La recensione

Ripley, quando una serie riesce a far meglio anche di un (bel) film

Su Netflix la superba trasposizione del romanzo di Patricia Highsmith da cui fu tratta la pellicola con Jude Law e Matt Damon. Semplicemente imperdibile

60
di Alessia Principe
8 aprile 2024
13:00

“Ripley” su Netflix è arrivato quasi in sordina, a passo di puma. Niente spot roboanti o strombazzati budget a otto zeri (come se spendere tanto fosse un valore aggiunto) da far impallidire anche la Marvel saga (sì, il riferimento è al Problema dei Tre corpi, what else?). La miniserie portava sulle spalle un fagotto pesante e il bacio di un peccato originale sulla fronte: l'essere la terza riduzione per lo schermo del romanzo di Patricia Highsmith dopo "Plein soleil" con Alain Delon e “Il talento di Mr Ripley” (con un cast stellare: Jude Law, Matt Damon, Gwyneth Paltrow e il compianto Philip Seymour Hoffman). Cosa poteva dare di più la storia di questo truffatore yankee che non fosse già detto, mostrato, letto?

"Ripley" sembrava destinata ad essere una delle solite serie in catalogo, pronta a occupare la stringa delle produzioni più viste della settimana e nulla più. Niente di più sbagliato. L'opera in otto episodi si attesta come una serie di altissimo livello sotto tutti punti di vista, in grado di oscurare le pellicole precedenti. Questo grazie a Steven Zaillian (regia, autore, sceneggiatore), che ha alle spalle un premio Oscar per la sceneggiatura di Schindler’s List e ben quattro nomination per Risvegli, Gangs of New York, L’arte di vincere e The Irishman. 


Un tocco da fuoriclasse per una miniserie sontuosa che sorprende per stile e scrittura e si colloca di una spanna su tutte le produzioni dell'ultimo anno. La scelta del raffinato bianco e nero non è solo un vezzo (da qualche tempo il ritorno a questa estetica spesso nasconde una furba scappatoia per accreditare un’opera davanti agli occhi dello spettatore cinéphile), ma una scelta sapiente, funzionale alla costruzione scenica che è una vera meraviglia per tagli e luce (il direttore della fotografia è Roger Elswit premio Oscar per Il petroliere). La sospensione, i rumori (il rollare di una barca, lo scalpiccio dei passi tra le scalinate) l’aria che riempie gli archi in pietra bianca, il dedalo delle viuzze, la simmetria, lo sguardo che si infila tra le finestre, un mormorio a fior di labbra catturato dall'occhio inquieto di un ladro di vite, stringono come spire lo stomaco dello spettatore che assiste inerme alla distruzione dell’innocenza.

Seguiamo, dunque, le vicende di Tom Ripley, parassita nullafacente, un uomo senza fascino, mediocre, un invisibile senza arte né parte fagocitato dalla moltitudine della metropoli, che vive di espedienti in una New York degli anni Sessanta. È solo un’ombra destinata a spegnersi nell’anonima solitudine di un appartamento grattato dalla miseria. Un incontro lo porterà ad allungare le mani sull’esistenza dorata di Dickie Greenleaf, rampollo di una ricca famiglia americana, che da tempo ha stabilito il suo buen ritiro in Italia, ad Atrani. Tra i profumi salini del Mediterraneo, il giovane conduce la vita pigra e lenta di chi non ha fretta di consumare denari e anni, coltivando interessi per l'arte e il buon cibo. Accarezzato da una bellezza angelica, Dickie cammina a piedi scalzi sul cotto italiano della sua villa a strapiombo sul mare e gode della bellezza credendo che, se offerta in dote, questa sia eterna. Egli non sa che anche nell'Eden può insinuarsi il fiato crudele di chi non conosce empatia e neppure rimorso, e così apre la porta al suo aguzzino e ai miasmi di un'anima marcescente che insozzerà il candore di una nobiltà inerme. Evocato come uno spirito, da un padre desideroso di riportare suo figlio a casa, Tom Ripley approfitterà dell’occasione per prendersi quello che crede di meritare.

La serie ha i toni cupi di un noir squisito. Superbo e magnetico, agguanta lo spettatore, lo seduce e lo sevizia dolcemente. Andrew Scott è perfetto nella parte di Ripley, il cuore di tenebra di questa storia. Il suo sguardo da uomo comune, diventa in un lampo quello piatto e senza vita di uno squalo. Quando Ripley stira un sorriso di falso compiacimento per un altrui interesse, il risultato è talmente straniante da suscitare uno stimolo fobico di repulsione. Osservarlo all'opera, instilla la stessa reazione che taluni provano guardando un clown, che finge di essere chi non è per nascondere un velo d’ombra che nessun trucco può cancellare fino in fondo.   

Giornalista
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