Acido Muriatico

Maria Rosaria Cannataro ha 28 anni e vive a Rosarno. Ma il suo non è un cognome facile da portare.
di Loredana Colloca
18 marzo 2015
11:46

I Cannataro sono la cosca più influente della piana di Gioia Tauro. Suo padre Battista, si dice in paese, ha partecipato ad almeno 30 omicidi. Una strada tracciata dal nonno Nicola e seguita da tutti i maschi della famiglia.

 


Maria Rosaria Cannataro non esiste, e questo è solo il primo capitolo di un lungo racconto di fantasia. Ma la sua storia irreale è la somma dell'esistenza vera di tante donne nate, vissute e morte tragicamente  per mano della 'ndrangheta.


Mi chiedo se farà male. E so che è una domanda stupida. Perché quando ero piccola, io e Leo sbirciavamo da dietro la porta. Mi ricordo le tue gambe ad arco con la gonna ampia fino alle caviglie che lasciava intravedere il bianco candido della ceramica. All’improvviso il tuo corpo appesantito sussultava all’indietro, piegato sul water. Uno sbuffo maleodorante segnalava che il liquido corrosivo aveva fatto il suo dovere. Come la fumata bianca per l’elezione dei papi. Le condotte erano di nuovo sgombre e pronte ad accogliere i nostri umori di scarto. Non i peggiori, avrei scoperto più avanti. Me lo ricordo il flacone arancione di plastica spessa, con il teschio sbiadito disegnato sopra. “Non lo dovete toccare tu e tuo fratello, che questo è acido e vi buca le mani”, ci ripetevi spingendoci fuori dal bagno. Quel misterioso flacone era protagonista dei miei incubi peggiori. “Se dici qualcosa te lo butto negli occhi”, mi minacciava Leo con quel muso malaticcio da roditore quando lo sorprendevo a rubare gli spicci dal portamonete che tu lasciavi incautamente sulla mensola vicino al telefono. E io di notte lo sognavo davvero. Non una parola mentre tu ti interrogavi ad alta voce davanti alla bocca spalancata del borsello vuoto “Ma roba da pazzi, in questa casa gli spiriti ci sono! Al negozio mi avevano dato il resto di 5mila lire.” E io zitta e muta. Qualche ora dopo avrei tradotto il mio silenzio colpevole in incubi tremendi che mi lasciavano senza fiato e con il cuore nei pugni. Mi sarei immaginata con le orbite vuote e le pupille in mano. Al risveglio avrei trovato Leo seduto dritto in mezzo al suo lettino, a malapena visibile in mezzo alle pieghe del piumone. “Che ti gridi, babba? Mi hai fatto spaventare.” Squittiva. “Domani glielo dico alla mamma.”

Giornalista
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