Quel bisogno di energia ed una centrale (amata e odiata) che ha contribuito allo sviluppo di Rossano e Corigliano
Al Sud gli impianti inquinanti e con scarso ritorno occupazionale, altrove fabbriche e impianti produttivi. Si spera che qualcuno paghi per quanto di poco salutare è finito nello Ionio, almeno a sentire i capi d’accusa dell’inchieste in atto
Da piccolo giornalista di provincia – passatemi l’eufemismo in relazione alla mia stazza – quell’anno di tanto tempo fa, intervistai nella mitica Tele Rossano, Gerardo Chiaromonte.
L’occhialuto del Pci, colto e diretto, offrì un’analisi sulla perenne crisi economica e sull’abbandono della questione meridionale, dopo la legge sull’intervento straordinario nel Mezzogiorno. Luigi Tarsitano, mi chiese di dare loro un passaggio fino a Corigliano e mentre scendevamo da Rossano centro, lungo la 177, Chiaromonte rimase estasiato dalla visione del nostro mare e del Pollino che si specchiava nelle sue acque azzurre.
Approfittai per dire che le due ciminiere della centrale Enel di S. Irene, rappresentavano un pugno in un occhio… Apriti cielo: Chiaromonte mi sparò una filippica sul bisogno di energia per l’economia del Paese e fino a Corigliano mi impartì una dura lezione, a nulla valendo le mie timide osservazioni circa l’assenza di prospettive di sviluppo attraverso insediamenti aderenti alle vocazioni territoriali, sia turistiche che agricole.
Quando si è in crisi economica, anche in famiglia, non si può scegliere il menù quotidiano, si mangia quel che passa il convento… Così concluse il mitico Chiaromonte, prima di salutarmi abbastanza freddamente.
Già quando c’è la crisi. Eppure, mentre rientravo a Rossano, pensavo a come alla Calabria ed alla Sibaritide, il menù avesse riservato sempre insediamenti dal forte impatto ambientale, grazie alla filosofia dei politici del tempo ispirata al principio: una mega discarica per Rsu, accomodatevi; una centrale elettrica ad olio pesante, certo, ci mancherebbe; un carcere di massima sicurezza, come dire di no e così via. Scelte calate dall’alto, anelate dai sindacati e timidamente contestate da pochi.
Grande impulso occupazionale nella fase costruttiva, poi una volta a regime tutti a casa, tranne gli specializzati, spesso provenienti da altre zone e tuti vissero felici e contenti.
Altro che autonomia differenziata odierna. Al Sud gli impianti inquinanti e con scarso ritorno occupazionale, altrove fabbriche e impianti produttivi.
La vergogna degli scarichi nucleari stipati – altro eufemismo – nella Trisaia di Rotondella, faceva il paio con le ferriti seppellite nella Piana di Sibari, chissà dove e per ordine di chi. Finalmente il carrozzone Sogin, preposto alla decommissioning degli impianti nucleari e della messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi, con i suoi oltre mille dipendenti, è finita sotto la lente dei magistrati…
Si spera che qualcuno paghi per quanto di poco salutare è finito addirittura nello Ionio, almeno a sentire i capi d’accusa dell’inchiesta in atto.
Il resto sulle ciminiere che andranno giù entro il 2026, è storia di promesse mancate, miliardi per convenzioni col comune, cancellazione dell’Ici, originariamente versata alle casse comunali, sogni sul carbone con le bettoline avanti e indietro dal porto di Corigliano. Ma questo è un altro capitolo della lunga storia di una centrale amata e odiata che, comunque, ha contribuito allo sviluppo di Rossano e Corigliano.
Una pietanza nel menù, per alcuni indigesta, per altri succulenta.
D’altro canto quando la famiglia è in crisi, non si sceglie il menù.
*Giornalista ed ex dirigente del comune di Rossano