Il peccato e il reato

Perfidia, Falcomatà: «Il prezzo del campo largo non può essere il tradimento della presunzione d’innocenza»

VIDEO | Il sindaco di Reggio tra gli ospiti dell’ultima puntata del talk di LaC Tv. Al centro del dibattito l’eterna lotta tra garantisti e giustizialisti. Baldino (M5s): «Quando ci sono dubbi su di lui è giusto che un politico che faccia un passo indietro». L’avvocato Staiano: «Si dimentica che nel nostro sistema va provata la colpevolezza, non il contrario»

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di Enrico De Girolamo
4 maggio 2024
18:44

Morale e Giustizia. Anzi, peccato e reato. Due cose diverse. Molto diverse. È la premessa da cui muove Antonella Grippo nella nuova puntata di Perfidia andata in onda su LaC Tv per indagare su concetti sempre più stropicciati dalla politica e dai suoi obiettivi di parte. Il terremoto giudiziario di Bari che ha mandato in frantumi il campo largo in cui da tempo immemorabile ormai Pd e M5s si annusano diffidenti senza mai prendersi, ha fatto riesplodere la “questione morale”. Dopo Berlinguer, che la pose al centro del dibattito italiano con la forza della sua credibilità politica, ha progressivamente perso brillantezza. Ora è poco più di una locuzione utile per additare gli avversari quando serve e pronta a inabissarsi nei distinguo quando riguarda la propria parte. È intorno a questo cristallo di sale che si è coagulato il confronto a Perfidia, con Grippo che in apertura ha tracciato i confini del contesto: «Uno scenario politico in cui questi argomenti - ha detto - vengono vissuti come in un derby tra tagliatori di teste da una parte e irriducibili sostenitori delle garanzie costituzionali a tutti i costi, dall’altra». 

In studio, a sviscerare il tema, il sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà, che è tornato a guidare la sua città dopo l’assoluzione ad ottobre in Cassazione, e l’avvocato Salvatore Staiano, noto penalista calabrese in prima linea in importanti processi di ‘ndrangheta.


Ricollegandosi ai fatti di Bari, il sindaco di Reggio Calabria, tornato sulla poltrona di primo cittadino dopo due anni di sospensione a causa della Legge Severino, ha lanciato il suo monito al centrosinistra, «che non deve rinunciare al principio della non colpevolezza fino all’ultimo grado di giudizio». «Non può abdicarvi per sacrificarlo sull’altare del campo largo – ha detto Falcomatà - perché non è solo un principio di civiltà, ma è un principio che identifica la la sinistra stessa». Come dire, con i 5 stelle, ok, ma senza rinunciare a se stessi. 

A sostenere le ragioni del Movimento c’era, in collegamento con lo studio, la deputata Vittoria Baldino, che pur tra mille premesse di circostanza («Noi ci auguriamo sempre che chi è indagato possa dimostrare la propria innocenza») ha tenuto alta la bandiera dei duri e puri, sostenendo che se «la moralità di un politico risulta dubbia è giusto che faccia un passo indietro per il bene della collettività». E a poco è servito anche l’eloquio di Staiano, che ha ricordato l’avvertimento di Pietro Nenni: «Gareggiando a fare i puri, troverai sempre uno più puro che ti epura». «Nel nostro sistema va dimostrata la colpevolezza non l’innocenza – ha sottolineato l’avvocato -. Per questo, un “innocente”, fino a prova contraria, non deve essere emarginato». Ma Baldino ha insistito, denunciando quella che a suo dire è una deriva pericolosa innescata dal governo di centrodestra con la volontà di abolire l’abuso d’ufficio (lo stesso reato che a Falcomatà è costato due anni di processo per poi essere assolto e riabilitato). «C’è un confine molto labile tra il garantismo, così come lo intende Forza Italia, e sacche d’impunità – ha detto la deputata -. E quando si mira ad abolire l’abuso d’ufficio e si spuntano le armi della magistratura, inibendo anche l’informazione, si vogliono creare sacche d’impunità».

«Quella dei cinquestelle è una furbata – ha reagito Falcomatà -, perché usano due pesi e due misure. Non sono mancati, infatti, casi di rappresentanti del Movimento che sebbene inquisiti o addirittura condannati non hanno fatto alcun passo indietro. Se io mi fossi dimesso quando fui rinviato a giudizio e subivo le pressioni di chi evocava continuamente il “passo indietro”, avrei impedito alla mia città di avere ancora in carica il suo sindaco democraticamente eletto e innocente».

Di concetti «impregnati di manicheismo» ha invece parlato Staiano: «Come si fa a parlare di “sacche d’impunità”, come se tutti i buoni fossero da una parte e i cattivi dall’altra? Dire in maniera aprioristica che si vuole abolire l’abuso d’ufficio perché ora arrivano i miliardi del Pnrr significa dire una stronzata», ha tagliato corto.

In collegamento anche l’ex magistrato di Milano, Gherardo Colombo, probabilmente il meno “manettaro” del Pool Mani pulite ai tempi di Tangentopoli: «La questione morale è prima di tutto una questione giuridica - ha detto -, ci sono le leggi che dicono che certi comportamenti non devono essere tenuti. È una questione che non si risolve sul piano morale ma sul piano della responsabilità: ci possono essere responsabilità irrilevanti da un punto di vista giuridico, ma rilevantissime da un punto di vista politico». 

E perché oggi, nonostante le bufere giudiziarie come quella più recente di Bari, una nuova stagione di Mani pulite non è possibile, l’ha spiegato il giurista Salvo Andò, anche lui in collegamento con lo studio di LaC. «Ai tempi di Tangentopoli esistevano i partiti, sui quali ricadeva la responsabilità della corruzione - ha spiegato -. Oggi, invece, esiste una partitocrazia senza partiti. Esistono solo partiti personali e i padroncini della politica. Chi vince può prendersi tutto, anche la Costituzione. È in questo contesto che poi nascono “gli appaltatori della morale”».

È possibile rivedere l'intera puntata di Perfidia su LaC Play.

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