a non considerare che l’ordinamento vìola in modo chiaro e manifesto il principio di eguaglianza, che vieta, secondo l’articolo 3 della Costituzione, la discriminazione per motivi legati alle «condizioni personali».

La proposta referendaria - in tale quadro - ha l’intento (questa è la lettura che se ne è data) di superare la differenziazione fra l’aiuto (medicalizzato) al suicidio e l’omicidio (medicalizzato) del consenziente, e, quindi, la disparità di trattamento tra chi versa in condizioni di malattia differenti. Ed infatti, alcune gravi patologie (ad esempio la paralisi totale) non rendono possibile che l’aiuto al suicidio possa concretizzarsi nel massimo atto con cui ci si può liberare da un corpo che si è fatto carcere. Ciò che i proponenti il referendum vogliono assicurare è, quindi, il superamento di una spietata disparità di trattamento che si manifesta anche verso chi, pur potendo richiedere l’aiuto al suicidio (perché si trova nelle ipotesi previste dalla Corte costituzionale) non riesca a compiere (per ragioni diverse) il gesto ultimo e definitivo di darsi la morte per mettere fine a una vita considerata come non degna di essere vissuta.

Continuare a non prendere in considerazione tali ipotesi (condizione di assoluto impedimento fisico), così come vorrebbe la maggioranza parlamentare, significherebbe non dare una risposta a chi è affetto da malattie gravemente invalidanti, non arrivando a colmare in modo pieno il vulnus costituzionale prodotto da una normativa che pone un “divieto assoluto” senza che questo sia finalizzato alla tutela di altro interesse costituzionalmente apprezzabile.

E lo si dice subito - sperando che si abbia la possibilità di ribadirlo durante la eventuale campagna referendaria -, tale allargamento (dalla liceità dell’aiuto al suicidio all’eutanasia, sempre con limiti) sarebbe il frutto del rispetto del principio di eguaglianza, declinato nella doverosità della non discriminazione, e non già della logica dello scivolamento per il c.d. pendio scivoloso, per il quale una volta ammessa una determinata pratica si andrebbe inevitabilmente verso l’accettazione di pratiche moralmente meno accettabili.

Dinanzi a casi simili ma non uguali è il rispetto dell’art. 3, comma 1, della Costituzione (non discriminazione per «condizioni personali») a non consentire una limitazione al ricorso all’aiuto medicalizzato al suicidio solo a chi fisicamente (per una condizione personale) può attuare il proposito suicidario e quindi ottenere una morte ritenuta dignitosa. Non sarebbe fondata su nessuna solida argomentazione l’esclusione di quei soggetti che non riescano per incapacità fisica ad attuare in modo autonomo la loro ultima (libera e consapevole) volontà.

A fronte di questo dato fattuale, l’Associazione Luca Coscioni (e, per essa, Marco Cappato e Mina Welby) si sta impegnando (meritoriamente ed anche con successo in sede processuale) per cambiare lo status quo della normativa legislativa italiana. A fronte di ciò, quanti scrivono queste righe, ritengono che in questa fase tutti debbano fare qualcosa per garantire a chiunque lo voglia la libertà “fino alla fine”. Il Comitato promotore del Referendum si pone lo scopo di aggregare intorno a questa sfida di civiltà giuridica una maggioranza trasversale che sia unita dal valore della libertà e dell’eguaglianza e non già solo da una militanza politico-partitica.

E dunque, se il referendum vuole abrogare parzialmente l’art. 579 del codice penale (una legge del 1930, in epoca fascista), il suo esito positivo farebbe venir meno il “divieto assoluto” dell’eutanasia e ciò consentirebbe una sua praticabilità limitatamente alle forme previste dalla legge (l. n. 219 del 2017 sul consenso informato) e alla sola presenza dei requisiti introdotti dalla Corte costituzionale sull’aiuto al suicidio (art. 580 c.p.) con la sentenza n. 242 del 2019.

Questo perché rimarrebbe nell’art. 579 c.p. modificato la previsione che rinvia al consenso e, quindi, alle norme già previste nell’ordinamento (l. n. 219/2017, sent. n. 242/2019), che permettono l’aiuto al suicidio medicalizzato. Rimarrà punito, infatti ed evidentemente, l’omicidio (art. 575 c.p.) e l’omicidio del consenziente (art. 579 c.p.) qualora questo venga commesso contro una persona minorenne; contro una persona inferma di mente, o che si trovi in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti; contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno.

Se si dovessero raggiungere le 500.000 sottoscrizioni (entro il 30 settembre) e si superasse il sindacato di legittimità del procedimento in Cassazione (entro e non oltre il 15 dicembre) e quello di ammissibilità in Corte costituzionale (entro e non oltre il 20 gennaio del prossimo anno), in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno del 2022 saremo chiamati ad esprimere il nostro Si o No per l’abrogazione (parziale) dell’attuale legge (l’art. 579 c.p.). Ma per giungere a questo, prima della vera e propria campagna referendaria (che avrà il fine di rendere il voto informato e, quindi, libero) dovranno essere superate tutte le fasi previste, in primis quella della sottoscrizione.

A dir il vero, l’operazione referendaria potrà essere sospesa in caso di scioglimento delle Camere (per poi riprendere ad un anno dalle elezioni) o finanche annullata se nel frattempo intervenisse una abrogazione legislativa od anche una dichiarazione di incostituzionalità della legge coinvolta dal quesito. Detto questo - a parere di chi scrive queste note - rimane più che auspicabile l’intervento legislativo del Parlamento, nel mentre si spera che il raggiungimento delle 500.000 firme costituisca una appropriata forma di pressione alla inerzia parlamentare che non può più essere politicamente accettato.

Al momento, l’apposizione della firma dei cittadini renderà possibile una equilibrata e doverosa discussione sulla eutanasia legale che finora è stata avviata limitatamente alle aule di giustizia e a quelle universitarie; è il momento che la discussione sia svolta anche nell’intero Paese.

di Ugo Adamo, Guerino D’Ignazio, Silvio Gambino, Giampaolo Gerbasi, Greta Massa Gallerano, Walter Nocito, Fernando Puzzo, Anna Margherita Russo
Costituzionalisti e costituzionaliste UniCal

 

 

 

 

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