Il silenzio è per gli innocenti

La riflessione dell'avvocato Giovanni Canino sulla situazione politica nazionale e in particolare quella meridionale

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19 agosto 2019
12:17

*Giovanni Canino

 


Prendo spunto dal titolo di un famoso film, e me ne scuso con gli autori per l’utilizzo e la trasformazione ai presenti fini.

Innocenti sono coloro che non sanno o non gli è permesso sapere. Colpevoli sono coloro che fanno finta di non sapere o coloro che si inchinano al potere. Peggio se si inchinano per piaggeria e personale tornaconto. Peggio ancora se hanno il potere, quindi  possono, ma ignorano.

 

La classe politica meridionale, e per quanto ci riguarda quella calabrese, a qualunque livello di gestione del potere, già a partire dal 2001 (riforma costituzionale del titolo V della Costituzione che introdusse il federalismo e l’autonomia differenziata per le Regioni) ma ancor di più dal 2009 (la legge delega 42/2009 cd. Legge Calderoli) ha ignorato da un lato l’effetto dissolutorio dell’unità nazionale che la riforma costituzionale prima, e la citata legge dopo, avrebbero avuto. E hanno ignorato le alchimie dialettiche, statistiche e le millimetriche operazioni matematiche compiute dai rappresentanti di tutti i partiti nelle sedi ristrette (ANCI, COBAFF, COPAFF, CTFS, IFEL, SOSE, UPB) per favorire una parte dell’Italia e distruggere qualunque germoglio di equo e corretto federalismo, nonchè le legittime richieste e aspirazioni delle regioni meridionali, che non chiedevano altro che essere eguali a quelle del Nord. Ai LEP (Livelli Essenziali delle Prestazioni) i druidi delle varie commissioni ecc. hanno sostituito i COSTI STORICI, pertanto chi storicamente aveva avrà, chi non aveva non avrà. Inutile andare alla ricerca delle ragioni (oramai preistoriche) del perché alcune regioni non hanno quello che altre hanno, sarebbe un esercizio oramai inutile. Parliamo di oggi, anno 2019, perché molto semplicemente è questa la polpa dell’attuazione federalista che si vorrebbe dare alla moderna Nuova Repubblica Federale Italiana.

 

Dicevo, siamo nel 2019, e dopo un lungo sonno si odono le prime voci allarmistiche e di meraviglia delle applicazioni della legge Calderoli e dei decreti delegati. Ma dov’erano i politici negli ultimi 20 anni o quanto meno dal 2008, quando si sentirono i primi vagiti di riflessioni critiche sugli effetti deleteri derivanti dall’applicazione del nuovo federalismo? A parte il risveglio dopo 20 anni (una pennica di tutto rispetto), la vera meraviglia la desta il perpetuo silenzio di autocritica o di ammissione di colpe. Non si ode nulla in tal senso dalla classe politica. Ma si sa, la colpa è sempre degli altri, tranne dire chi siano gli altri.

 

Prima ancora che alimentare l’industria della paura (storicamente e politicamente la più remunerativa) sarebbe stato doveroso spiegare al popolo sovrano (che, ricordiamo, ha conferito l’investitura ai singoli del delicato compito di legiferare e amministrare) chi rappresentava le popolazioni delle regioni meridionali dal 2009 in poi (anno della Legge Calderoli dalla quale scattò il termine per la redazione dei decreti delegati) o dal 2011 (elezioni nuovo presidente ANCI a Brindisi ed anno in cui furono emanati i decreti delegati) ad oggi, a quali partiti appartenevano i componenti delle suddette associazioni, commissioni e organismi ministeriali, parlamentari e governativi, da quali territori provenivano i rappresentanti dei partiti (dico subito, per rendere intellegibili i fatti, che a tutto concedere il più a sud era umbro o marchigiano, e se qualche meridionale c’era non si è distinto per vis dialettica e intellettuale o per particolare interesse), se vi fu una discussione in seno ai partiti tra rappresentanti delle istituzioni meridionali ed i vertici dei partiti cui essi appartenevano, se vi fu un diktat di non interloquire sulle ragioni delle regioni del Nord per spregevoli calcoli politici opportunistici di brevissimo respiro, ecc. ecc. ecc. Insomma, chi ha avuto a cuore le sorti dei cittadini italiani e di quelli meridionali, o chi ha perseguito il particulare guicciardiniano o il giustificato fine machiavellico? Ogni domanda è e sarà legittima per giungere alla verità.

 

Ammettiamo per un solo momento la possibilità che un confronto in seno ai partiti vi sia stato, sarebbe un atto di onestà politica ed intellettuale di gran pregio nei confronti dei cittadini, per le future tornate elettorali politiche ed amministrative, riferirlo e documentarlo. Gli abbracci fideistici ad un partito non esistono più perchè mancano  le ideologie, i programmi ed i giganti del trapassato remoto della storia repubblicana. Abbiamo bisogno di sapere chi ha tradito il mandato politico, e chi degli attuali politici ha remato contro la corretta attuazione del federalismo, ammesso che anche questa grande idea politico-costituzionale abbia un senso in una nazione da sempre divisa tra Nord e Sud, già di per sé federata in ricchi e poveri, in fortunati e sfortunati.

Oggi, nel 2019, ci si deve domandare: se vi furono dei rappresentanti politici del centro destra o del centro sinistra che nelle sedi sopra elencate ammutolirono le flebili ragioni del meridione, perché questi partiti e questi politici chiedono alle regioni del sud Italia il voto per governare? In base a quali ragioni chiedono il voto? E chi ha la faccia tosta di chiedere il voto promettendo di concedere le tutele minime di civiltà violentate in questi anni? Gli striscioni ed i palloncini d’acqua di benvenuto riservati al Sud al leader della Lega potrebbero coprire l’intero arco costituzionale.

 

Si sa, la speranza è l’ultima a morire, ma chi di speranza vive disperato muore. E tuttavia, nonostante il pensiero pessimista o di crudele realtà che si nasconde dietro questo gioco di parole, vogliamo tutti noi cittadini ed elettori che qualcuno un giorno illustri ragioni diverse da quelle sino ad oggi illustrate per la soluzione dell’oramai macellata e macerata questione meridionale. Da questione politico-economica-sociale si è nei decenni trasformata in una barzelletta, parallela a quella della lotta all’evasione fiscale che viene proposta da ogni candidato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, e che puntualmente svanisce come nebbia al primo sole di ogni legislatura.

 

Resta un dato storico inaccettabile per un paese che si vanta di essere democratico. In 158 anni non si è riusciti a creare un’affectio nazionale, tranne che in occasione delle prestigiose competizioni calcistiche continentali ed intercontinentali. Li siamo tutti italiani e portiamo il tricolore al cuore. E’ vero che lo sport abbatte ogni barriera.

Dopo 158 anni di promesse al vento, perché dovrebbero riuscirci oggi i soliti politici che non hanno lasciato in passato un solco in cui porre un seme di speranza per i milioni di italiani meridionali poi costretti ad emigrare? Quali illuminanti idee propongono oggi per livellare il documentato divario tra Nord e Sud ancora presente all’alba della Nuova Repubblica Federale Italiana? E con quali fondi? Esiste un budget correlato ad un progetto di medio-lungo termine approvato a livello nazionale? Parole, parole, parole, soltanto parole (cito la Divina Mina).

Nel tempo dell’intelligenza artificiale (ennesima polpetta in salsa illusionistica data in pasto alle nuove generazioni) l’elettore ha bisogno di certezze e di persone credibili, gli slogan politici non bastano più, e in futuro non può esserci posto per i soliti solisti. Lungi da me riesumare l’errata idea renziana della rottamazione della politica ancien regime, anzi i consigli dati da chi è giunto ad una certa età è manna per le giovani generazioni (ricordate “Se gioventù sapesse se vecchiaia potesse”?), ma quella errata idea politica deve fornire una nuova chiave di lettura, e cioè far sì che la politica favorisca gli uomini di cultura e di provata esperienza lasciando alla deriva i mestieranti della politica (e quanti ve ne sono in giro!). Se ne gioverebbero tutti, i cittadini ed i partiti, soprattutto oggi che i partiti non hanno più scuole di formazione delle nuove classi dirigenti, dove non esiste una seria selezione della classe dirigente, e dove la classe dirigente è identificata in quella che meglio si muove su Instagram, Twitter e Facebook, cioè in ambiti impalpabili racchiusi in server distanti dalla dura realtà, e che non si curano certo delle famiglie, dei giovani e del loro futuro. L’intelligenza artificiale non darà mai la soluzione a questi problemi. Servono il cervello e la passione di uomini e donne seri.

 

La mia innata, pascoliana e fanciullesca curiosità è stata attratta nell’autunno del 2018 da un piccolo articolo apparso su , quotidiano di poche pagine ma di enormi contenuti, dal titolo “La crisi dei valori spiegata con la crisi dell’antiquariato” a firma di Camillo Langone. Lo riassumo: secondo questo antiquario di New York, i giovani, anche se benestanti, non pensano più a costruire famiglie e ad ampliare patrimoni da lasciare agli eredi ma preferiscono consumare come se non ci fosse un domani. Una causa l’antiquario la individua nelle preferenze sessuali di molti giovani (ma questo non ci interessa ai fini del presente articolo), ma la vera causa l’antiquario la individua nella crisi dei valori delle nuove generazioni, che nell’incertezza a cui le vecchie generazioni li hanno abbandonati, non riescono più a vedere un futuro, e bruciano tutto per il soddisfacimento personale del sé medesimo. L’autore dell’articolo così conclude “Mi verso un altro bicchiere di Fortana (siamo a tavola nel Ferrarese) per attutire l’effetto di parole così sconfortanti. E mi riprometto di chiedere a Sant’Agostino la forza di perseverare nel culto deriso della durata, di continuare a condividere il suo pensiero sull’argomento perché davvero “ciò che finisce è troppo breve”, davvero il presente, per quanto mi interessi e a volte perfino mi appassioni, non basta al mio cuore”.

L’articolo ha colpito la mia sensibilità di padre di tre ragazzi, e lo conservo per donarglielo. Sono convinto che lo apprezzeranno e   capiranno l’intima importanza della famiglia.

 

Al lettore, di qualunque regione italiana, potrebbe sorgere spontanea la domanda: e chi se ne frega di quello che pensano a New York, noi siamo in Italia! Vero, l’Oceano Atlantico è lì maestoso a dividere i due continenti, ma non è più uno spartiacque tra le rispettive generazioni di italiani e statunitensi. La globalizzazione ha resettato tutto, ed in primis le distanze. Il deserto di certezze in cui brancolano le famiglie italiane e le nuove generazioni di italiani è eguale alle sensazioni e considerazioni dell’antiquario di New York. In Italia negli ultimi 10/15 anni è aumentata la fuga da Sud a Nord o dall’Italia verso l’estero. In Italia abbiamo un problema natalità, anche qui abbiamo ragazzi catturati dalla realtà virtuale e dai social che consumano le loro giornate, anche qui le nuove generazioni non vedono il loro futuro proiettato in un contesto familiare, e vivono con affanno e ansia il trapasso dalla famiglia di origine alla vita  lavorativa e – se riescono – alla creazione di una nuova famiglia.

Se queste sono le condizioni attuali, o se si preferisce anche le percezioni dell’uomo comune, quali sono le ricette risolutive proposte dalla nuova politica italiana ed in particolare di quella meridionale? Come si può realizzare una vera unità italiana colmando 158 anni di fallimenti? BOOOOHHH. La risposta  rimbomba nel nulla, e l’eco diventa un insopportabile frastuono di proposte rumorose e romboanti ma scarne di contenuti. Solo rumore e nulla di più, niente all’orizzonte. Vogliamo provare ad elencarle? Che noioso compito sarebbe farlo.

La verità è che non si hanno notizie di nuove proposte politiche, e non si stagliano nel cielo menti eccellenti per il salvataggio dell’Italia, e quindi anche del meridione. Italia e regioni meridionali, paradossalmente, sono interdipendenti, se non si salva l’una non si salva l’altra. Negli ultimi 30 anni non è stata azzeccata una strategia, e le regioni meridionali sono tutte lì a languire nel fango del dissesto sociale ed orfane di LEP. Attendono stancamente il Cavaliere Bianco che risolverà i loro atavici problemi. Qualche caparbio politico meridionale ha fatto sentire la sua voce, mi viene in mente il Governatore della Puglia, il dott. Emiliano, un giorno ci racconterà dei dietro le quinte interessanti in seno al PD.

Una ricetta c’è, ed è la cultura. Basta alte riflessioni, grandi proclami, promesse di investimenti monumentali e facili soluzioni. Costruire il futuro di un territorio, di una nazione, di un popolo, significa rimboccarsi le maniche TUTTI e ricominciare con pensieri semplici, quali pulizia e salvaguardia del territorio (almeno 20 anni di future attività economiche e PIL nazionale a doppia cifra), città al servizio dei cittadini, pubblica amministrazione efficiente ed al servizio dei cittadini, politici che diano conto agli elettori di cosa fanno nelle sedi demandate (nazionali, regionali o comunali), imprenditori liberi di intraprendere senza chiedere favori a destra e sinistra e senza ostacoli. Ovviamente, ma è utile ricordarlo, a monte occorre uno Stato presente, a tutti gli effetti e con la massima espressione empirica che le condizioni territoriali impongano.

Solo la cultura rende libere le persone, questa è l’unica certezza,  perché consente un pensiero autonomo e non indotto, e libera le persone dal giogo del clientelismo.

Nel mentre si pensa alle alte strategie e si ripensa alla morte dei LEP, è giusto condividere con il lettore una lieta notizia. Forse, e spero di sbagliare, non tutti sanno che qui in Calabria una importante società giapponese ha creato il suo terzo polo tecnologico mondiale. Il primo lo ha a Tokyo. Il secondo a Palo Alto, California, luogo che evoca la genialità e l’intraprendenza della Syilicon Valley. Il terzo lo ha a Rende, e i tre poli tecnologici sono un unicum avvinto da cavi e connessioni a banda larga o ultra larga. Chi lo poteva immaginare: Giappone, Calabria e California sullo stesso piano. Infatti: nessuno lo immaginava. Ma si può immaginare e realizzare qualcosa di importante anche in Calabria! I giapponesi lo hanno pensato e realizzato, gli italiani no. I giapponesi in Calabria hanno trovato cultura scientifica, gli italiani no. E questa è già una circostanza che dovrebbe indurre qualche ulteriore riflessione, ma non ne abbiamo il tempo.

Cultura deve essere il primo investimento al Sud, perché è la cultura che attira investimenti. Matematica, fisica, filosofia, musica, suono, canto, ecc. ecc. Tutta la cultura, nessuna materia esclusa. Ma la cultura è anche la nemica della criminalità. Due piccioni con una fava.

 

Un consiglio da lettore che do ai lettori meridiani: se volete autoindurvi dolorosi calcoli alla cistifellea, vampate di rabbia (quella sana, che ti porta a perseguire gli obiettivi), convincervi che dovete pretendere gli impegni presi dai politici e cambiare veramente, leggete uno straordinario libro edito da una casa editrice calabrese che è un faro nelle tenebre dell’ignoranza dilagante. Mi è stato consigliato da un colto e fraterno amico, che ringrazio sempre. Il libro è “Zero al Sud. La storia incredibile (e vera) dell’attuazione perversa del federalismo fiscale”, scritto da un documentato ed intraprendente giornalista de Il Mattino, Marco Esposito, ed edito nel 2018 dalla Rubbettino (sarà un caso se la sede è a Soveria Mannelli? Gente colta e intelligente quella alle pendici del Reventino). In questo libro troverete riferimenti specifici a politici e uomini delle istituzioni (cfr. pagg. 9-10 del libro), atti parlamentari, nomi e atti di commissioni (medesime pagine indicate), studi, relazioni ecc., e ne  ho attinto a piene mani i contenuti. Mi vergogno per loro di cosa si consuma alle nostre spalle. Ma è importante conoscere la verità, i documenti, i nomi, i partiti e le loro logiche, aiuta a riflettere ed a farsi una propria idea del tutto. Nota per il lettore riportata sulla pagina posteriore della copertina del libro a proposito dell’attività giornalistica “investigativa” dell’autore: “Le sue inchieste sulle iniquità nell’attuazione del federalismo non hanno mai ricevuto smentite”. Verità allo stato pure, chiara come l’acqua di  montagna. 

Meditate gente, meditate”, diceva Renzo Arbore (poliedrico intellettuale meridiano anch’egli) in uno spot pubblicitario di qualche lustro fa, e spero che la meditazione la facciate tutti dopo la lettura del libro. Sono convinto che non si faranno più errori nel segreto dell’urna elettorale.

 

Io ho meditato, e per un solo momento mi sono allontanato dalla mia professione scrivendo un accorato pensiero affinchè nessuno, a qualunque latitudine della nostra patria, perseveri nell’errore. Non me la sono sentita di restare inerme dinanzi a tanta abbondanza di promesse, realtà virtuali, spot propagandistici e nuove illusioni.

158 anni di divisioni meritano qualcosa di più che un’illusione, e speriamo che un giorno, contrariamente all’errato convincimento di Cavour (“Fatta l’Italia bisogna fare gli italiani”), si riescano a fare Italia ed italiani da Nord a Sud, senza differenze, discriminazioni e con eguali costi storici o Livelli Minimi di Civile Decenza (LMCD, nuova sigla da me coniata). Questo sarà il compito della politica italiana nei prossimi decenni. Oddio, nella foga scrittoria anche io ho cesellato un’utopia?

Con i migliori auspici di un futuro roseo frutto di libere, colte e consapevoli scelte alle future generazioni di italiani.

 

*avvocato

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