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lunedì 22 giugno 2020 | 19:11
Cultura

Gli omicidi di Valarioti e Losardo 40 anni dopo: «La magistratura non volle vedere» - Notizie

VIDEO | Il ricordo dei compagni e familiari sui due delitti che segnarono duramente gli anni Ottanta. L'ex parlamentare Lavorato: «La 'ndrangheta ha fatto di tutto per piegare e quando non c'è riuscita è ricorsa all'assassinio»

di Agostino Pantano

Nella giornata della commemorazione di Giannino Losardo, la maratona radiofonica e web di Radio Ciroma ha previsto anche un collegamento con la casa del popolo di Rosarno, intitolata a Giuseppe Valarioti. Anche lui dirigente comunista ucciso dalla mafia in quel fatidico 1980, per ricordare il docente che fu segretario del Pci sono arrivati i suoi familiari, ma soprattutto i compagni di quel tempo che furono i primi a soccorrerlo quando, arrivati in una pizzeria di Nicotera per festeggiare la vittoria del partito nelle elezioni provinciali, da una siepe partirono i colpi che lo attinsero mortalmente.

«La magistratura in quegli anni – ha detto lo storico Enzo Ciconte collegato via skipe – non volle vedere». Una denuncia forte, a proposito di una vicenda giudiziaria che non si concluse con condanne, «sebbene – ha dichiarato Alessio Magro, coautore del libro “Il Caso Valarioti” – ci fossero state le dichiarazioni di un pentito di peso come Pino Scriva, non accluse nel processo di Appello». Una sete di giustizia che dopo tanti anni accomuna anche i coniugi Vinci, genitori di Matteo, il biologo trucidato a Limbadi con un’autobomba, la cui testimonianza è servita a riattualizzare la necessità di un contrasto alla mafia e alle zone grigie.

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Ci sono anche i familiari di Valarioti, ma a 82 anni è stato l’ex parlamentare e sindaco Giuseppe Lavorato l’inevitabile protagonista che ha unito il ricordo e i temi della diretta moderata dai giornalisti Giulia Zanfino e Gianluca Palma. «Conducemmo una battaglia contro la ’ndrangheta che prima avvisava e poi uccideva – ha detto Lavorato – e la conducemmo andando a testimoniare anche nel processo di Reggio Calabria. Era chiaro come con i due omicidi la mafia volesse interrompere quel processo rivoluzionario che avevamo avviato, per denunciare gli interesse mafiosi nell’utilizzo dei fondi pubblici».