Un preside per amico

La riforma annunciata dal governo apre le porte ad una scuola a misura di dirigente
di Tonino Fortuna
18 marzo 2015
12:48

Poche luci e tante ombre. Matteo Renzi aveva garantito di rivoluzionare la scuola pubblica. Quella del premier, dopo i colpi di sole della passata estate, era stata una scommessa tutt’altro che pascaliana  sulla velocità, sull’organizzazione, sulle competenze. In una parola sola, sull’efficienza del sistema.  Aveva messo in campo il capo del governo, una macchina da guerra. Mobilitato i dirigenti del Miur. Sollecitato gli Usr e  i Csa. Era parso intraprendente e risoluto, promettendo di rivoltare come un calzino il complicatissimo sistema-scuola.  Un "pianeta" regolato da un aggrovigliatissimo quadro normativo, che Renzi ha confuso per un'associazione culturale senza fini di lucro.

Inevitabile che, partendo da questo presupposto, il primo ministro abbia finito per scontrarsi con la sua maledetta abitudine alla semplificazione. (Perchè quello era stato solo  “Il sogno (ad occhi aperti)  di una notte di mezza estate”. E non per il fatto che l'ex sindaco di Firenze pensasse a Shakespeare).

Solita faciloneria, dunque. E quell'annuncite, altra sindrome tipicamente renziana, che avrebbe consentito ancor prima dell'autunno, di sfoggiare slogan vuoti già ascoltati in altre circostanze: maggiori risorse per premiare il merito, stop alle classi pollaio, progressione di carriera non più basata sugli scatti d’anzianità, scuola aperta dall’alba al tramonto, potenziamento delle realtà periferiche. Bergamo come Platì..Venezia come Canicattì e chi più ne ha più ne metta!

Ma alla prova dei fatti, il processo di trasformazione della scuola italiana si è rivelato un sentiero ben più stretto e insidioso, rispetto alle autostrade immaginate da Renzi.

Nelle realtà di periferia gli studenti rimanevano senza riscaldamenti già alla fine dell’autunno. E dopo Natale molti corsi di recupero non partivano per evitare consumo di energia.

Il tutto mentre l’accoppiata Renzi-Giannini lavorava a un decreto legge che segnasse lo spartiacque con il recente e il lontano passato. Una norma che consentisse di dotare tutti gli istituti di un organico funzionale alle proprie esigenze. Intorno al 20 febbraio scorso, tutto sembrava pronto. Poi il rinvio del Cdm. Il cambio di rotta. Il resto è storia di questi giorni.  Con la scelta, di far passare la riforma della scuola per normalissimo disegno di legge presentato lo scorso 12 Marzo e che entro l'inizio della prossima settimana dovrebbe approdare in parlamento.

La parte più corposa riguarda le assunzioni di 100mila docenti. A settembre erano 50mila in più. Renzi forse se n’è persi un po’ per strada. E senza andare troppo per il sottile.

Tra gli esclusi eccellenti figurano gli idonei dell’ultimo concorso a cattedra. Il più selettivo, numeri alla mano, nella storia della scuola. Una prova alla quale in tanti hanno pensato bene di non sottoporsi. E forse hanno scelto la strada "migliore".

La ragione è presto detta: tutti i precari abilitati all’insegnamento entro il 2009 sono inseriti attualmente nelle cosiddette Graduatorie ad esaurimento. Quelle che il governo si accinge a svuotare. Chi ha sostenuto la prova concorsuale è uno di loro che ha scelto di misurarsi con prove astruse partorite da viale Trastevere ai tempi del ministro Profumo. Ebbene, dopo accurata riflessione l'Aeropago ha deciso che chi ha superato al concorso sarà escluso dal piano di immissioni. (Senza neppure valutare che alcune regioni hanno già fatto ricorso agli idonei, spalancando le porte di fatto all'apertura un contenzioso). Mentre gli altri, quelli che la prova ministeriale l' hanno snobbata, ne faranno parte in massa.

A proposito di merito, c’è un “premio” anche per i vincitori del concorso. Dovranno rinunciare ad uno dei due canali da cui essere assunti. Insomma, se presenti nelle Gae e nelle graduatorie ministeriali, saranno costretti a scegliere una delle due vie. Ma allora a cosa è servito sostenere quattro prove? Sottoporsi a un anno abbondante di stress? Praticamente a nulla.

Fin qui il capitolo assunzioni. Ma ve n’è un altro più inquietante. Riguarda il nuovo ruolo dei dirigenti. Trasformati in kapo. E già, perché gli assunti avranno contratti triennali (in nome della stabilità) e i presidi dovranno sceglierli non più da una graduatoria per titoli, esami e servizio prestato, ma da un albo territoriale, dopo attenta valutazione dei curricula. E la domanda sorge lubranianamente spontanea: rebus sic stantibus, davvero saranno individuati i migliori? Verrà garantita ai neoassunti libertà nell'esercizio della propria funzione? Non vi sarà alcun condizionamento? Nessuna sudditanza psicologica?
In "nome" del merito, inoltre, rimarranno in vita gli scatti d’anzianità. E forse questo sarà il male minore. Perché prima di eliminarli bisognerebbe portare gli stipendi dei docenti nella media Ocse. (L’Italia è tra gli ultimi paesi europei nella spesa per l’istruzione).
    
Quanto alle risorse, alla voce "merito", figurano in tutto 200 milioni. Per i più assidui e impegnati. Chi li ripartirà? Ovviamente il dirigente scolastico.  A lui l'onere di dividere le briciole tra i commensali. E non ce ne saranno per tutti, sia chiaro. Ma solo per quelli che avranno “un preside per amico”!

Giornalista
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