Un mistero lungo 53 anni dietro la sorte di una donna che la Calabria ha dimenticato

Rosina Bellomusto, incinta e già madre di 4 figli, scomparve nel 1964 a Fagnano Castello. Il principale indiziato era il marito che beffardo disse: «Non la troverete mai»

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di Enrico De Girolamo
21 novembre 2017
11:28
Rosina Bellomusto
Rosina Bellomusto

Rosina costretta a lavorare fino a spaccarsi la schiena per servire un marito che la considera meno di niente e la spaventa a morte con la sua ossessione per la magia nera. Rosina calpestata dagli zoccoli di una mucca, usata dal suo “padrone” per punirla di colpe che non ha, perché l’epilessia non è una colpa, al massimo una condanna. Rosina incinta, già madre di quattro figli maschi, ma minacciata di morte se avesse osato partorire una femmina. Rosina sparita, scomparsa da un giorno all’altro, probabilmente uccisa insieme alla creatura che portava in grembo per la quale aveva già scelto un nome, Edwige.

 

Gravi indizi contro il marito che non fu mai inquisito


Nell’imminenza della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, il 25 novembre, la storia di Rosina Bellomusto emerge dalle nebbie della coscienza di una terra, la Calabria, che non le ha mai reso giustizia.
Il suo è un caso insoluto, fermo al quel giorno di 53 anni fa quando in un paesino di montagna in provincia di Cosenza, Fagnano Castello, si persero le sue tracce. Aveva 38 anni. Gli indizi contro il marito, Romildo Liserre, ormai morto da 25 anni, erano numerosi, ma non vennero mai utilizzati per incriminarlo ufficialmente, sebbene fossero note a tutti le angherie e le violenze che la donna era costretta a subire.


 

La mamma di Rosina chiedeva giustizia


Le indagini furono portate avanti stancamente e la morte di Rosina non fu mai accertata. Ipotizzare che si sia allontanata volontariamente dall’inferno quotidiano che viveva è pura illusione. In un’epoca in cui il mondo spesso aveva il suo equatore nella piazza del paese, è impensabile che una contadina semianalfabeta, senza soldi e senza nessuno che la potesse aiutare abbia trovato il modo di scappare.
La prima a essere assolutamente sicura che fosse stata uccisa, era la madre, Genoeffa Terranova, che non ha mai smesso di chiedere giustizia per la figlia. A raccogliere il suo disperato appello fu, nel 1980, Franco Corbelli, che in un breve articolo su un giornale locale diede voce all’anziana donna ormai novantenne: «L’assassino deve pagare - dichiarò la mamma di Rosina - lo sanno tutti chi è stato a ucciderla ma nessuno parla. Anche il figlio più grande ha visto l’assassino afferrare l’accetta e scagliarla contro la sua povera madre. Ma poi per paura non ha detto nulla».

 

Le voci di riti satanici e la paura della gente


Soprattutto nei primi anni dalla sua scomparsa, la storia di questa donna indifesa, malata di epilessia e per questo più vulnerabile alle maldicenze, ha cominciato a puzzare di zolfo, di allusioni a riti satanici, di rimandi ai misteri contenuti in quei vecchi libri esoterici che il marito, ossessionato dall’occulto, le declamava terrorizzandola con parole incomprensibili.
«I sospetti fin da subito caddero su di lui - afferma il criminologo Sergio Caruso, uno dei pochi ad aver studiato questo caso -. Era un uomo schivo, vissuto in un’epoca in cui i legami familiari venivano considerati privati, non accessibili dall’esterno e in cui dominava ancora la figura del padre-padrone. Ogni scusa era buona per picchiare la moglie, alla quale veniva anche impedito di parlare con i familiari».

 

Il figlio ai carabinieri: «L'ascia insanguinata»


Un inferno, appunto, fatto di lavoro sfiancante, di liti continue e, ovviamente, di botte, che a volte sfociavano nella tortura vera e propria, come quando, dopo un rimprovero più violento del solito, costrinse una mucca a passare più volte su Rosina stesa a terra nel campo.
Poi, il 16 maggio del 1964, la donna scomparve. Agli atti c’è solo la testimonianza che uno dei figli rilasciò ai carabinieri: «Vidi mia madre e mio padre litigare, poi uscirono per andare a raccogliere l’erba da dare ai conigli. Dopo circa un’ora tornò solo mio padre con l’ascia sporca di sangue e gli chiesi come mai era sporca di sangue ed egli rispose “ho ucciso un serpente”».

 

L'ultimo affronto: «Non la troverete mai»


«Il marito non crollò - continua Caruso -, anche perché ufficialmente non fu mai indagato, ma solo ascoltato, ed i pochi che avevano visto e sapevano portarono questo terribile segreto nella tomba, per paura che l’uomo gli lanciasse una maledizione».
In un’occasione, incalzato dai parenti della donna che gli chiedevano che fine avesse fatto la povera Rosina, l’uomo avrebbe risposto sbeffeggiandoli: «Cercate, cercate, tanto non la troverete mai».

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