Ucciso per non aver tollerato le 'vacche sacre'

Ricorre oggi l'anniversario dell'omicidio a Canolo, nel reggino, dell'oculista Fortunato La Rosa. Il professionista, si scoprì dieci anni dopo, fu ammazzato in quella che fu una vera e propria esecuzione, per avere protestato per il pascolo abusivo nei propri terreni del bestiame della 'ndrangheta.
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di Tiziana Bagnato
8 settembre 2016
12:12
Fortunato La Rosa
Fortunato La Rosa

 Morire per avere 'osato' rimproverare ad alcuni affiliati di 'ndrangheta il fatto che le loro vacche, circolando liberamente, penetravano anche nei propri terreni. E' accaduto in Calabria proprio l'otto settembre di undici anni fa, anche se ci sono voluti due lustri affinché la magistratura ricostruisse la vicenda e consegnasse alla giustizia i colpevoli.

 


Le chiamano 'vacche sacre', sono quelle di proprietà della 'ndrangheta, a cui tutto è concesso e che con le loro libere scorribande diventano l'esempio plastico di come alla mafia nostrana tutto sia concesso. Ecco perché i rimproveri di  Fortunato la Rosa, oculista in pensione che amava trascorrere il tempo libero nei suoi possedimenti di Canolo, in Aspromonte, non sono piaciuti a Giuseppe Raso, 74 anni e  al cognato Domenico Filippone che hanno atteso in prossimità di una curva il medico per poi ucciderlo, mentre era a bordo della sua auto, con tre colpi di fucile caricato a pallettoni puntando alla testa.

 

Una vera e propria esecuzione rimasta per dieci anni irrisolta. Una vita cristallina quella di La Rosa. Ma la moglie Viviana Balletta, anche lei medico,  sin da subito aveva riferito agli inquirenti delle lamentele del marito per le continue invasioni nella propria proprietà delle vacche, consapevole di come queste rientrassero nella logica delle 'ndrine nel controllo del territorio.

 

Un pascolo abusivo quello degli animali di proprietà della 'ndrangheta che il professionista non ha tollerato e per il quale ha pagato con la vita.

 

Scrivono gli inquirenti: "Fortunato La Rosa, uomo di specchiata rettitudine e noto, così come anche i propri familiari, per la propria assoluta intransigenza nei confronti di ogni forma di sopruso, dal 1999 aveva smesso l'attività professionale, per dedicarsi alla passione per l'agricoltura, che esercitava in alcuni possedimenti di famiglia situati nella zona pre aspromontana tra i comuni di Canolo e Gerace, fino a quel momento rimasti in stato di semiabbandono, in preda ad alcuni occupanti abusivi ed a capi di bestiame al pascolo brado".

 

Oggi la moglie continua a salire su quella montagna dove il marito aveva pensato di trovare ristoro dopo la pensione e continua a dedicarsi alla terra.

 

Tiziana Bagnato

 

Giornalista
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