Cipolla rossa di Tropea “taroccata”, la denuncia di Agricoop

Nel Vibonese negli scaffali di un supermercato trovate cipolle provenienti dall’Emilia Romagna e spacciate per calabresi. Nuove proposte per combattere la contraffazione

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di Redazione
27 agosto 2018
14:48

«Quando un’eccellenza calabrese, la Cipolla Igp di Tropea, diviene simbolo della qualità calabrese nel mondo, ma viene “clonata” con cipolle di provenienza italiana e straniera, e vengono camuffate per la nostra “Signora in Rosso”, non sono altro che imitazioni, contraffazioni, “falsi” e “tarocchi” che ogni anno provocano pesanti danni alle nostre imprese e, nello stesso tempo, incrinano di molto la stessa immagine del c.d. Calabria Sounding». È quanto denuncia Innocenza Giannuzzi, presidente di Agricoop, che ricorda che «proprio in questo mese di agosto, in una nota catena di grande distribuzione, nell’angolo dedicato alle eccellenze enogastronomiche calabresi, tra la ‘nduja ed altri nostri prodotti, era lì, in bella evidenza, anche la “Signora in Rosso”, che però di calabrese non aveva proprio nulla, essendo prodotta in Emilia Romagna, ed il tutto accade lì dove è di casa la regina, nella provincia di Vibo». Per tutelare il Made in Calabria dalle frodi e dalle infiltrazioni malavitose è quindi «necessaria una politica commerciale chiara, con la definizione di un sistema internazionale di concorrenza leale attraverso regole di trasparenza comuni sull’origine del prodotto ed anche con una reale forte alleanza con i consumatori. Si deve trasferire la lotta alla contraffazione alimentare all’Unione Europea, dove è alta l’attenzione verso la difesa del consumatore». 

 


La contraffazione provoca un forte danno economico per le imprese che può essere misurato dalle «mancate vendite alla perdita di immagine e credibilità del marchio, sino alle spese legali per la tutela dei diritti di proprietà intellettuale, nonché alla riduzione degli investimenti in ricerca, innovazione e marketing». L’Agricoop ricorda quindi che le imprese «subiscono l’effetto della frode legata alla contraffazione in due sensi: quella tipica del prodotto contraffatto e quella, molto più lesiva, legata all’etichettatura erronea o falsata del “made in Calabria”, prodotti, cioè che non hanno diritto al marchio e non sono esposti nell’area dedicata alle eccellenze, ma che vengono comunque etichettati ed esposti come prodotti Made in Calabria, impossessandosi indebitamente di quel valore aggiunto proprio della filiera calabrese». 

 

«Difendiamo, quindi, le nostre eccellenze, difendiamo la nostra Calabria e le sue imprese. Non è più tollerabile che le eccellenze e la nostra Calabria non siano tutelate, che tutto sia affidato al caso e alla superficialità. Il rispetto di un prodotto equivale al rispetto della sua terra, che i controlli siano fatti costantemente. Coloro che pubblicizzano e promuovono ciò che calabrese non è - conclude Innocenza Giannuzzi - siano puniti».

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