I presunti affari dei Matacena con le 'ndrine. La difesa della Rizzo: 'La Procura aveva rinunciato all'aggravante mafiosa'

Il pm della Dda di Reggio, Giuseppe Lombardo, ha contestato l'aggravante mafiosa a Chiara Rizzo, moglie dell'armatore. Secondo la procura distrettuale antimafia dalle indagini emergerebbe 'un intricato sistema di affari con le cosche del reggino'
di redazione
11 dicembre 2014
17:31

Reggio Calabria - Il pubblico ministero della Dda di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, ha contestato l'aggravante mafiosa relativamente alla posizione di Chiara Rizzo, moglie dell'armatore Amedeo Matacena, nel procedimento che la vede imputata nell'ambito dell'inchiesta aperta sul tentativo che sarebbe stato messo in atto per consentire all'ex parlamentare del Pdl - oggi latitante - di lasciare gli Emirati Arabi per raggiungere il Libano. Secondo la Dda dal quadro accusatorio emergerebbe "un complesso sistema di affari che i coniugi Matacena facevano con  le cosche operanti nel Reggino, attraverso una rete di “società schermo”. Questo sistema di schermature serviva, secondo il pm Lombardo a “proteggere economicamente Matacena, quale soggetto in grado di fornire un determinante e consapevole apporto causale alla 'ndrangheta reggina attraverso lo sfruttamento del suo rilevantissimo ruolo politico ed imprenditoriale e, per questa via, agevolare il più ampio sistema criminale, imprenditoriale ed economico, riferibile alla predetta organizzazione di tipo mafioso, a cui favore il Matacena forniva il proprio costante contributo”. Strategico secondo gli inquirenti il ruolo giocato da una società, la Cogem la cui titolarità era formalmente detenuta  da Giuseppe Pratticò, storico collaboratore di Matacena e con lui imputato nel processo Mozart, ma che secondo la Dda e la Dia, sarebbe stata gestita da Maria Grazia Fiordelisi, segretaria di Matacena.  La Cogem sarebbe stata a sua volta controllata da un'altra società di proprietà di una fiduciaria con sede in Lussemburgo. Un sistema di scatole cinesi riconducibili, sempre secondo la procura distrettuale di Reggio Calabria, a Matacena e al suo entourage. Nonostante che questi non figurasse in alcun modo nell'assetto societario.

Gli appalti della Cogem - Secondo gli inquirenti “i rapporti di affari intrattenuti da Cogem con società considerate come diretta espressione della criminalità organizzata di Reggio Calabria, non appaiono occasionali, ma stabili e continuativi nel tempo…. e si registrano diversi rapporti di natura economica sia con alcune società con le quali la CO.GE.M. Srl si riunisce in ATI e sia con le società fornitrici della stessa, tra cui la SI.CA. Srl, la ZUMBO COLORI Srl, la REAL CEMENTI Srl, la ITALSAVIA Srl, la EDIL PRIMAVERA Srl e la ROSSATO SUD Srl, tutte colpite da provvedimenti di sequestro o di confisca, in quanto riconducibili alla criminalità organizzata reggina”. La Cogem, infatti, avrebbe vinto a Reggio Calabria tutti gli appalti pubblici più redditizi degli ultimi quattordici anni: il rinnovo del lungomare, il palazzetto dello sport, la ristrutturazione di piazza Orange, la pista dell’aeroporto, il cimitero di Cardeto e, ancora più sostanziose, la realizzazione del tapis roulant, gli alloggi popolari nel quartiere di San Brunello e le villette a schiera della periferia nord di Reggio.

La protezione di Matacena - Secondo il pm Lombardo, l'organizzazione criminale sarebbe «interessata a mantenere inalterata la piena operatività del Matacena e della galassia imprenditoriale a lui riferibile, costituita dalle molteplici società ed aziende prima indicate ed altre in corso di individuazione, che venivano utilizzate, dietro articolate ed indispensabili operazioni di interposizione fittizia in grado di superare gli sbarramenti costituiti dalle informazioni prefettizie, per schermare la vera natura delle compagini sociali, dei consorzi e delle associazioni temporanee di imprese». Ma interesse del sistema criminale, di cui per la Dda l'ex parlamentare di Forza Italia sarebbe diretta espressione, sarebbe anche salvaguardare «la destinazione delle relazioni politiche, istituzionali ed imprenditoriali del sistema criminale di tipo mafioso prima richiamato e dal predetto Matacena garantite a livello locale, regionale, nazionale ed internazionale».

La Rizzo sostituisce il marito -  “Dalle complessive attività investigative svolte da questo Centro Operativo” – si legge nella documentazione investigativa depositata – “è emerso che l’attività l’illecita svolta da Rizzo Chiara, non è apparsa limitata soltanto alle ipotesi delittuose previste e punite dall’art.12 quinquies L. 356/92, ma si è manifestata anche attraverso la prosecuzione di quella condotta precedentemente tenuta dal coniuge Amedeo Matacena, sostituendolo in ogni circostanza necessaria, anche al fine di eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione, stante le gravi imputazioni che risultavano pendenti sul conto del coniuge, Matacena Amedeo. In particolare, la Rizzo Chiara si è posta in maniera costante e continuativa quale dominus occulto nel territorio nazionale, unitamente allo stesso Amedeo Matacena, delle società a quest’ultimo riconducibili – tra cui la A&A Srl – e degli affari dalle stesse realizzati e/o in procinto di essere attuate, sostituendosi al Matacena ogni qualvolta ne è ricorsa la necessità. Tale condotta”– chiosano gli inquirenti – “ tenuto conto della grave imputazione pendente nei confronti di Amedeo Matacena e della successiva condanna applicata allo stesso, per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa – ha di fatto consentito di eludere sistematicamente la normativa prevista per il rilascio della certificazione antimafia, prevista dall’art.10 del DPR 252/98”.

 


La versione di Chiara Rizzo - "Con riferimento alle nuove contestazioni oggi effettuate dall'ufficio di Procura, va subito chiarito che allo stato le stesse non sono state ammesse dal Gip - si legge nella nota dei difensori di Chiara Rizzo - su nostra richiesta la dottoressa Trapani ha concesso alla difesa un termine per interloquire sull'ammissibilità delle nuove contestazioni e su questo tema il giudice che dovrà prendere una decisione tra sette giorni. Nel merito riteniamo tali contestazioni, oltre che infondate, del tutto inammissibili, e in contrasto con i limiti che derivano dal provvedimento di estradizione della nostra cliente che non lascia spazio alcuno a fatti nuovi di epoca anteriore all'estradizione stessa. Inoltre, relativamente all'aggravante ex art.7, abbiamo l'impressione che si voglia far rientrare dalla finestra ciò che nel procedimento a carico di Chiara Rizzo è già uscito dalla porta principale. L'ufficio di Procura aveva infatti già contestato la detta aggravante".


"A fronte delle fondate e trancianti censure del gip (Tarzia) - scrive ancora l'avv. Candido - la Procura aveva rinunziato a detta contestazione, e ciò ha consentito di chiedere il giudizio immediato che altrimenti non avrebbe avuto corso. Oggi la Procura muove queste contestazioni, ma a nostro avviso ciò non è tecnicamente possibile". 

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