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La festa ai lavoratori: Primo maggio amaro per la Calabria

La festa ai lavoratori: Primo maggio amaro per la Calabria
di Salvatore Bruno, Luana Costa, Vincenzo Imperitura, Alessia Principe
Coordinamento editoriale: Altomonte, De Girolamo, Rende, Serra
Video editing: Vallone

Contratti irregolari (quando ci sono), salari bassi, scarsi sbocchi occupazionali. Dal Pollino allo Stretto il refrain è sempre lo stesso. Dati e cifre di un contesto lavorativo da ultimi della classe. L’analisi di un’autorevole economista, le storie di chi è stato costretto a trasferirsi altrove e le chance che offrono le università calabresi. Infine la parola all’assessore regionale all’Agricoltura per il settore più cool del momento

Disoccupazione, lavoro nero, lavoro grigio, estremizzazione del precariato, buste paghe tra le più basse del Paese: il mercato del lavoro in Calabria continua a essere un vero far west, con numeri in leggero miglioramento rispetto all’anno scorso ma ancora molto distanti dalla media nazionale.

Sono quasi 90mila i disoccupati registrati dall’Istat in Calabria nel corso del 2022, gli ultimi dati disponibili. Un esercito che pesa per circa il 16,4% sul totale della forza lavoro regionale compresa tra i 16 e i 65 anni di età: percentuale che si abbassa al 15,6% per i maschi e che balza al 17,6% nel lavoro femminile. Praticamente il doppio rispetto alle medie nazionali che, nell'ultimo trimestre rilevato, attestano attorno al 7,2% il tasso di disoccupazione.

La disoccupazione in Calabria

Numeri che sono migliorati rispetto all’anno precedente ma che, a leggere il rapporto della Cgia di Mestre, potrebbero segnare il passo nei prossimi mesi. Lo studio infatti ipotizza un aumento della disoccupazione del 4,6% su scala regionale, che in soldoni fanno più di 4mila lavoratori che potrebbero perdere il posto nel corso dell’anno. Di contralto, i dati relativi agli occupati fanno registrare un miglioramento con circa il 43,5% rispetto alla forza lavoro calabrese con un piccolo esercito di quasi 521mila persone: Catanzaro la provincia che presenta meno problemi (47% di occupati, qualche decimale in più rispetto alla media registrata nel mezzogiorno) seguita da Vibo (45,9) e Cosenza (44,4) in una classifica che vede le province di Reggio (41) e Crotone (36,9) come fanalino di coda.
Ancora drammatici restano poi i numeri relativi agli inattivi, quelli cioè che ormai, hanno anche smesso di cercarlo un lavoro: in Calabria, dicono ancora i dati Istat, sono circa 570mila, la maggior parte dei quali, donne.
E se il lavoro (almeno quello vero) resta per molti calabresi ancora un miraggio, le cose non vanno meglio sul fronte della sicurezza. Nella “classifica” sul numero degli incidenti mortali registrati su scala nazionale, la nostra regione si piazza, almeno ufficialmente, al dodicesimo posto con i 21 casi di morti bianche registrate nel 2022, lontanissima dalla Lombardia che, con i suoi 115 morti guida la poco invidiabile graduatoria.

Nonostante la distanza in termini assoluti però, se si analizzano più a fondo i dati, come ha fatto “l’osservatorio sicurezza su lavoro e ambiente” di Vega Engineering, le cose cambiano radicalmente. Mettendo infatti al centro dell’analisi, l’incidenza degli infortuni sul lavoro (cioè il totale degli incidenti rapportato alla popolazione lavorativa presente in ogni regione) le classifiche si invertono, con la Calabria che guadagna il quinto gradino della graduatoria delle regioni in cui è meno sicuro timbrare il cartellino. Una classifica, l’ennesima negativa, che vede la Calabria appena dietro Basilicata e Campania.

«Un piano straordinario per il lavoro»: la promessa della Regione

«Stiamo lavorando ad un piano straordinario per il lavoro che sarà presentato nei prossimi mesi, e abbiamo quasi pronto il nuovo bando sul turismo regionale, questione di pochi giorni: abbiamo pensato ad una serie di incentivi alle assunzioni che adesso mancano, soprattutto in merito al lavoro stagionale. Dobbiamo fare un passo alla volta e raccogliere via via i risultati, ma è una bella gatta da pelare». Giovanni Calabrese, catapultato nel novembre scorso, alla fine del suo secondo mandato come sindaco di Locri, sulla scottante poltrona dell’assessorato regionale al lavoro, non nasconde le difficoltà di un settore che segna rosso profondo rispetto al resto d’Italia. Lavoro nero, precariato, salari bassi: un mix esplosivo che mette la nostra regione in fondo a tutte, o quasi, le graduatorie nazionali. 
«La situazione non è semplice per diversi motivi, ma io sono fiducioso e credo che ci siano i margini per invertire la tendenza. Stiamo utilizzando tutte le nostre risorse per una nuova programmazione ma certo bisogna agire anche a livello culturale, sia con i lavoratori sia con chi di quei lavoratori ha bisogno».

Giovanni Calabrese
E se il mercato privato del lavoro resta bloccato in un pantano in cui diventa sempre più complicato districarsi, quello pubblico (il terziario, soprattutto nelle province di Reggio e Catanzaro rappresenta la fetta più grossa dei lavoratori) ha sul groppone il destino di quasi 6mila persone sospese tra precariato consolidato e Tis, i precari inseriti nei percorsi di tirocinio di inclusione sociale.

Di questi ultimi, circa 4mila persone che vengono in genere da mobilità in deroga e che negli anni sono stati assunti negli enti locali come tirocinanti «non esisteva neanche una indicizzazione precisa – dice ancora Calabrese – Abbiamo fatto un grosso lavoro per mapparli: dove sono allocati, dove vivono, che età hanno e che titolo di studio hanno in mano. Una radiografia indispensabile per strutturare il nostro lavoro, ma da soli non ce la facciamo. Ci stiamo confrontando con il Governo per il modo migliore in cui intervenire ma noi non abbiamo, da soli, le risorse necessarie».

L'economista: «Intollerabile che i calabresi non abbiano gli stessi diritti di chi vive al Nord»

«Il lavoro non è solo una fonte di reddito: è anche status, il modo in cui le persone si rappresentano e come vengono percepite dagli altri. Insieme agli aspetti retributivi vanno considerati quelli relativi all’equità e alle condizioni di contesto. Le persone sono alla ricerca di un lavoro dignitoso, sia sotto il profilo del salario che degli altri aspetti della vita lavorativa».

Nel suo ragionamento, Rosanna Nisticò, docente di Economia applicata all'Università della Calabria, punta l’attenzione sul complesso dei fattori che accompagnano il difficile percorso di ricerca di un’occupazione, soprattutto in regioni deboli non solo dal punto di vista della produzione di reddito e della struttura produttiva, ma anche delle condizioni di contesto che definiscono la qualità della vita delle persone.

«Certamente – aggiunge la docente del Dipartimento di economia, statistica e finanza intitolato a Giovanni Anania - i territori con più elevato grado di progresso economico e sociale attraggono la forza lavoro maggiormente qualificata, sia perché la probabilità di trovare un’occupazione adeguata alle competenze acquisite è più elevata, sia perché le prospettive di qualità della vita, anche al di là della condizione lavorativa, sono migliori».
«Trattenere la forza lavoro altamente qualificata - continua -, funzionale alla crescita e all’introduzione di innovazioni produttive e sociali, e più in generale evitare la migrazione giovanile dalla nostra regione richiede, pertanto, un forte impegno al miglioramento non solo delle condizioni del mercato del lavoro ma anche dei servizi pubblici essenziali, dall’istruzione alla sanità, dalla sicurezza al decoro urbano, dall’offerta culturale alla tutela ambientale».
E ancora: «È accettabile un divario di produzione, rispetto alle aree a più antica industrializzazione, ma pensare che, in uno stesso Stato unitario, i diritti di cittadinanza non siano garantiti nella stessa quantità e qualità in tutto il Paese è intollerabile».

In merito all’interrogativo sull’effettiva domanda, in Calabria, di figure ad alta competenza, la docente universitaria replica in maniera ficcante. «Secondo me – dice – bisogna chiedersi, a fronte di 114mila calabresi in cerca di occupazione e un tasso di disoccupazione tre volte più grande di quello medio delle regioni del Nord-est e quasi doppio rispetto a quello nazionale, se, e in che misura, la difficoltà a reperire quella forza lavoro non nasconda proposte contrattuali e condizioni lavorative scarsamente accettabili perché definiscono una prospettiva di lavoro povero, in termini di sicurezza, stabilità, salari e turni di lavoro effettivi».
E però bisogna anche interrogarsi sui motivi che indeboliscono così tanto una economia, da determinare un'offerta di lavoro non adeguata.
«Non è sempre colpa degli imprenditori: non sono più cattivi, o più cinici o meno propensi ad offrire salari migliori dei loro colleghi che operano in altre regioni. Bisogna considerare che ci sono condizioni di contesto tali da rendere l'attività imprenditoriale stessa più complicata e costosa in Calabria che altrove».

Quello sulla legalità è poi, in determinati contesti come quello calabrese, quasi un capitolo a parte: «Laddove il tessuto produttivo è più debole, il sistema della giustizia è più lento, la pubblica amministrazione meno efficiente e più opaca e l’area delle intermediazioni improprie più ampia, penetra più facilmente la criminalità, che rappresenta un ostacolo nella nostra regione, percepito o reale, all’attività di impresa più forte che in altri territori. Considerato tutto questo, le imprese fanno maggiore fatica a sostenere i vincoli amministrativi e finanziari previsti nei contratti formali, con ripercussioni, qualitative e quantitative, sulla domanda di lavoro».

Invertire la rotta non è facile, ma neppure impossibile. Per Nisticò «è importante avere una visione di sviluppo, delle mete e una strategia per conseguirle». «Ma lo sviluppo - avverte - presuppone qualità sociale, condizioni di contesto adeguati per gli insediamenti produttivi e per migliore la qualità della vita per i lavoratori e le loro famiglie. C'è stato un periodo in cui la sensibilità verso le politiche “attente ai luoghi” era nell’agenda di alcuni illuminati policy maker. Oggi la priorità è la corsa alla spesa in quanto tale senza una visione di futuro possibile e mobilitante, anche nel caso, purtroppo, del Pnrr. Ma forse non basta. La logica dovrebbe essere ribaltata: partire dai bisogni dei luoghi e delle persone che li abitano, e guardare a quei luoghi come possibili bacini di innovazione, produzione, crescita economica e sociale. Allora il contesto diventerebbe attrattivo, determinando spazi occupazionali per i lavoratori con alte competenze, ed equità nelle condizioni di lavoro per i lavori despecializzati. Servono politiche industriali e di sviluppo per le aree svantaggiate, centrali e locali, che mancano da molto tempo in Italia».

In fuga dalla Calabria: la storia di chi è stato costretto a costruire il suo futuro altrove

All'altro capo del telefono da Milano risponde Francesca. Il nome è di fantasia: «Sono cresciuta in un piccolo borgo della Calabria dove ci conosciamo tutti. Preferisco l'anonimato per evitare chiacchiere».

In tasca porta con sé una laurea in conservazione dei beni culturali, alle spalle l'esperienza maturata a Modena nella digitalizzazione di alcune importanti opere librarie e poi la spasmodica ricerca di un lavoro corrispondente alle proprie aspirazioni.

«Mi sarebbe piaciuto in un museo o comunque nell'ambito del vasto universo del patrimonio artistico italiano. Ma questo Paese – ammette amaramente – non riesce a valorizzare questo immenso, inestimabile tesoro, estremamente variegato e frastagliato, distribuito a tutte le latitudini. In Calabria, in quasi tutti i comuni c'è una chiesa, un luogo, un'opera, un edificio degno di interesse. Anziché creare valore, spesso è ridotto in stato di abbandono e costituisce un peso. A cascata, anche le figure competenti in questo settore hanno poco spazio».

«Per anni i concorsi sono stati una chimera -continua -. Le uniche opportunità per me sono arrivate da progetti di durata temporanea, stage, tirocini. Insomma una serie di contratti atipici retribuiti poco e male. Impossibile costruirsi una stabilità». Oggi Francesca ha 52 anni: vive e lavora nel capoluogo lombardo. Fa l'insegnante. «Per molti di noi la scuola è stata un ripiego. Durante gli studi universitari ad Arcavacata per mantenermi ho fatto pure la cameriera in un pub. Naturalmente in nero: quattro anni di contribuzione persa. A Milano, invece, un'assunzione irregolare è l'eccezione, non la regola, anche quando lavori come commessa o barista. Io ci sono passata e nella migliore delle ipotesi, l'offerta sul piatto è stata 700 euro al mese per dodici ore di lavoro, sabato e festivi inclusi e buste paghe su cui vengono contabilizzate soltanto poche ore la settimana per dare una parvenza di regolarità in caso di controlli. Controlli... e chi li ha visti mai? Tutti irregolari alla luce del sole».
«Alla fine mi sono arresa - conclude - mi sono iscritta nelle liste dell'insegnamento ma naturalmente, quando hai un punteggio basso per le graduatorie, la domanda devi farla nelle province del Nord, dove c'è una maggiore disponibilità di posti. Ho accettato di vivere stabilmente in Lombardia, dove anche mio marito è emigrato accettando la proposta di un'azienda informatica, in cui le sue competenze sono pienamente valorizzate. Ma aspettando le condizioni ideali per mettere su famiglia è passato il tempo. Ci siamo potuti sposare solo in età avanzata ed ho rinunciato ad avere figli. Ora che la serenità economica è stata raggiunta, il mio orologio biologico è scaduto».

Questione di Pil: in Trentino è più del doppio che in Calabria

A cominciare dal dato della ricchezza, espresso dal Pil, il Prodotto interno lordo. Questo indicatore ha un valore nel Centro-Nord pari a quasi al doppio rispetto alle regioni del Sud. Su una media nazionale, nell'anno 2021, di reddito procapite pari a 28mila e 400 euro, nel Mezzogiorno si scende a quota 18mila e 500 euro mentre al Centro-Nord il Pil di ogni singolo individuo è mediamente pari a 33mila e 400 euro.

Notevole la differenza tra il Trentino Alto Adige, dove il dato è il più performante in assoluto, sfiorando i 41mila euro, mentre in Calabria, fanalino di coda, la ricchezza individuale si ferma mediamente a quota 16mila 200 euro. In vent'anni, nel periodo compreso tra il 2001 ed il 2021, la Calabria ha registrato un andamento al ribasso senza mai schiodarsi dall'ultima posizione rispetto alle altre regioni italiane.

Studiare, ok. Ma cosa? Le chance che offrono le università calabresi

Studiare, sì, ma poi? Cosa c’è oltre l’alloro, il libretto tutto firmato, la tesi rilegata di un rosso brillante, i confetti? Se negli anni 80 e nei primi 90, l’Università era una garanzia di occupazione, un’assicurazione in ceralacca da sigillare su una vita sicura fatta di stipendio (fisso), un contratto (a tempo indeterminato), ferie (pagate), pensione (assicurata), man mano che il nuovo millennio s’avvicinava, la musica da brillante e allegra, s’è fatta decisamente più cupa. Il requiem è arrivato di botto, annunciato dagli Ottoni e dai Violoncelli, e ci ha trovati impreparati a gestire la resistenza alla crisi che è diventata goffa e disarticolata.
Se prima, i fantasmi del passato raccontavano di facoltà che blindavano l’avvenire in una cassetta di sicurezza (Medicina, Giurisprudenza su tutte), col passare degli anni anche queste sicurezze si sono tramutate in incertezze. Il settore sanitario è in crisi, il settore giudiziario è saturo, il settore dell’insegnamento è diviso tra cattedre vacanti (al Nord) e overbooking (al Sud). Il vecchio ordine è sovvertito, se fino a due decenni fa le cattedre erano posti ambiti e circondati da un’aura di rispetto nobile, adesso fa specie vedere ogni anno accalcarsi truppe di precari che sperano in un posto che sia, magari non per sempre, ma per un anno almeno.
Oggi è il mondo informatico a garantire stabilità. Basti pensare all’Unical che riesce a blindare la totalità degli studenti iscritti al corso di laurea in Informatica, assicurando loro un contratto dopo la laurea.
L'Unical di Cosenza
Non passa anno che l’Università della Calabria non sia compresa in qualche classifica internazionale di qualità. E questo ha ripercussioni anche nel settore occupazionale. I laureati Unical in Informatica e in Ingegneria Informatica sono tra i più richiesti non solo in Italia ma anche all’estero, ed è per questo che l’ateneo non fa che spingere verso l’alto l’asticella dell’offerta formativa. Scienza, tecnologia, Ai, uno spazio dedicato alle start-up, tutto pur di mantenere il primato.

Secondo le rilevazioni di Almalaurea, il 100% dei laureati Unical in Computer Science lavora dopo appena due mesi dalla conclusione del corso di studi, con un salario superiore alla media nazionale (1.750 euro ad un anno dalla laurea). Ma il dato più importante dell’analisi è quello geografico, a differenza che in altri campi, la maggior parte dei laureati trova lavoro proprio in Calabria.

Nel 2021 l’esercito dei laureati in Economia, seguiti a stretto giro da quelli in Ingegneria Industriale e dell’informazione, stacca per numero tutti gli altri. All’ultimo posto troviamo i laureati in arte e design, fanalini di coda insieme a Informatica e tecnologie Ict e a giurisprudenza.

Secondo i dati forniti da Almalaurea su quasi 4mila laureati dell’Unical (rilevazione 2021), con un’età di circa 26 anni al momento del conseguimento del titolo e di un voto in media di 100, il 50% al termine del ciclo unico risulta occupato, il 26.8% non lavora ma è alla ricerca, il 22,9% non lavora e non cerca. A cinque anni dal titolo - il tasso di occupazione sale al 76,6% e cresce anche la percentuale di occupati a tempo indeterminato che quasi sfiora il 50% (49,7%).
L'università Magna Graecia di Catanzaro
Analizzando i numeri che riguardano i dati occupazionali dei laureati all’Università della Magna Graecia di Catanzaro, vediamo che su un totale di 1616 laureati (anno di riferimento 2021) l’età del conseguimento del titolo è di circa 26 anni, con una media di 103 come punteggio finale e una durata degli studi di 5 anni e 4 mesi. Coloro i quali lavorano subito dopo rappresentano circa il 40% del totale, il 38,5% non lavora e non cerca occupazione, il 20,6% non lavora ma è in cerca di una collocazione.

Gli uomini sono quelli che trovano un impiego più facilmente rispetto alle donne (53,5% contro 49,3%). Il tasso di occupazione dei laureati è del 50,8%, mentre il tasso di disoccupazione è del 20,5%. Svettano le professioni tecniche, in netta minoranza gli impiegati nel settore imprenditoria, legislazione, alta dirigenza (solo il 2,1%). 
L'Università Mediterranea di Reggio Calabria
A Reggio Calabria, sono stati presi in considerazione 744 studenti dell’Università Mediterranea. Secondo le rilevazioni di Almalaurea, il 38,4% di loro ha trovato un’occupazione, il 36,5% non lavora e non cerca impiego, il 25,1% non lavora ma è alla ricerca di un posto. Il tasso di occupazione è pari al 46,5% mentre quello di disoccupazione è del 24,3%.

Quelli che hanno dichiarato di svolgere un’attività lavorativa regolarmente retribuita, sono 196 unità: il 25% prosegue il lavoro cominciato prima della laurea, il 13,3% invece no, mentre il 61,7% ha cominciato a lavorare dopo la laurea. In media questi studenti dopo un mese dal conseguimento del titolo, hanno cominciato la ricerca di un posto: dopo 3,9 mesi hanno trovato il primo lavoro e dopo 4,9 mesi dalla laurea hanno firmato un contratto.

Quanto alla tipologia di lavoro svettano le professioni intellettuali e scientifiche ma le retribuzioni non sono molto alte: gli uomini guadagnano una media di 1199 euro mentre le donne 1158 euro.

L'agricoltura va di moda, l'assessore Gallo: «Opportunità vera»

L’agricoltura rientra tra i settori trainanti per livello di occupazione in Calabria. A confermarlo è l’assessore al ramo della Regione Calabria, Gianluca Gallo, che fornisce alcuni dati significativi dell'indice di attrattività del comparto. «Se nella seconda metà del 2022 si è registrata una diminuzione delle ore lavorate, per effetto delle conseguenze derivanti da siccità e caro prezzi – argomenta - è altrettanto vero che nel periodo post pandemico l’agroalimentare ha trainato le esportazioni e che la Calabria resta una delle regioni in cui si concentra il maggior numero di lavoratori agricoli».
Secondo, l’esponente di giunta vi sono ancora margini per una ulteriore crescita ma «non c’è dubbio» che in Calabria sia tuttora forte il richiamo verso la terra tanto da indurre i giovani molto spesso a restare e ad investire: «In parte si assiste al tradizionale subentro dei figli nella guida delle aziende dei genitori» spiega Gallo.
«Per altro verso, ed è questo un fenomeno in crescita, giovani che hanno studiato e lavorato fuori regione tornano nella loro terra ed investono in agricoltura, dando vita a modelli nuovi. Un movimento che va assumendo dimensioni rilevanti: secondo i dati Unioncamere, nel 2022, tra le regioni con incidenza maggiore di giovani imprenditori agricoli sul totale delle imprese la Calabria figurava al quarto posto col 10%, dietro Valle d’Aosta, Sardegna e Liguria».

Il legame con il territorio d’origine in molti casi non viene ad essere spezzato dal vasto fenomeno dell'emigrazione, almeno non sempre. «Germogliano e si radicano aziende che alla produzione affiancano l’accoglienza, per lo più nei settori del vino e dell’olio, oppure privilegiano la commercializzazione diretta, a marchio proprio. Insomma, i segni importanti di un’evoluzione e di una crescita che è insieme culturale, imprenditoriale, economica, caratterizzata da innovazione e attenzione all’ambiente».

Anche la Regione intende fare la sua parte, favorendo i progetti di quei giovani che puntano sullo sviluppo del territorio. «Accanto a due bandi strategici già in essere che consentiranno l’insediamento, nel complesso, di circa 1.000 nuovi agricoltori, ne stiamo programmando un terzo per altri 1.100 giovani» conferma l’assessore che illustra le azioni predisposte dalla Cittadella.
«Ma ai giovani vanno offerte opportunità anche in altri ambiti e per altre vie. Da qui la scelta di prevedere, ad esempio, interventi racchiusi nella misura 6.2 per la fornitura di servizi in aree rurali, o le tante attività messe a punto dai Gal per stimolare la fioritura di imprese negli ambiti dell’enoturismo e dell’accoglienza rurale».

Gianluca Gallo
Certamente, un percorso tutt’altro che semplice in considerazione dei ritardi accumulati dalla Calabria ma che inizia a mostrare i primi segnali di una controtendenza. «Ci sono dei ritardi antichi – conferma - ma quel che conta è la capacità di reazione. E dopo un lungo periodo di acquiescenza, quasi di rassegnazione, si assiste ad una rincorsa straordinaria».

L’assessore si dice fiducioso: «Si guardi al campo dell’innovazione: l’Istat attesta che in un Meridione che pure ha ancora tanta strada da recuperare, in un decennio proprio la Calabria ha visto più che quadruplicarsi il numero di aziende digitalizzate. Per quanto ci riguarda, stiamo lavorando alla riduzione degli affanni burocratici ed al sostegno all’accesso al credito: chi sceglie l’agricoltura non deve perdersi dietro scartoffie o difficoltà di finanziamento, ma deve essere accompagnato per mano nell’intraprendere un’attività essenziale per l’ambiente e per l’uomo».