Calciopoli: la strana storia di Antonio Dattilo

Una storia che nasce dallo sport e finisce nella cronaca giudiziaria. Che prende vita dal calcio e si chiude nelle aule dei tribunali.
di Alessio Bompasso
8 aprile 2015
12:15

E’ la strana storia di “Calciopoli”. Chi non si è espresso almeno una volta su questa strana vicenda? Probabilmente tutti (o quasi) amanti del calcio e non. Una vicenda che va al di là di quello che ognuno di noi possa pensare della colpevolezza o dell’innocenza di Luciano Moggi, personaggio principale di questa storia. Qualcuno l’ha definita commedia, qualcun altro farsa. Ma “Calciopoli” è un ciclone che ha travolto anche la Calabria. In questa strana storia, la nostra Regione ha il nome ed il cognome  di Antonio Dattilo, ex arbitro nato, cresciuto, fatto in Calabria. Tutto ebbe  inizio da una partita: era il 26 settembre 2004, in calendario c’è Udinese-Brescia, affidata al Signor Dattilo della sezione di Locri. L’uomo che, secondo gli investigatori, aveva il ruolo di “killer” con l'ordine di decimare la squadra friulana in vista della sfida con la Juventus. Come? Con ammonizioni ( ai diffidati) ed espulsioni. Ed effettivamente  in quella partita i provvedimenti ci furono. I cartellini fioccarono: rosso diretto sventolato a Jankulovski, ed un giallo a testa per Pinzi, Di Michele e Muntari. Per gli inquirenti sono la prova inconfutabile della sua colpevolezza. Peccato che i tre ammoniti non siano diffidati e la domenica successiva, scendano regolarmente in campo contro la Juventus. Vabbè ma c’è ma c'è sempre l'espulsione di Jankulovski, si dirà. Verrà chiarito che:  1) l'espulsione viene comminata per un pugno in faccia a un avversario; 2) il cartellino rosso al giocatore ceco nasce dalla segnalazione del guardalinee Camerota, con tanto ricostruzione testimoniata sotto giuramento dallo stesso assistente in tribunale. Dattilo ed i suoi legali sperano in una assoluzione piena ed invece il giudice lo condanna ad un anno e tre mesi, più 25.000 euro di multa, valorizzando nelle motivazioni l’esistenza un contatto <<in prossimità della partita Udinese-Brescia>>, fra la scheda telefonica svizzera che, secondo la ricostruzione degli inquirenti era in possesso di Dattilo, e quella di Moggi. Un contatto certificato (anche se Dattilo ha sempre detto di non possedere nessuna scheda svizzera) ma che, da un esame più attento delle carte, risulta esserci  il 12 novembre 2004, ovvero due mesi dopo la partita. Errore che si chiarirà facilmente in appello, pensano i legali che credono di trovarsi di fronte a un caso piuttosto semplice. E, invece, Dattilo viene condannato nuovamente in appello a dieci mesi.  Il perché non sa spiegarselo neppure lui, anche a distanza di così tanti anni. E quando ai nostri microfoni (ospite di “30 minuti”) prova a ripercorre le tappe di questa clamorosa vicenda non può che ribadire quanto pensato dal primo momento, ovvero che la sua condanna fosse funzionale a reggere quella di Moggi. Fosse funzionale a reggere la teoria della “Cupola”, in cima alla quale c’era il Dg della Juventus, sotto, i gregari come Antonio Dattilo, Pieri e via dicendo. Solo qualche settimana fa l’ex arbitro della sezione di Locri è stato scagionato da ogni accusa <<per non aver commesso il fatto>>. Nel mezzo c’è una carriera, al culmine del successo, rovinata. Mesi ed anni di vita vissuta con l’appellativo di “sporco”, “venduto”. E a chi gli chiede quanti danni chiederà, risponde che nessuno potrà ritornagli quello che gli hanno tolto. Oggi è dirigente del Roggiano, formazione cosentina militante nel campionato di Promozione. Il calcio ce l’ha nel sangue, ma non spingerà mai i suoi tre figli ad intraprendere la carriera da arbitro.


Giornalista
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