Ncd Vibo: 'Un si per le fonti rinnovabili e per dire stop all'inquinamento'

Auspichiamo un percorso che conduca alla fine dell’era dei combustibili fossili e l’inizio dell’era delle fonti rinnovabili
di Redazione
13 aprile 2016
16:36

Il significato simbolico- politico del referendum del prossimo 17 aprile è alto. Il NCD, è noto, ha dato ampia libertà di scelta ai suoi aderenti, allo scopo di avviare una seria riflessione su quale energia vogliamo per il nostro futuro.
Infatti, questo referendum non ha certo un carattere definitivo come il divorzio o l’aborto. E’, come premesso, l’inizio di un percorso.
Perciò noi auspichiamo un percorso che conduca alla fine dell’era dei combustibili fossili e l’inizio dell’era delle fonti rinnovabili.
Vogliamo che la politica faccia quei necessari passi verso le energie rinnovabili che in altri paesi europei (Germania e Olanda in primis) sono stati fatti già da anni.
Quindi siamo decisamente per il SI, che significa abrogare il fatto che i fondali già autorizzati possano essere sfruttati fino ad esaurimento del giacimento ovvero senza limiti di tempo (mentre le norme europee stabiliscono che la concessione non superi il limite dei 30 anni), anche se si trovano nell'area proibita a queste attività (ovvero entro le 12 miglia marine dalla costa).
Le ragioni per proiettare il nostro Paese verso le energie rinnovabili sono principalmente due.
Anzitutto bisogna fermare l’inquinamento marino. Sebbene qualcuno affermi che la vittoria del si non sortirà questo effetto perché comunque dovremo importare Gas da altri Paesi , noi pensiamo che lo stop al rinnovo delle concessioni potrà avere l’effetto di far accelerare il percorso verso un futuro sostenibile.
E’ dimostrato scientificamente che trarre energia dal sole, dal vento e dall’acqua non ha alcun impatto sui cambiamenti climatici ed ha un limitato impatto sull’ambiente (a seconda dei siti prescelti per l’installazione degli impianti).
Invece, recenti cronache giudiziarie ci dimostrano che grandi imprese, allo scopo di realizzare grandi profitti, trovano il modo di sfuggire con estrema facilità ai controlli sull’inquinamento. Principalmente perché questi controlli erano stati affidati alle imprese stesse.
Ebbene, se uno Stato non ha le risorse per garantire un efficace sistema di controlli sul bene più prezioso che ha (il mare), allora il nostro ambiente non sarà mai sicuro.
Altra ragione per cui votare sì risiede nel fatto che la nostra Regione non trae beneficio economico da queste attività di prospezione. Come non ne traggono, o ne traggono poco, le altre otto regioni che hanno proposto il referendum (Fra queste regioni non c’è l’Emilia Romagna, e non a caso: il polo di Ravenna, con decine di imprese e migliaia di occupati, è leader nel mondo nelle perforazioni).
Se vinceranno i no, oppure se il referendum fallirà per mancanza di quorum, noi calabresi continueremo a dipendere la vecchia economia del combustibile fossile. Perché, purtroppo, non abbiamo petrolio, quindi dobbiamo importarlo. Perché, purtroppo, l’estrazione dei combustibili fossili richiede grandi capitali, che noi non abbiamo.
Invece il sole è dovunque. Anche in Calabria. Il che significa che dell’energia solare nessuno è dipendente e tutti possono essere produttori. Se l’Italia smettesse di aiutare gli investimenti in combustibili fossili e ricominciasse seriamente a incentivare gli investimenti sul solare termico, le ricadute economiche sarebbero molto più diffuse. E forse la Calabria troverebbe una via per uscire da una crisi ormai ultraventennale.
Non ci illudiamo che un cambiamento del genere possa essere vicino. Ma un nostro SI potrà essere il primo passo verso di esso.
Infine, votiamo SI e invitiamo i vibonesi ed i calabresi a votare SI per una questione di legittimità.
L’articolo 6, comma 17 del codice dell’Ambiente, vieta “le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare”, nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l'intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette”: ma poi aggiunge che sono “fatti salvi i procedimenti concessori di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge n. 9 del 1991 in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128 ed i procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi, nonché l'efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati alla medesima data, anche ai fini della esecuzione delle attività di ricerca, sviluppo e coltivazione da autorizzare nell'ambito dei titoli stessi, delle eventuali relative proroghe e dei procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi”.
Ci chiediamo che senso abbia chiamare una legge “codice” (cioè un testo che dovrebbe racchiudere principi generali) se poi alle regole di questo codice deroghiamo di anno in anno. Se non erriamo, siamo arrivati già a tre deroghe dal 2010. Sono troppe, considerato che si sta andando contro le regole dell’Unione e che il mare è grande e pieno di giacimenti. Quindi non vediamo perché si debba continuare a permettere di trivellare entro le 12 miglia dalla costa per un tempo potenzialmente illimitato.
Dunque votiamo SI anche per dare stabilità alle regole codificate, ed evitare che la regola venga sopraffatta da interessi di gruppi di pressione.

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