Rammarico e speranza

Le colpe di Saladini nel naufragio della Reggina. Una proposta per ripartire: si metta sul piatto anche lo stadio

L’imprenditore di Lamezia ha condotto al disastro calcistico e sociale. Servirà ricominciare da capo come nel 2015, ma é necessario un passo importante da parte delle istituzioni

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di Matteo Occhiuto
5 agosto 2023
17:43
Felice Saladini
Felice Saladini

È lungo, lunghissimo, l’elenco delle uscite di Felice Saladini e Marcello Cardona. Da «Questa società pensa alla stagione 2033/34» a «Non ci iscriveremo all’ultimo secondo, lo faremo a novembre» passando per il paradigma di «Legalità e trasparenza» più svolte sbandierato. Si spergiuravano mari e monti per la Reggina, operazioni finanziarie finemente orchestrate da menti illuminate e fini legali. Promesse e proclami: sono andati in fumo, al netto di ribaltoni al Consiglio di Stato in cui crede principalmente l’imprenditore di Lamezia Terme, insieme a 110 anni di storia. La Reggina è stata quasi definitivamente spazzata via dal Tar del Lazio, che da mesi veniva visto come ancora di salvezza. I giocatori hanno giustamente lasciato la città, feriti da un trattamento indegno: non ci sarà più il ritiro in un Sant’Agata che già annaspava da giorni.

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Nelle ultime settimane, su ilReggino.it e LaCnews24.it siamo stati duri, intransigenti, a volte impopolari. Abbiamo raccontato quello che stava succedendo, senza false illusioni su un possibile lieto fine che era difficilissimo anche solo da immaginare. L’abbiamo fatto, ve lo diciamo, con la morte nel cuore. Perché la Reggina è un pezzo della nostra anima, oltre che del nostro giornale e della nostra città. Ma, se si è stati crudi, era per il dovere di una cronaca e di una buona informazione che i lettori meritavano, dopo aver compreso, leggendo carte, sentenze e dichiarazioni, che chi doveva fare il proprio dovere per salvare la Reggina non lo aveva fatto e, anzi, aveva lasciato macerie devastanti. Fino all’ultimo giorno.


Sì, perché Felice Saladini è una delle cose peggiori che siano capitate alla Reggina in 110 anni di storia. Ha sbandierato legalità e trasparenza, avvalendosi di una legge di Stato che si è infranta su un ordinamento sportivo a cui il Tar stesso ha dato ragione. Ha proposto un concordato con uno stralcio esagerato e quasi provocatorio, avvalendosi di un ex questore come Cardona al fianco. Ha lasciato negli ultimi mesi tanti dipendenti senza stipendio, esultando in maniera grottesca per un’omologa che si è rivelata fine a se stessa. Non si è mai messo in discussione, ma ha proseguito con arroganza su una rotta che, alla fine, ha portato al fallimento della Reggina.

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Certo, dirà qualcuno che anche la società di Lillo Foti fallì nel 2015, ma quel baffuto signore era lì, in trincea al Sant’Agata, battendosi fino all’ultimo per salvare la sua creatura. L’imprenditore di Lamezia le ha completamente voltato le spalle, abbandonando i dipendenti, i giocatori e Inzaghi, saltando il playoff a Bolzano a cui non voleva partecipare, saltando assemblee di Lega e udienze vitali. Ha agito in maniera superficiale e arrogante, trattando un club che è molto più di un club come un pezzo di carta dal quale cercare di ricavare quanto più possibile. Il Consiglio di Stato dira l’ultima parola, ma i margini sono quelli che sono e lui potrà anche rivolgersi ad altre sedi di giustizia, puntando al massimo a un grosso risarcimento.

Spendiamo una parola anche su Gabriele Gravina e su Massimo Cellino. Due presidenti, uno della Figc e uno del Brescia Calcio, che hanno vinto solo una partita nei propri ruoli negli ultimi mesi ed è quella in tribunale contro la Reggina. Un successo che non nasconde i disastri ai Mondiali, i faldoni bruciati, le invasioni e le aggressioni durante un playout. Godetevi il prossimo campionato, con l’illusione che mandando la Reggina all’inferno si possa vivere un torneo paradisiaco.

Ora la Reggina è nuda

Al netto di ciò, comunque, la Reggio Calabria del calcio dovrà ripartire. Come otto anni fa: senza nome, senza professionismo, senza logo. La Reggina sarà nuda e toccherà alla città rivestirla, muovendosi d’orgoglio per riaccendere una fiamma che, vada come vada, non muore e non morirà mai.

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In città già sono nate le prime speculazioni, alcune delle quali davvero inquietanti. Spetterà ai politici prendere in mano la situazione, sperando che mettano in atto un comportamento diverso rispetto all’opinabile atteggiamento che ha contraddistinto le ultime settimane. Francamente serve più di qualche comunicato rabbioso per ripartire: Reggio Calabria necessità di un’idea che possa attirare qualcuno davvero in grado di mettere in piedi un progetto sportivo e non millantatori e banditi.

A tal proposito, diciamo la nostra. Se la Reggina fallirà, servirà un bando per rilevare il titolo sportivo che, si spera, sia quello di Serie D. Per attirare investitori c’è bisogno di qualcosa di più che il mero invito a mettere soldi (nel calcio) a Reggio Calabria. Si deve pensare a offrire qualcosa e, nella fattispecie, lo stadio Granillo ci sembra una grande fonte d’interesse. In breve: si metta a bando, insieme al nuovo titolo, anche la vendita dell’impianto cittadino. La valutazione economica non spetta a noi farla, ma un’operazione del genere potrebbe essere interessante per i tanti soggetti interessati all’impiantistica. L’esborso che servirebbe per comprare il Granillo (a nostro avviso circa 7-8 milioni di euro) sarebbe garanzia della capacità d’investimento di chi arriverebbe alla nuova Reggina, che poi avrebbe un bene fondamentale come lo stadio di proprietà fra i propri asset. Un bel punto di ripartenza, almeno si spera.

Giornalista
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