Ristorart, le interdittive antimafia e la pericolosa discrezionalità delle Prefetture

È probabile l’inizio di una lunga battaglia giudiziaria. Sul piatto ci sono pesanti interessi economici per milioni di euro con la PA. Al di là del merito, del linguaggio della burocrazia giudiziaria che, spesso, fa apparire i ladri di polli come pericolosi criminali, oppure notizie prive di rilevanza penale, complotti criminali di ampiezza planetaria, rimane il punto sostanziale: la pericolosa discrezionalità delle Prefetture

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di Pasquale Motta
27 luglio 2018
12:09

L’interdittiva antimafia notificata alla Ristorart di Capogreco è un fulmine a ciel sereno. L’imprenditore non è uno qualsiasi, infatti, è colui che attraverso la Pecco (Piazza Etica Calabria Contadina) si è aggiudicato la ristorazione presso la cittadella Regionale dopo una lunga battaglia legale con la New Generation, l’azienda concorrente. La Regione Calabria, nella disputa giuridica, è stata sempre a fianco di Nicola Capogreco, il quale, non ha mai nascosto di essere stato un supporter  della stessa Presidenza  Oliverio fin dalla battaglia delle primarie.  Capogreco, dunque, è imprenditore influente, amico del Governatore e  amico fraterno di altrettanto noti e influenti personaggi del giornalismo calabro legati ad alcune procure.

 


A confezionare il provvedimento è stata la Prefettura di Prato, la quale notifica l’interdittiva alla Ristorart sulla base di presunte dinamiche societarie poco chiare tra la stessa ristorart e alcune società in odore di 'ndrangheta del crotonese. Tutto ruota intorno alla faccenda del Cara di Crotone. Il comunicato della Ristorart, seppur molto rispettoso sul piano istituzionale lascia intravedere delle smagliature che suscitano non pochi dubbi sulla inoppugnabilità del provvedimento prefettizio. «Un provvedimento infondato ed illogico» quello della Prefettura di Prato secondo la nota della ristorart. «Rispettosamente senza entrare nel merito, ci viene contestato con questo provvedimento di aver dato parte del servizio ristorazione presso il Cara di Crotone in subappalto, entro i limiti di legge e con l’autorizzazione della Prefettura competente, ad una azienda solo successivamente ritenuta mafiosa che già in precedenza effettuava, senza di noi, i servizi presso il Cara e che contestualmente svolgeva il servizio mensa anche presso la Questura di Crotone» -prosegue-. «Insomma avremmo dovuto non seguire le indicazioni e le autorizzazioni ufficiali degli organi dello Stato, sapere quello che gli organi dello Stato non sapevano. Ci sembra tutto veramente illogico e pericoloso» - chiosa nella nota la Ristorart di Capogreco.

 

In brevissimo tempo trapelano i contenuti del documento predisposto dalla Prefettura di Prato, 12 pagine che articolano una dinamica un po’ più complessa. E in una delle pagine del provvedimento la Prefettura di Prato fa un affondo pesantissimo: «Decine di intercettazioni telefoniche e ambientali, testimonierebbero della frequentazione più o meno assidua e “industriale” di Capogreco con soggetti criminalmente pericolosi e coinvolti totalmente nell’inchiesta Jonny sul Cara di Isola». Sempre secondo il decreto del Prefetto Scialla di Prato poi, la cessione del subappalto non sarebbe una cessione avvenuta secondo dinamiche ordinarie o di routine ma bensì una « cessione in subappalto “eccessiva” e concordata prima del contratto stesso alla Quadrifoglio srl (griffe fiscale dei Poerio e quindi degli Arena, implicata proprio nell’inchiesta della Dda sul Cara di Isola)». Inoltre sempre secondo il provvedimento prefettizio, la Ristorart avrebbe ceduto quasi totalmente la quota d’appalto, esponendosi così all’ipotesi formulata nel decreto  «che tale operazione societaria nell’ambito della gestione del servizio risulta anomala e contraria alle normali logiche commerciali» non si può che prendere atto che «la Ristorart viene utilizzata come mero “schermo sociale” al solo fine di utilmente mascherare la presenza della Quadrifoglio srl nell’affare del Cara».

 

Fin qui sinteticamente fatti e passaggi relativi al merito e, al contesto che, hanno prodotto la genesi che ha portato la Prefettura di Prato ad emettere il provvedimento interdittivo a carico della Ristorart di Capogreco. Ora è probabile che inizierà una lunga battaglia giudiziaria. Sul piatto ci sono pesanti interessi economici e sociali, appalti per milioni di euro con la PA e, il futuro di 250 dipendenti e le loro famiglie.

 

Sorgerebbero, a questo punto,  quasi fisiologicamente alcune domande, considerato che, a leggere il Provvedimento, ci sono riferimenti e informative confezionate dalla Dda di Catanzaro già da alcuni mesi. La vicenda del Cara di Crotone, infatti, è già a dibattimento. Ci limiteremo, tuttavia, a farne solo una: Com’è stato possibile, considerato le informazioni in possesso della Prefettura di Catanzaro e trasmesse a quelle di Prato, che qualche mese fa alla Ristorart di Capogreco venisse assegnato il servizio di ristorazione Pecco presso la Cittadella Regionale?

 

Tuttavia, al di là del merito, del linguaggio della burocrazia giudiziaria che, spesso, fa apparire i ladri di polli come pericolosi criminali, oppure notizie prive di rilevanza penale, complotti criminali di ampiezza planetaria, rimane il punto sostanziale che ci preme ancora una volta evidenziare, rispetto a strumenti di prevenzione e sicurezza come quello dell’interdittiva : la pericolosa discrezionalità. Nei provvedimenti del genere, infatti, non esiste un contraddittorio.

 

Da tempo nutriamo seri dubbi sull’efficacia di tali strumenti, compreso lo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazione mafiosa. Tali provvedimenti, infatti, sono strumenti di polizia  amministrativa tesi alla prevenzione e alla sicurezza. La sfera delle garanzie, il diritto alla difesa, con tali strumenti è ridotto al minimo e delegato essenzialmente e prevalentemente alla sfera amministrativa, la quale non può assolutamente entrare nel merito del provvedimento ma osservare che siano state rispettate le linee sulle quali basare la sua genesi. Da tempo il dibattito è aperto e, in alcuni momenti, diventa anche molto aspro. In uno stato di diritto normale, infatti, l’approssimazione con la quale, almeno alcune volte, vengono usati questi strumenti, rappresenterebbe un’aberrazione giuridica. In una democrazia, il contraddittorio, dovrebbe essere il baluardo dell’architettura istituzionale, soprattutto quando le conseguenze di provvedimenti di questo tipo, producono il risultato di inginocchiare le aziende.  Inoltre, altro problema non da poco, rappresenta il contesto nel quale vengono valutati e interpretati i passaggi preliminari dei provvedimenti: le Prefetture. Un luogo quello  delle Prefetture, purtroppo,  non immune delle molteplici degenerazioni della PA italiana, come la corruzione, la pressione politica, l’assoggettamento alle logge massoniche e a tanti altri poteri forti. E sulle interdittive le influenze posso essere diverse,  considerato che, in ballo ci sono  interessi economici sostanziosi come i contratti con la PA. Sarebbe opportuno dunque, prevedere un contraddittorio sui provvedimenti che vengono partoriti dalle Prefetture, un contraddittorio, del quale  dovrebbe rimanesse traccia. È assurdo che la relazione di un Prefetto possa diventare insindacabile, a meno che, non venga ribaltata da un qualche Tribunale amministrativo, il quale, considerato la velocità della giustizia in Italia, spesso,  si pronuncia dopo che le  aziende raggiunte dai provvedimenti sono già fallite. Infatti,  secondo ampia giurisprudenza,  subito dopo la notifica del provvedimento ad all’azienda vanno revocati i contratti con la PA, non solo, secondo alcune sentenze non possono essere liquidati nemmeno i crediti maturati per le forniture. Insomma, alla interdittiva corrisponde la rovina. Ordunque, se l’azienda è davvero un’azienda di Ndrangheta, nulla questio ma,  se lo Stato avesse fatto un errore di valutazione, è  evidente che il rischio è la cancellazione di un pezzo di  ricchezza nazionale.   

 

Gli interrogativi dunque rimangono sempre gli stessi: è necessario pensare a dei correttivi da mettere in campo? È possibile immaginare che in una nazione civile si possano attuare provvedimenti così gravi e dalle pesanti conseguenze anche sociali che sostanzialmente vertono su meri ragionamenti sulla probabilità e non su prove e riscontri certi? Si sulla probabilità. Non si scandalizzino i filosofi del nulla che pontificano su tutto, e che difendono anche gli aspetti più controversi della legislazione antimafia, i provvedimenti delle interdittive si formano tenendo conto del “nesso causale” tra fatto ed evento. Esempio: se per 10 mattine su 20 prendo un caffè con qualcuno in odore di mafia, potrebbe esserci la possibilità di poter essere considerato un sostenitore della cosca. Percentualmente parlando è sufficiente che il nesso causale tra fatto ed evento possa identificarsi con un valore pari al “50% più 1” e non con quello, penalmente rilevante, superiore al 90%.

 

A mettere in sequenza questi ragionamenti che poi possono trasformarsi in  provvedimenti,  sono quasi sempre  grigi funzionari di Prefettura. Leggono informative, notizie riservate dalle Procure e poi propongono al Prefetto i provvedimenti. Una zona grigia dello Stato. Una burocrazia oscura sottoposta alle molteplici “sollecitazioni” degli attori delle tradizionali degenerazioni della burocrazia italiana. In  estrema sintesi, salvo le dovute eccezioni, i provvedimenti di natura amministrativa antimafia  si formano così. Ci scuseranno i ben pensanti dell’antimafia di professione, ma di un sistema del genere, almeno in Italia c’è poco da fidarsi.  Anzi, per essere chiari,  c’è da temerlo e non poco. Credo che ciò rappresenti un pesante  vulnus  alla democrazia.  E non si venga  a parlare dell’emergenza della lotta alle mafie, e riproporre tutti gli slogan consunti dell’editorialismo antindrangheta,  negli Stati Uniti, pur possedendo la metà degli strumenti legislativi che abbiamo a disposizione  in Italia,  l’FBI ha inferto colpi mortali  alla grande mafia oltreoceano. Infine, non si dispiaccia nessuno, ma siamo convinti che vada ridotto sensibilmente il potere delle Prefetture. Qualche tempo fa c’era qualcuno che si era spinto un po’ più oltre: «Quando torneremo al governo le chiuderemo tutte, l’ordine pubblico spetterà ai sindaci e risparmieremo mezzo miliardo di euro e questi prefetti dovranno cercarsi un altro lavoro». Era l’estate del 2015, quando Matteo Salvini, attuale Ministro degli Interni,  nel corso di una festa della Lega a Podenzano annunciava il proposito di chiudere gli uffici del Governo sparsi per l’Italia. Ministro ora Lei è a capo della “ditta” che facciamo ne riparliamo? Lasci stare per un po’ barconi, sbarchi, rom e quant’altro e si dedichi, se ne ha veramente voglia, a raddrizzare la barca delle istituzioni del suo dicastero. Ci creda, l’Italia è ridotta male per la degenerazione delle sue istituzioni piuttosto che per gli sbarchi di qualche disperato. E comunque, se il modello accoglienza in Italia si è trasformato in un business vergognoso, dia un’occhiata in quello che succede proprio nelle Prefetture su questo problema, forse troverà tante risposte.

 

Pasquale Motta

 

Giornalista
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