LONG FORM

Calabria terra che cammina

Calabria terra che cammina
di Francesco Altomonte

Il dissesto idrogeologico negli ultimi 30 anni ha provocato morte e distruzioni, ma il sistema di prevenzione è ancora all'anno zero

San Pietro Lametino, Vibo Marina, Gioia Tauro, Soverato, Scilla. Il rosario di disastri ambientali avvenuti in Calabria negli ultimi 25 anni è molto lungo e costellato di morti e devastazione.
La furia delle acque e del fango che distrugge strade e vite, case e campagne, sono immagini vivide nella mente di chi ha visto la morte in faccia o qualcuno andarsene; di chi è stato costretto a spalare fango per recuperare quel poco che gli era rimasto.
Dopo ogni tragedia puntuale si apre la discussione sulla necessità di prevenire questi disastri, le promesse di una maggiore attenzione verso il dissesto idrogeologico. Promesse che durano giusto il tempo di ripulire le strade, solo un po’ di più se ci scappa il morto. Per chi soffre di amnesia la rete offre un valido promemoria: le dichiarazioni di intenti, le promesse, le prese di posizione nel corso degli anni sono state tante, mentre i fatti pochi.
Intanto, dopo ogni acquazzone la Calabria sembra sfaldarsi, perdere pezzi, e la discussione accende e poi si spegne, fino alla prossima tragedia.
La Calabria a causa del dissesto idrogeologico ha già pagato un prezzo altissimo. Senza tornare troppo indietro nel tempo alle catastrofi della prima metà del ‘900, dal 1996 a oggi i calabresi morti in eventi alluvionali sono oltre 30.
Poche istantanee che fotografano un territorio che ciclicamente si è trovato a fare i conti con disastri più o meno annunciati.
Nel 1996 la piena dell’Esaro, per esempio, causò la morte di 6 persone a Crotone. Quattro anni dopo, nel 2000, la tappa più tragica nel recente passato della nostra regione: a Soverato l’esondazione del torrente Beltrame uccise 13 persone che stavano dormento all’interno del camping Le Giare.
Tra le catastrofi naturali che hanno colpito la Calabria è impossibile non menzionare il violento nubifragio che si abbatté il 3 luglio 2006 a Vibo Marina. I morti furono 3, tra cui un bambino di 15 mesi. O la terribile frana di Cavallerizzo nel 2005, con la frazione di Cerzeto cancellata in poche ore. E poi le recenti, eccezionali alluvioni che nell’agosto del 2015 hanno messo in ginocchio la Sibaritide, in particolare i centri di Rossano e Corigliano nel Cosentino e nel novembre del 2016 alcuni centri della Locride.
Dal 2001 al 2017, in Calabria le inondazioni e le frane hanno causato altri 14 morti, 61 feriti e oltre 4500 sfollati e senzatetto (Fonte Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica Irpi).
Infine, nel 2018 la tragedia di San Pietro Lametino in cui morirono Stefania Signore e suoi due figli Cristian e Nicolò. Il corpo di Nicolò fu cercato per giorni nello sconcerto e nello strazio di un’intera regione e fu trovato solo dopo una settimana di ricerche che videro la partecipazione di centinaia di volontari.
Era il primo pomeriggio del 15 febbraio del 2010 quando un’intera collina, quella di Maierato nel Vibonese, franò costringendo il sindaco dell’epoca a fare evacuare l’intero paese. Una decisione che, probabilmente, permise di salvare molte vite. Da allora, il piccolo centro ha dovuto fare i conti con una ricostruzione mai completata e una lenta messa in sicurezza

Scilla, la bella e la bestia: quando il torrente ruggisce si sfiora la tragedia

L’alluvione di Scilla avvenuta la scorsa estate è un ricordo ancora vivo e la tragedia, come nel 2018, è stata solo sfiorata. Dopo un acquazzone estivo, un'imponente massa d’acqua è scesa dal costone che sovrasta la zona marina della cittadina del Reggino causando lo straripamento del canale Livorno.
Quella massa di acqua e fango si è riversata sul lungomare trascinando con sé qualsiasi cosa trovasse lungo il tragitto. E solo per caso non c'è ancora scappato il morto.
Eppure, il problema che porta allo straripamento del Livorno a Scilla è conosciuto da tempo. Molti sono stati gli allarmi lanciati per cercare di porre rimedio a un'imprudente opera di ingegneria, avere cioè coperto un torrente pensando di incanalare l’acqua che scende da monte in un tubo di 60 centimetri interrato e al quale le acque arrivano attraverso una grata nell'asfalto quasi sempre ostruita.
La furia delle acque del torrente Livorno durante l'estate, ancora una volta, ha provocato ingenti danni nella cittadina del Reggino
Allarmi che fino ad oggi sono stati puntualmente disattesi. Anzi, il sindaco Pasqualino Ciccone, deposto alcuni mesi fa da un’inchiesta antimafia, il giorno dopo l'alluvione si affannava a tranquillizzare i suoi concittadini e i turisti: «Non tenete conto delle immagini delle varie televisioni che hanno mostrato un paese devastato perché non lo è più. Abbiamo sistemato tutto e domani al risveglio il paese si mostrerà nel suo solito splendore, pronto ad accogliervi». Di progetti per risolvere il problema del torrente Livorno invece neanche una parola.
Il dissesto idrogeologico, invece, non richiede parole ma investimenti e risorse, competenza e provvedimenti a lungo respiro. E alla fragilità conclamata del territorio calabrese, c’è da aggiungere un abusivismo selvaggio da parte dei privati che nella nostra regione è stato tollerato per troppo tempo. È più che mai urgente una pianificazione urbanistica: riqualificare e rigenerare l’esistente e quando possibile delocalizzare.

Il cortocircuito del sistema dell'emergenza

«I fondi ci sono, ma in Calabria c’è una criticità del sistema, manca una pianificazione e una programmazione in regime ordinario». A spiegare il cortocircuito nel sistema della prevenzione del dissesto idrogeologico è Francesco Arcangelo Violo, presidente del Consiglio nazionale dei geologi.
«Ancora – aggiunge Violo - non c’è un piano di interventi strutturali con delle priorità vere e proprie da portare a termine prima delle emergenze, che con i cambiamenti climatici sono sempre più frequenti. Ad esempio, attualmente è stata aggiornata la procedura di compilazione delle schede Rendis, la banca dati del ministero dell'Ambiente per le segnalazioni degli interventi prioritari da parte delle Regioni. Questa nuova modalità dovrebbe essere un primo passo per definire programmi e priorità. Su questo la Regione Calabria si è mossa in qualche modo creando una struttura che assista gli enti locali per predisporre le schede. Un passaggio fondamentale perché se le schede non vengono fatte i fondi non possono essere erogati, o magari verranno dati a pioggia con la conseguenza che i finanziamenti verranno spesi per interventi meno importanti». 
Si capirà, dunque, che il compito dei Comuni è importantissimo perché in Calabria il problema è molto serio e si devono definire le priorità. Inoltre, come detto, adesso i soldi ci sono grazie ai Fondi di progettazione del ministero dell'Interno, il Pnrr e il Piano per la mitigazione del rischio idrogeologico del ministero dell'Ambiente, varato nel 2019. Le procedure però sono molto, forse troppo lente. Passa molto tempo da quando arriva il finanziamento a quando si fa il progetto e infine l’intervento. E spesso questo comporta che quando i lavori vengono portati a termine la situazione su cui si è intervenuti è già cambiata».
L’ufficio del commissario straordinario per il dissesto non ha nemmeno una struttura: servono competenze tecniche nelle strutture di comando

Francesco Arcangelo Violo
Un punto di partenza, secondo Violo, potrebbe essere «unificare le competenze di chi deve seguire gli interventi, potenziando strutture tecniche come per esempio i Distretti idrografici dell’Appennino meridionale, del quale fa parte la Calabria; aggiornare i piani idrogeologici e il controllo di frane, alluvioni ed erosione costiera».
La mancanza di figure tecniche nei ruoli chiave del sistema rimane per Violo un problema concreto: «È una questione centrale anche per l’ufficio del Commissario straordinario per il dissesto. Attualmente non ha una struttura e questo è un problema serio. Serve un approccio adeguato al ruolo che ha in termini di competenze, con la possibilità di semplificazione delle procedure».

Una miriade di enti e molta confusione: chi decide cosa sul dissesto?

Alla base della piramide del sistema di controllo e monitoraggio ci sono i sorveglianti idraulici di Calabria verde, società in house della Regione che ha inglobato le aziende pubbliche Afor e Comunità montane.
I sorveglianti idraulici sono pagati per andare in giro a controllare e segnalare, per esempio, che il corso dei fiumi non sia pronto a esondare, che non sia ostruito o che i sottopassi siano sgombri così da permettere il defluire delle acque meteoriche.
Dopo ogni sopralluogo redigono un verbale con una segnalazione. Fin qui tutto bene, se non fosse che quelle segnalazioni non si sa che fine facciano. Il caotico meccanismo che regola l’intero sistema della gestione delle emergenze è spiegato dal geologo Carlo Tansi, ex capo della protezione civile regionale ed esperto in materia: «Il livello di prevenzione in Calabria è vicino allo zero».
«Il sistema di controllo e monitoraggio così come è congeniato in Calabria non serve a niente – tuona Tansi – In altre regioni è coordinato tra i vari uffici, mentre nella nostra regione è gestito a compartimenti stagni. Le schede di segnalazione dei sorveglianti idraulici rimangono lettera morta perché non c’è nessuna relazione tra Calabria verde e il Distretto idrografico dell’Appennino Meridionale, massima autorità interregionale del settore. Questi dati non vengono segnalati neanche al commissario per il dissesto idrogeologico in Calabria. E così le segnalazioni si perdono e la prevenzione resta un miraggio».
Il sistema di controllo e monitoraggio così come è congeniato in Calabria non serve a niente. Il livello di prevenzione nella nostra regione è vicina allo zero

Carlo Tansi
In Calabria ci sono 290 sorveglianti idraulici. Un numero esiguo e spesso male equipaggiato che non permette di coprire in maniera uniforme l’intero territorio regionale, tenendo anche presente che ognuno di loro dovrebbe coprire una zona di 52 chilometri quadrati, in una delle regioni più a rischio dal punto di vista del dissesto idrogeologico. Da anni sono in contrasto con Calabria verde per via del loro contratto. Erano stati tutti assunti come operai idraulici forestali, ma grazie a una causa intentata da molti di loro, il tribunale di Catanzaro ha decretato la nullità di quel contratto. Ma mentre per 40 è scattata l’assunzione con il nuovo contratto, per altri 250 la vicenda è ferma da anni, senza che nessuno in assessorato e a Calabria verde prenda atto di quella sentenza.

Le sentinelle con le armi spuntate

«Dal punto di vista legislativo la Regione Calabria è inadempiente da anni», spiega Gianluca Persico, sindacalista della Cisal che da anni si batte con Afor, assessori e presidenti regionali e adesso anche con Calabria verde per fare rispettare la normativa nazionale che regola i contratti dei sorveglianti idraulici. «La storia recente della nostra regione è contrassegnata da eventi alluvionali che hanno prodotto ingenti danni e morti. All’indomani della tragedia al camping Le Giare di Soverato del 2000, nella quale persero la vita 13 persone, il Consiglio regionale fece una risoluzione importante sul dissesto idrogeologico in base alla legge 133 del 1989: le competenze specifiche sulla gestione del territorio passavano in mano alla Regione».
Il contratto stipulato con l'Afor dai sorveglianti idraulici assunti però con la qualifica di operai
«Nel 2009 – aggiunge Persico – venne approvata la legge regionale che prevedeva l’assunzione di personale per espletare servizio di sorveglianza idraulica in Calabria. Dopo l’approvazione, venne fatto un avviso pubblico per l’assunzione di ufficiali idraulici e digitalizzatori, figura quest’ultima che riceve i dati dai sorveglianti trasformandoli e inserendoli nelle schede che rappresentano le segnalazioni ufficiali agli enti preposti. A questo punto avviene un episodio singolare: attivato il bando e le prove selettive, il commissario dell’Afor dell’epoca diede mandato affinché il personale assunto venisse inquadrato come operaio agricolo forestale e non come sorvegliante idraulico. Scomparve di colpo il contratto pubblico per uno privatistico, svilendo la professionalità degli assunti e cambiando nel merito il lavoro per cui erano stati reclutati».
Quella contrattuale è una questione molto importante, perché delimita il loro campo di azione. «Quando c’è un’alluvione – spiega Tansi - non possono uscire e capirete che è una situazione ridicola». Durante le allerte meteo gli addetti alla vigilanza dei corsi d’acqua, le sentinelle che meglio di tutti conoscono lo stato del nostro territorio, non posso intervenire. Ufficialmente, infatti, non vengono neanche allertati perché per la loro tipologia di contratto dovrebbero limitarsi a ripulire dalle sterpaglie i corsi d’acqua.
«Nelle altre Regioni si è applicato il contratto - aggiunge Persico - hanno fatto partire il servizio facendolo confluire nella protezione civile, al dipartimento ambiente o all’autorità di bacino. Diventando pubblici ufficiali sono tutelati e possono andare a fare attività ispettive. Oltre alle segnalazioni per la prevenzione, possono operare in maniera ufficiale, segnalando anche situazioni fraudolente come l’inquinamento marino o dei corsi d’acqua, vigilando su tutti gli scarichi abusivi nei torrenti e fiumi che riversano sostanze inquinanti a mare».

«Serve un monitoraggio continuo per evitare catastrofi»

Per Violo, però, la presenza dei soli sorveglianti idraulici in Calabria non può essere sufficiente: sul territorio servono professionisti, tecnici, che possano coadiuvare e coordinare il lavoro di chi batte il territorio tutti i giorni.
«Una regione come la Calabria – sottolinea il presidente del Consiglio nazionale dei geologi - ha bisogno di una manutenzione costante del territorio, perché spesso gli eventi alluvionali diventano catastrofici. Tragedie che magari potrebbero essere prevenute con piccoli interventi. Servono dei presidi idraulici diretti da professionisti, per gruppi di aree e formati da più comuni, con il compito di monitoraggio continuo. L’allerta meteo magari è prevista in tempo, mai poi non ci sono le figure che monitorino e vaglino l’evolversi della situazione. Come ordine dei geologi abbiamo proposto più volte sia alla Regione Calabria che al Governo questi presidi idraulici. L’ultima volta l’abbiamo suggerito nel documento fatto per il Pnrr, visto che c’erano 500 milioni per monitoraggio. Una somma, comunque, bassa per la Calabria, regione nella quale servirebbe un miliardo di euro per fare prevenzione. Una cosa che potrebbe fare anche la Regione sono le linee guida di progettazione per gli interventi che valutano le aree di bacino dove si va ad intervenire, con la collaborazione degli ordini professionali tecnici, con principi chiari, per dare il giusto approccio ai problemi e non invece risolvere un problema e crearne un altro».
Il dissesto idrogeologico, quindi, richiede investimenti e risorse, competenza e provvedimenti di lungo respiro. Tutto ciò che al momento manca in Calabria. Il governatore Roberto Occhiuto, nelle ultime settimane, ha mosso i primi timidi passi in questa direzione incontrando i sindaci e incassando dal governo 440 milioni di euro, previsti nella Manovra licenziata del governo Meloni, spalmati in 3 anni, per prevenire e mitigare il rischio idrogeologico e idraulico. Primi passi, ma del tutto insufficienti per mettere in sicurezza la Calabria e dotarla di un sistema di prevenzione efficiente e funzionale.

Frane, erosione costiera e desertificazione

In un quadro già di per sé complicato, il Rapporto città clima 2022 di Legambiente non aiuta a guardare al futuro con molto ottimismo. Dai dati riportati nel documento, si apprende che la Calabria è tra le regioni più colpite da eventi climatici estremi. Solo nell’ultimo biennio, dal 2020 ad oggi, siamo passati da 65 ad 82 fenomeni di cui, nel complesso, 33 per allagamenti da piogge intense; 17 casi di danni da trombe d'aria; 14 casi di danni alle infrastrutture; 8 frane da piogge intense; 3 esondazioni fluviali; 3 mareggiate; 2 casi di danni al patrimonio storico da piogge intense; 2 casi di danni da siccità prolungata.
La Calabria è anche una delle regioni maggiormente in sofferenza relativamente all’erosione costiera che incide pesantemente sugli ecosistemi regionali.
Dal 1970 ad oggi, in Italia, i tratti di litorale soggetti ad erosione sono triplicati e riguardano il 46% delle coste sabbiose, con picchi del 60% nella nostra regione, ed una perdita media di 23 metri di profondità di spiaggia.
La Calabria è stata interessata anche da lunghi periodi di siccità, provocando gravi danni a settori chiave come quello agricolo. Anomalie delle temperature e del numero delle notti tropicali si sono verificate soprattutto nelle città di Catanzaro e Reggio Calabria. Dal 1999 al 2022 sono stati 1109 gli interventi richiesti in Calabria, 863 i milioni di euro di finanziamento per diverse opere, eppure continuiamo ad assistere ad alluvioni e distruzione di interi territori consapevoli che si possa fare molto di più per mitigare il rischio e le conseguenze su popolazioni, attività produttive e infrastrutture.
La Calabria, infine, è una terra di frane. È di fatti pari a 54,3 chilometri quadrati la superficie che nel nostro territorio è soggetta a questo tipo di pericolosità. I dati sono stati forniti dall’Ispra nel rapporto del 2021, dedicato al dissesto idrogeologico in Italia. Tuttavia, nel fornire numeri e statistiche, l’istituto in riferimento alla Calabria dice che «il dato è stato calcolato sulla base del Piano di assetto idrogeologico-rischio-frane Pai 2001 dei territori dell’ex Autorità di bacino regionale Calabria». Un piano, quindi, fermo da più di 20 anni e mai aggiornato, ennesima prova di una regione che viaggia pericolosamente verso il baratro senza decidere cosa fare.