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Strage di migranti a Cutro, in Calabria è naufragata l’umanità

Strage di migranti a Cutro, in Calabria è naufragata l’umanità
di Vincenzo Imperitura
Coordinamento editoriale: Altomonte, De Girolamo, Rende, Serra
Video editing: Vallone
Decine e decine di morti. Così tanti che non è possibile fissare una cifra precisa: 70 vittime accertate e un numero imprecisato di dispersi che potrebbe superare i 40. Il dramma che si è consumato nel mare della Calabria la notte di domenica 26 febbraio 2023 resterà impresso come una cicatrice sulla pelle e sulle coscienze dell’intero Paese. Anche per ciò che si poteva fare e non è stato fatto
Sono morti quando la salvezza sembrava a portata di mano, a pochi metri dalla riva, dopo un viaggio attraverso il Mediterraneo durato quattro giorni su un barcone fradicio. Sono morti su una spiaggia calabrese, ennesime vittime di una rotta, quella turca, per anni semplicemente ignorata. Sono morti nonostante la segnalazione lanciata da Frontex – l’agenzia europea con sede italiana a Catania che pattuglia il Mediterraneo con mezzi navali e aerei – alle 22 del giorno precedente.
«Cercavate la vita e avete trovato la morte, perdonateci» ha scritto un gruppo di mamme di Steccato di Cutro, la spiaggia diventata cimitero dell’ennesima strage del mare. Probabilmente non si conoscerà mai il numero esatto delle vittime della più grave tragedia di migranti che la storia della Calabria ricordi. Sono 70 finora i corpi recuperati dal mare. Un numero destinato inevitabilmente a crescere.
Uomini, donne, bambini: si erano imbarcati in Turchia, nel distretto di Smirne, nel tentativo di raggiungere i loro familiari nel resto d’Europa, e sono morti, catapultati in mare dalla furia dello Jonio e dell’inefficacia del vertice di comando dei soccorsi che, si teme, non ha saputo riconoscere i contorni di quella che sarebbe diventata una strage.
A notte fonda di una domenica di febbraio, sulla spiaggia di Steccato di Cutro, ci sono solo una manciata di pescatori. Sfruttano le stesse secche su cui è naufragato il sogno di circa 200 persone. Sono loro a dare l’allarme poco dopo le 4 del mattino: «Ci sono cadaveri sulla spiaggia», dicono al numero d’emergenza. Il caicco di legno su cui viaggiava l’ennesimo carico della “rotta turca”, da pochi minuti, ha sbattuto sul fondale sabbioso, ribaltandosi. 
Quando sono arrivato c'erano corpi sulla riva e persone che gridavano. Una scena agghiacciante. In mare ho visto un bambino galleggiare, aveva gli occhi aperti. L'ho preso in braccio con cura, l'ho riportato a riva. Pensavo fosse vivo e invece... Gli ho chiuso gli occhi. Poi ho notato altri corpi, erano tutti morti. Ne ho presi una decina, ma senza guardargli il volto, altrimenti non ce l'avrei fatta
Decine di persone sono scaraventate in acqua, non sapremo mai quante si trovavano ancora sotto coperta prima che il barcone si polverizzasse sotto il fragore delle onde di Scirocco. Sul posto, in poco meno di mezz’ora, arrivano i carabinieri di Crotone per le verifiche. Sono solo in due. Il resto dei soccorsi, nonostante tutti ormai sapessero di quella nave, nonostante due pattugliatori della guardia di finanza fossero già usciti e poi rientrati a causa delle condizioni del mare, arriverà poco più tardi. La scena che i due militari descrivono nel loro rapporto mette i brividi.

«Notavamo la presenza di un corpo sulla battigia che constatavamo essere privo di conoscenza presumibilmente già deceduto, dopo altri venti metri, notavamo la presenza dei resti di un’imbarcazione in balia delle onde. Ci siamo avvicinati all’imbarcazione immergendoci in acqua, notando la presenza di due corpi privi di conoscenza. Abbiamo estratto i corpi delle persone dall’acqua riscontrando che uno di essi (una donna) era già deceduta, mentre l’altro (un uomo) era annaspante e in evidente sofferenza respiratoria».
I due carabinieri chiamano immediatamente rinforzi mentre continuano la loro lotta disperata per sottrarre al mare i vivi e i morti. Raggiungono il corpo di un bambino, provano un disperato massaggio cardiaco ma è tutto inutile. In meno di mezzora, la spiaggetta di Cutro si riempie di squadre di soccorritori: per giorni batteranno la spiaggia senza sosta alla ricerca di eventuali superstiti. Una ricerca lunga e silenziosa, interrotta solo dagli ordini secchi quando l’ennesimo cadavere viene individuato a pochi metri dalla riva. Sono 80 i superstiti, venti di loro saranno trasportati in ospedale a Crotone, gli altri trasferiti nel Cara di Sant’Anna per le prime cure. 
Nel gazebo allestito dai soccorritori a qualche decina di metri dal luogo del disastro, i corpi vengono allineati in una fila che sembra interminabile. «Probabilmente non sapevano neanche nuotare. Sono morti per annegamento», racconta uno dei medici arrivati sul posto.

Una tragedia immane, come mai prima era avvenuta sulle sponde calabresi della rotta turca. Una tragedia che - hanno urlato i crotonesi al Ministro Piantedosi in visita alla camera ardente - si sarebbe potuta evitare.
Un ragazzo di 26 anni ha raccontato di essere stato sulla barca con il fratellino di sei anni e di essersi buttato in mare con lui quando le cose hanno iniziato a precipitare. Sono stati in acqua diverso tempo, lui lo teneva stretto a sé, poi le sue mani hanno perso la presa. Non riusciva a smettere di piangere, di disperarsi. Aveva fatto tutto quello che aveva potuto per tenerlo in salvo, purtroppo senza riuscirci

Strage di migranti a Cutro, le versioni discordanti

«Nella tarda serata di sabato, un aereo di Frontex stava monitorando l’area italiana di ricerca e salvataggio come da operazione “Themis”, trovando una barca che dirigeva verso l’Italia – scrive l’ufficio stampa di Frontex ricostruendo le ore precedenti al disastro – solo una persona era visibile a bordo. Comunque, le camere termiche a bordo hanno individuato un considerevole riscontro termico nei portelli di prua. L’aereo – sottolineano ancora da Frontex – ha anche intercettato una telefonata satellitare partita dal battello e diretta in Turchia. Come sempre in questi casi abbiamo informato immediatamente dell’avvistamento le autorità italiane, fornendo la posizione della barca, la rotta e la velocità».
Ed è da questo punto in poi che la polizia giudiziaria dovrà trovare le risposte che mancano. Ricevuto il segnale d’avvistamento infatti, dal porto di Crotone partono due mezzi della guardia di finanza, che in mare ha compiti di polizia e non di salvataggio, soprattutto, visto i mezzi a disposizione, con il mare in burrasca. E infatti le condizioni del mare costringono le due motovedette a rientrare in porto senza avere potuto raggiungere il battello che, al momento della segnalazione, si trovava a circa 40 miglia nautiche dalle coste calabresi.
Passano le ore, i mezzi della capitaneria, che mille altre volte negli ultimi venti anni sono usciti con coraggio a soccorrere i barchini dei migranti che attraversano il Mediterraneo, restano in porto.
La procedura Sar, che avrebbe consentito l’intervento, non sarebbe stata avviata
«Il naufragio era una tragedia non prevedibile alla luce delle informazioni che pervenivano. Gli elementi di cui eravamo a conoscenza noi e la guardia di finanza non facevano presupporre che ci fosse una situazione di pericolo per gli occupanti», si difende la Capitaneria di porto.
A metterci il carico però, appena poche ore dopo, è il comandante della capitaneria di Crotone che, davanti alle 68 bare schierate nel ventre del PalaMilone, dichiara: «Le operazioni le effettua la guardia di finanza fino a quando non diventano Sar – dice ai giornalisti il comandante della capitaneria Vittorio Aloi – c’è un’indagine quando saremo chiamati a dare la nostra versione, dati alla mano, noi riferiremo. A noi risulta che si trattasse di mare forza 4, i nostri mezzi avrebbero potuto navigare anche con mare forza 8». Il problema, sottolinea Aloi, sono le regole d’ingaggio che non dipendono solo dal ministero delle Infrastrutture – dicastero guidato da Matteo Salvini, a cui risponde la Capitaneria di porto – ma anche dal ministero dell’Interno (Piantedosi).
Ed è proprio il titolare del Viminale a giungere per primo sul luogo del naufragio. Una visita breve sulla spiaggia e poi una puntata al palazzetto dove sono state sistemate le salme. Con lui anche il sindaco di Crotone Vincenzo Voce e il governatore Roberto Occhiuto. Ad accoglierli, le urla dei cittadini che piano piano hanno iniziato a portare fiori e messaggi per quelle vite spezzate. «Assassini, assassini, eccolo il vostro carico residuale».

La rotta turca

Ignorata a lungo, la “rotta turca” rappresenta ormai da oltre 20 anni una delle porte più trafficate dal sud est asiatico verso l’Europa. Solo nella provincia di Reggio, principalmente a Roccella, ottantasei sbarchi con il loro carico di più di 10mila esseri umani (il 30% dei quali sotto i 18 anni) solo nel 2022.
Sbarchi che si ripetono al ritmo di «uno ogni 100 ore». Un ruolino di marcia da brividi che determina un flusso di denaro enorme. Un “passaggio” attraverso il Mediterraneo costa tra i 6 e gli 8mila dollari a persona, parte dei quali finisce agli scafisti. Nel 2022 sono 61 quelli fermati dalle forze dell’ordine sul territorio. Con lo scoppio del conflitto in Ucraina, sono praticamente scomparsi gli scafisti di origine ucraina, Paese che per anni ha fornito frotte di underdogs a cui affidare i velieri sulla rotta turca. Solo due quelli fermati nel corso dell’ultimo anno. Così come è diminuito il numero, appena cinque, di scafisti che provengono dalla Russia, altro Paese che, negli anni, i trafficanti di esseri umani hanno utilizzato come riserva privilegiata di manovalanza. 
Con lo scoppio della guerra e l’inevitabile calo delle libertà di movimento dai due paesi coinvolti, il mirino delle organizzazioni criminali pare essersi spostato, almeno parzialmente. È la Turchia, dicono i numeri legati agli arresti e ai fermi, il nuovo “Eldorado” per la ricerca degli scafisti. Sono ventiquattro quelli finiti nel mirino delle forze dell’ordine nel corso degli ultimi 12 mesi. Un dato facilitato anche dal fatto che la maggior parte dei viaggi attraverso il Mediterraneo parta proprio dalle coste dell’Asia Minore. E turco sarebbe anche lo scafista accusato di essere stato al comando del barcone andato distrutto davanti alla spiaggia di Cutro.
Gli scafisti ci tenevano segregati nella stiva per impedirci di salire sul ponte dell'imbarcazione. Ci facevano salire soltanto per esigenze fisiologiche o per prendere pochi minuti di aria, prima di farci ritornare nella stiva
A incastrarlo, le testimonianze dei sopravvissuti che hanno aiutato gli inquirenti a risalire all’identità di Fuat Sami, cinquantenne che dopo il naufragio aveva provato a mischiarsi con gli altri migranti e che è stato salvato da un tentativo di linciaggio degli stessi naufraghi. Tre gli indagati, tra cui un diciassettenne, ma le testimonianze parlano di altre persone che si sarebbero date alla fuga con un tender poco prima dello schianto.
È uno strazio infinito al PalaMilone di Crotone dove è stata allestita la camera ardente con le 68 bare allineate. Lacrime, disperazione, preghiera. Vite spezzate e famiglie distrutte.

Come quella di una giovane donna che con i suoi tre figli ha visto svanire il sogno di una nuova vita a pochi metri dalla salvezza.

Viaggiava su quel barcone, lei insieme ai suoi tre figli. La giovane e il suo bambino sono riusciti a salvarsi, è morta la figlia più grande, dispersa la bambina più piccola. Lei, ferita e dolorante, si è allontanata dall'ospedale e ha raggiunto il palazzetto per riconoscere la sua bambina in una delle bare che affollano il palazzetto.

Vite spezzate e famiglie distrutte

E mentre Piantedosi si lascia sfuggire in conferenza stampa un terrificante «non dovevano partire mettendo a rischio la vita dei propri figli», Crotone, che alle navi dei migranti, così come tutta la costa jonica, ci è ormai abituata da decenni, si stringe al dolore dei sopravvissuti. Mazzi di fiori, messaggi dei bambini, candele, giocattoli. Anche una fiaccolata silenziosa, mentre nella struttura adattata a camera ardente cominciano a confluire i parenti delle vittime da tutta Europa. È una processione ininterrotta, iniziata già dalla tarda sera di domenica. 
Vengono quasi tutti dalla Germania e dall’Austria, ma c’è chi si è messo in auto alla volta della Calabria anche dalla Francia, dall’Inghilterra e dalla Svezia. Sapevano che i loro parenti si sarebbero imbarcati su quella nave scassata. Sapevano della loro attesa nelle “safe house” in Turchia prima dell’imbarco, sapevano dell’arrivo imminente in Calabria. Poi le notizie dello schianto che rimbalzano sui telegiornali di tutta Europa e la volata fino a Crotone.

Alladin è un ragazzo Siriano, attendeva i suoi parenti, i suoi zii e loro tre figli. Appena saputo del naufragio si è messo in auto. «Ho guidato per 25 ore – ha raccontato mentre attendeva di essere introdotto all’interno del palazzetto per il riconoscimento – mi ha chiamato il marito di mia zia. Lui si è salvato ma non so dove sia, non sono ancora riuscito a vederlo. Sono qui per cercare mia zia e i bambini».

L'omaggio di Mattarella alle vittime della strage

«Presidente non ci abbandoni, vogliamo giustizia e verità». Così giovedì scorso, moltissimi cittadini di Crotone hanno accolto l'arrivo del capo dello Stato Sergio Mattarella davanti all'ospedale San Giovanni di Dio dove sono ricoverate 15 persone, i superstiti del naufragio di Steccato di Cutro. Una visita preceduta dalla consegna di alcuni pacchi di giocattoli fatti recapitare dal presidente Mattarella ai piccoli degenti superstiti che si trovano nel reparto di pediatria.

Subito dopo il presidente Mattarella si è recato al PalaMilone, la struttura sportiva già gremita di persone, dove sono state sistema le bare e dove ha incontrato i parenti e ha reso omaggio alle vittime della tragedia. Il presidente è stato accolto dall'applauso della folla ai lati della strada mentre alcuni gridavano «giustizia, giustizia».

Il presidente della Repubblica si è trattenuto in raccoglimento davanti alle bare raccolte nella camera ardente per alcuni minuti. La richiesta più pressante da parte dei familiari delle vittime è stata di aver aiuto per il rimpatrio delle salme. Fuori dal PalaMilone di Crotone, Mattarella è stato salutato dagli applausi dei cittadini. «Presidente vogliamo giustizia e verità», gli hanno gridato alcuni. Tanti gli applausi tributati al capo dello Stato che non ha rilasciato dichiarazioni così come era stato annunciato il giorno prima, quando era stata diramata la notizia della sua visita a Crotone.