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di Asmara Bassetti
1 maggio 2023
15:00

Primo maggio in Calabria, tra impegno e tradizioni: un rametto fiorito fuori dalla porta e niente matrimoni

Ha sempre rappresentato una data importante durante la quale condividere ambiti politici comuni e non, ma anche sociali, in quanto era usanza anche fare delle scampagnate e incontrarsi per condividere la giornata in modo conviviale

Storie
Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo
Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo

Nella giornata del Primo Maggio si festeggia ogni anno la festa dei lavoratori, nata per non dimenticare l'impegno dei movimenti sindacali dopo lunghe battaglie che hanno portato ad ottenere obiettivi sociali ed economici. La data fu scelta per ricordare la tragedia della rivolta avvenuta a Chicago nel 1886, quando si erano verificate numerose proteste e scioperi dei lavoratori, che avevano come obiettivo principale quello di portare l'orario di lavoro da 12 - a volte 16 - a 8 ore al giorno. Anche in Calabria, soprattutto in passato, il Primo Maggio ha sempre rappresentato una data importante durante la quale condividere non solo ambiti politici comuni e non, ma anche sociali, in quanto in questa data era usanza anche fare delle scampagnate e incontrarsi per condividere la giornata in modo conviviale. Qui di seguito alcuni aneddoti riguardanti il Primo Maggio, tra comizi politici e tradizioni andate perdute.

A Paola la festa dei lavoratori scandita dalla morte di De Seta

Nel 1920 Paola si preparava ad affrontare una campagna elettorale abbastanza agguerrita tra socialisti e radicali, i quali avevano governato la città, e il Partito Popolare nato da poco. I primi due partiti avevano festeggiato la giornata dei lavoratori, e si era svolto un comizio, molto partecipato, tenuto da Pietro Mancini, all’epoca segretario provinciale del partito socialista, che aveva criticato tra gli altri anche Francesco Miceli Picardi, deputato del Partito Popolare, che a Paola si andava sempre più affermando.


Nel pomeriggio un gruppo del Partito Popolare, per rispondere agli attacchi pubblici, richiese una manifestazione, che però non fu autorizzata per via del poco tempo a disposizione per avviare la richiesta. Nonostante ciò, nella parte alta della cittadina iniziò a formarsi un corteo che si diresse nella centrale piazza del popolo, passando per piazza delle sette fontane, dove si verificarono pesanti scontri tra popolari e socialisti. Il gruppo fu raggiunto da sassaiole, e partirono alcuni colpi di pistola, che ferirono Nicola De Seta, presidente della "Lega bianca" di Paola, che morì poco dopo. Seguirono degli arresti nei confronti di tutte le fazioni presenti, e tempo dopo ci fu un processo, che però non portò a nessun colpevole. Un episodio che rimane ancora nella memoria del paese.

Dopo la guerra il primo maggio fu sempre festeggiato da parte dei socialisti, il cui partito era molto sostenuto a Cosenza e nella provincia. Nel secondo dopoguerra invece, con la ripresa delle attività politiche e civili, la giornata del Primo Maggio veniva festeggiata con lunghi cortei, come si vede anche da alcune foto dell’epoca, rappresentando una giornata molto partecipata durante la quale le persone si trovavano come in una scampagnata. Rappresentava perciò una giornata in cui si svolgevano non solo comizi e dibattiti politici, ma anche momenti per ritrovarsi, essendo un giorno in cui non si lavorava. Persino durante il fascismo c’erano ancora dei socialisti che festeggiavano il Primo Maggio a Paola, quando ci si riuniva a casa di Raffaele De Luca, antifascista tra i pionieri del movimento socialista in Calabria, che era riuscito a far cantare Bandiera Rossa anche ad un fascista, tra i suoi amici, dimostrando che a volte le amicizie vanno al di sopra delle ideologie politiche.

A Badolato la festa dei lavoratori come momento di aggregazione

Quando era ancora forte il Partito Comunista, all’epoca a capo del paese, ed esistevano le camere del lavoro, a Badolato, sotto la guida dello stesso partito, le feste popolari, proprio come quella dei lavoratori, rappresentavano situazioni di aggregazione e di raduno. Cortei pieni di bandiere e di colore percorrevano le vie del paese, terminando con comizi pubblici in piazza, per ricordare la situazione dei lavoratori e le lotte fatte per ottenere più diritti e dignità per tutti. Tanto a Badolato era stato fatto dalle donne, non solo per i diritti che le riguardavano ma anche per quelli dell’intera comunità.

Venivano poi organizzate delle scampagnate in una parte della montagna, dove per tutta la giornata si stava insieme, unendo così la parte politica e quella sociale e conviviale. Queste tradizioni vennero mantenute fino agli anni ’80, quando si creavano spontaneamente momenti di divertimento e di aggregazione sociale popolare. Momenti dei quali approfittavano soprattutto i contadini e le contadine, che avevano la possibilità di fermarsi dai loro impegni quotidiani per la giornata per stare insieme al resto della comunità.  (In foto corteo a Badolato - Fonte Pagina Badolato)

 

Credenze e superstizioni 

Terra di credenze e superstizioni, anche per il Primo maggio in Calabria era abitudine seguire alcune tradizioni e abitudini. Tra di queste c’era quella di appendere fuori dalla porta della propria abitazione dei rametti di fiori, a simboleggiare buon augurio, esattamente come facevano gli antichi romani. Inoltre il primo di maggio, come per l’intero mese, non ci si sposava, per due motivi. Il primo risaliva al fatto che maggio fosse il mese mariano, e quindi da dedicare interamente alla Madonna. L’altro era perché secondo un’antica credenza popolare, nel mese di maggio si verificava un giorno sfortunato, ma nessuno sapeva quale fosse. Così per non rischiare di incorrere in nessun tragico evento, nessuno decideva di sposarsi in nessuno di questi 31 giorni.

Qui di seguito una poesia dedicata al 1° maggio di Vincenzo De Angelis Brancaleone, di Reggio Calabria, intellettuale fra i più in vista a Messina e a Reggio Calabria dove, assieme a Gaetano Sardiello (repubblicano) e Guglielmo Calarco (socialista) fondò nel 1909 il periodico “Giovane Calabria”. 

Nu jornu u Patreternu si levau,

si fici l'occhi chini di sputazza

e ch'i mani nt'a buggia s'avviau

mi vidi chi si dici supr'a chiazza.

 

Ma si fici nu mari di fururi

quandu vitti carompula a culuri.

 

Quandu vìdinu russu sti nimali

pèrdunu sentimenti e ciriveddhu

pirciò chidda jornata fici zali

chi si ntìsiru finu o pantaneddu.

 

(Fu a) Prima di maju)/ 

/pe' nu juri russu

(ch)'u Patreternu fici liscia e bussu.

Dio dunque, come un signorotto che si alza tardi e si lava con indolenza (si fici l'occhi chini di sputazza, letteralmente si lavò il viso con la saliva come fanno i gatti), va in piazza a vedere che si dice e, inaspettatamente, si imbatte nella “rossia” di garofani per la festa del lavoro; sicché il De Cuius, quasi fosse un toro nell'arena, perde il cervello e si infuria per quel rosso, urlando come ossesso (fici zali, fece dei gridi assordanti). E quindi, per un fiore rosso, il Padreterno fici liscia e busssu, cioè batté i pugni sul tavolo come un giocatore di tresette.   

 

 

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